Welcome in the Age of Demansionamento

“Un’altra novità introdotta dall’emendamento è la possibilità per l’azienda di demansionare un dipendente. Il testo, che modifica di fatto l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori, delega il Governo ad adottare «una revisione della disciplina delle mansioni, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”. 

Il testo qui sopra, ripreso dal sito web de “La Stampa” di oggi (il grassetto è mio), illustra una delle innovazioni introdotte dall’emendamento del Governo, in discussione al Senato. Ci sono altre novità, ben più pesanti, come quelle relative al fatidico art.18; tuttavia, vorrei rubarVi un minuto per parlare del ‘demansionamento’.

Sono un lavoratore demansionalizzato. Uno dei tanti, davvero tanti, nell’azienda per la quale lavoro. Alla luce di quanto formulato all’interno dell’emendamento governativo, vorrei – serenamente & pacatamente, come amava ripetere il principale esponente degli sponsor dell’attuale Premier a me avverso – precisare quanto segue:

NON esiste alcun “utile impiego del personale” laddove, mantenendo inalterati inquadramento e retribuzione, si dequalifichino le mansioni. E’ umiliante sapere d’essere pagati per compiti inferiori, qualitativamente, a quelli che già si svolgevano. E’ punitivo, NON esiste alcuna “tutela della professionalità e delle condizioni di vita” se il giorno prima prendi decisioni di peso e assumi rischi e responsabilità e il giorno dopo, semplicemente, rispondi al telefono e riferisci. Dulcis in fundo, la “tutela del posto di lavoro” che è un dovere del datore di lavoro e un diritto del lavoratore, diventa l’argomento che le rappresentanze sindacali illustrano per farti anche sentire, oltre che umiliato e privato della possibilità di dimostrare il tuo valore, anche un parassita privilegiato: che vuoi, hai ancora un posto di lavoro e lo stesso stipendio. C’è gente che muore di fame, in questo paese.

Certo. Vero. E per ribadirmi quanto sono tutelato, il Governo del progressista riformista rottamatore nemico delle lobby e dei poteri forti e difensore dei deboli & degli oppressi s.p.a. farà approvare un articolo di legge apposito, volendo contemperare “l’interesse dell’impresa”. Credevo che il maggiore interesse di un’impresa risiedesse nel coinvolgimento attivo e partecipe di ogni dipendente, riconoscendo a ciascuno il proprio valore e ruolo. Qualsiasi serio studioso di scienza dell’industria vi dirà che non esiste dipendente più produttivo di un dipendente soddisfatto. Che stronzata, eh?

P.s.: il Premier è espressione e Segretario di un partito al quale, fino all’anno scorso, ero iscritto. Al momento, non ho ancora deciso di rinnovare la tessera: se passa l’articolo sul ‘demansionamento’, decisamente, non lo farò. Serenamente & pacatamente s.p.a.

(Come On) Let’s Tweet Again

Il Presidente del Consiglio, On.Matteo Renzi comunica  con 5  lapidari tweet  il proprio pensiero su altrettante, importanti, questioni all’ordine del giorno:

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Fonti apocrife riferiscono tuttavia che la prima versione dei tweet avesse i seguenti testi: 1) Noi rispettiamo il 3%, soprattutto se Europa ci favorisce questi miseri 300 mld di invstm. #cappelloinmanoforever; 2) Revisione della spesa non significa tagliare la sanità.  Ma le Regioni prima di fare proclami chiedessero soldi a Europa come fanno tutti; 3) Collaborazione con la giustizia indiana e stima per il premier Modi e il suo Governo. Lavoreremo insieme su tanti fronti, soprattutto il fronte del porto; 4) I candidati del Pd li scelgono i cittadini con le primarie, non soggetti esterni. Basta versare due euro  e modificare lo Statuto; 5) Signori, non si può  giocare con il petrolio senza impastarsi un pochetto le ali. #cormoranolibero

Si noti che ho scritto fonti apocrife. E ora, un vecchio successo di un rottamato rock: Lou Reed con “Tweet Jane”

La Lega Dei Gentiluomini Straordinari In Bianco.

 

Potere all'Uomo in ammollo
La Lega Dei Gentiluomini Straordinari In Bianco

L’ultimo post qui pubblicato risale a piu’ di quattro mesi fa. Nel frattempo, non mi sembra che le cose – in generale – siano migliorate gran che. Certo, da ieri, ci sono loro, la Lega Dei Gentiluomini Straordinari In Bianco; da ieri, e’ definitivamente chiaro qual e’ il percorso – e qual’e’ il programma – per risolvere i problemi (politici, economici, sociali) in Europa e in Italia.

Potere all’Uomo in ammollo.

Quando il naso sbatte contro la porta

“Amministrare non è solo proporre la propria idea di politica: è attuare quell’idea. Un’idea che deve essere il più possibile compatibile con la realtà. Amministrare vuol dire rappresentare tutti i cittadini, essere l’istituzione di chi ti ha votato e di chi non ti ha votato, vuol dire non essere il sindaco di una parte, ma essere il sindaco di tutti. Amministrare vuol dire calarsi nella politica reale, lavorare duramente affrontando i problemi, intraprendere con coraggio la strada che si ritiene migliore per la propria città, la più giusta e la più equa. E’ affrontare problemi reali, a volte, vuol dire anche non vincere alcune battaglie. Vero. Ma questo non vuol dire tradire un ideale. Non conta solo il risultato ottenuto per i cittadini, ma anche che l’idea di politica che si vuole lasciare per la propria città”.

Parole che condivido, affermazioni che ho sempre sostenuto. Vecchia battaglia: c’è sempre una differenza tra marciare attorno al Palazzo con un bel cartello colorato e varcarne la soglia, assumersi responsabilità, trasformare la protesta del giorno prima nell’azione concreta del giorno dopo. Come minimo, ti blocca quella cosa noiosa del fund raising, per dirla in modo elegante (meno elegante: trovare i soldi). Principi e parole già scritti e dibattuti, perciò: allora, per quanto repetita juvant, cosa c’è di nuovo?

C’è di nuovo che a scriverle e pubblicarle sulla propria pagina Facebook è il Sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. Ha già i guai suoi, non voglio aggiungere complicazioni. Una domanda per lui, però, ce l’avrei: pensava le stesse cose prima di governare, quando la politica era soltanto gridare ai quattro venti: vado, riformo il mondo e torno? A giocare con il fuoco, si può finire inceneriti (ops).

E’ facile infierire, soprattutto stando comodamente seduti dietro un monitor. A dimostrare la mia serietà – e, soprattutto, quella del Sindaco parmense – aggiungo la seconda parte del Pizzarrotti-pensiero, stessa fonte, paragrafo successivo: “Tutto questo significa amministrare in piena sintonia con i valori del Movimento. Con umiltà, serietà e coraggio, sapendo che solo con l’esempio si possono coinvolgere veramente le persone. Ma fintanto che non si governa tutte queste cose non si possono capire, senza viverle ogni giorno sulla propria pelle non si capiranno mai”.

Gioco, partita e incontro: se sostituisco “Movimento” con “Partito” la frase è perfetta. Pizzarrotti ha scalato la montagna, è approdato ai Principi Universali. Guardate come sottolinea la sua chiosa: “umiltà, serietà e coraggio” e “ogni giorno sulla propria pelle”. Esatto. Giusto a titolo di esempio menzionerò l’atteggiamento politico (?) di taluni che, recentemente, non hanno avuto né l’umiltà, né la serietà, né il coraggio di andare oltre la propria, orgogliosa, attitudine a dire sempre e soltanto ‘no’. Non facciamo nomi, tanto Pizzarotti s’è già inguaiato da solo.

P.s.: sempre senza fare nomi, avreste un esempio recente di Amministratore che propone idee sperando che qualcun’altro le metta in atto? E che non si fa scrupolo di perdere una battaglia perché è impegnato a vincere, sempre e comunque e con ogni mezzo? Se avete la risposta, tenetevela per voi: tanto, Lui se ne farà una ragione.

 

 

 

Renzi, can you hear me?

“Francesco Nicodemo: “Il Pd si sente Rock. A Bruxelles con una playlist. Preferibilmente Indie”

“E il Partito Democratico diventa “rock”. Un’ora prima della direzione in streaming del partito, sul sito Youdem si può ascoltare una playlist proposta dai followers dem che – nella maggior parte dei casi – offre una selezione che ha molto poco a che fare con il tradizionale cantautorato nostrano. (…) Radiohead, Muse, Pearl Jam, questo è il ritmo che batte prima del fatidico incontro al Nazareno. “La playlist ha dei picchi di ascolto molto alti che a volte superano i contatti degli interventi stessi”, ci spiega Francesco Nicodemo, alla guida della comunicazione del Pd, “ abbiamo notato infatti che molti si collegano proprio per sentire la selezione”.

Copiato dal sito Huffington Post di oggi. Appena l’ho visto, sono piombato nell’incubo – è facile per me: sono in questo partito da abbastanza tempo per poter affermare che con la musica Rock non abbiamo mai avuto molto a che fare, se non scimmiottarla nell’intento sin troppo scoperto di ‘avvicinare i giovani’, ‘parlare un linguaggio moderno ed universale’. Insomma, in ultima analisi strappare qualche voto. Intento – sia chiaro – tutt’altro che disprezzabile, a patto (appunto) di applicarsi con onestà e mente aperta.

Il contrario dello scegliere periodicamente questo o quel punto di riferimento, a volte inseguendo troppo la moda del tempo; altre, scegliendo troppo fuori tempo. E sempre con un vago retrogusto di insincerità: alla fine, LA musica rimane quella classica, l’evo moderno, beh, inizia con i Beatles ma solo adesso scopriamo che Rolling Stones, Led Zeppelin e Who sono dei ‘classici’. Avete notato quella citazione? “Radiohead, Muse, Pearl Jam” e poi la generica indicazione ‘Indie’ (c’è un’intera galassia di artisti e di suoni dietro questa definizione, in un universo che si caratterizza innanzitutto per lo stile – dall’impegno minimalista al cantautorato ninnananna – e per l’indipendenza (yeah) dalle major discografiche): sono coordinate vaste e, in larga parte, da classifica tranquilla. Alternativi ma di massa. E negli anni ’90, quando i gruppi summenzionati non avevano ancora smussato le proprie abrasioni sonore, questo partito (nelle sue primeve forme originarie) non se li filava proprio. Il massimo del rock, ai tempi, era “La Canzone Popolare” (maximum respect per Ivano Fossati).

Alla fine, però, la colpa è mia: se ti fai prendere la mano dal rock, scopri che – a differenza dei partiti – è dannatamente mutevole, auto-adattante, sempre nuovo e vecchio insieme. E se eri un ragazzino lì, nei noiosissimi anni ’60 e la prima cosa che avevi sentito alla radio non era “Hey Jude” (ronf) ma “Black Sabbath”; se allora eri classificabile soltanto come ‘proletario’ (e andava già bene) e se il massimo della vita selvaggia era una visita domenicale allo zoo (quando si poteva), allora, allora, ecco che oggi ti ritrovi spiazzato. Il gruppo dirigente percorre la svolta indie mentre tu li vorresti vedere con le magliette dei Black Label Society e degli Slayer: ma ve la immaginate una foto di gruppo della Direzione, tutti truccati come i Mayhem o gli Immortal? Quella si, che sarebbe una bella scossa (#questopaesenondevedormire, più o meno).

E’ soltanto un mio delirio. La politica non si coniuga con la musica, si fa accompagnare. Niente che disturbi. Il Sindaco/Segretario Nazionale/Primo Ministro deve avere ascoltato un solo disco in vita (politica) sua: Tommy, la rock-opera degli Who. Si è immedesimato nel protagonista e adesso, liberato da lunghi anni di monologo interiore, ci conduce felici e spensierati al Renzi Holiday Camp mentre lui, politicamente cieco, sordo e muto, vede soltanto sé stesso, riflesso nello specchio. Sintesi e proposta costruttiva finale?

Cantare a squarciagola: “Do you hear me/or do I smash the mirror”?

P.s.: so di avere praticamente ammesso che per quanto riguarda il mio istinto ribelle, la mia voglia di cambiare sempre tutto, il mio tentativo di restare fedele ai valori cercando di accorgermi che il mondo cambia, ecc., devo molto più a Townshend, Daltrey, Entwhistle e Moon che non a Marx & Engels. Ma questo non mi impedisce di dire che anche Marx & Engels sono un’ottima band. Respect.

 

Progress Is for Losers (Il progresso è per i perdenti)

Ecco una buona occasione per spiegare il nome di questo blog, Progress Is for Losers. Dunque, lo scorso 22 Marzo, Gianni Cuperlo, non più Presidente del PD, indice tramite la propria pagina FB (e non solo, of course) un’assemblea per discutere “sullo spartiacque di questi mesi, ci si apre, si allarga, si ragiona su come una sinistra ripensata e un riformismo radicale possono stare dentro un nuovo inizio. E dove si decide in che modo e con che struttura organizzare il dopo”. La prima sede indicata, rivelatasi esigua rispetto alle intenzioni di partecipazione, viene modificata. La data prescelta, no: sabato, 12 Aprile, inizio ore 10.

Nella giornata del 9/4 u.s. (e correggetemi se la notizia è apparsa in precedenza), con conferma ufficiale pubblicata il giorno successivo sul sito nazionale del PD, il Primo Ministro Matteo Renzi, altresì Segretario Nazionale del partito, convoca la manifestazione di apertura della campagna elettorale delle  elezioni Europee, scegliendo come sede il PalaOlimpico di Torino (in previsione della massiccia partecipazione rituale). La data? Sabato 12 aprile, inizio ore 10:30, copertura web a cura di YouDem.

Se un rischio correva l’iniziativa di Cuperlo, era quello di finire con l’essere una semplice riunione di corrente, a dispetto delle sincere intenzioni trascritte nel virgolettato del primo paragrafo. Non avendo potuto partecipare, non so se il rischio è stato evitato; l’unica cosa che sono sicuro di poter scrivere è quella di Torino, in ogni caso, era una riunione di corrente. Dopodiché, segno dei tempi, il Premier copri-date irride alla riunione della ‘minoranza’; mentre quella parte di partito, piccola o grande, che lo sostiene pur avendo dei dubbi sui suoi mezzi e sulle sue proposte, si affretta – per voce di Gianni Cuperlo – a negare che nella coincidenza di date ci sia, per parte propria, alcun intento polemico. Alla rovescia, proprio.

Anche questo che si potrebbe definire episodio ‘marginale’ o concidenza (forse) non voluta, spiega perché il Progresso è per i Perdenti: in Italia, i vincenti – con le debite eccezioni – non riescono a fare a meno di sfoggiare arroganza e fastidio per tutti quelli che NON li rivestono di preziosi pigiamini di saliva.

E non c’è nessun Martello degli Dei che faccia seccare le lingue.

Bordate Rozze (comunicato nr.1)

“Ce la faranno pagare”, dice Matteo Renzi incontrando gli imprenditori del settore al “Salone del mobile” di Milano. Annuncia “una violenta lotta” contro la burocrazia. “Uso il termine violento – ha spiegato a proposito della burocrazia – perché non abbiamo alternativa”.

Il Luminoso Dirigente ha lanciato la campagna per portare l’attacco al cuore della burocrazia, esaltando nel contempo la geometrica potenza del suo Governo.

(tradotto: ma in questo paese nessuno li rilegge più i discorsi o cerca, quanto meno, di stare attento a quello che dice?)

Kassandra

” (..) non appena Renzi – ciò che è nelle Sacre Scritture, o stolti – assurgerà alla carica di primo ministro.”

Autocitazione. Ho scritto io questa frase, nell’ultima nota affidata a questo blog, il 6 gennaio scorso. Poco più di un mese ed ecco: neppure il tempo di voltare una sola pagina delle Sacre Scritture e la visione s’avvera. Per quanto mi riguarda, una previsione da Cassandra; e dato il generale clima da remake degli anni ’70, scriverei meglio: Kassandra.

Ora tenterei di ripetere l’esercizio, sicuro questa volta di fallire giacché sto per confondere visione con delirio: in questo delirio, il mio vaticinio segue il Presidente della Repubblica che, ascoltate le delegazioni dei partiti (anche quelli presenti solo sotto forma di blog); osservata una domenica di profonda riflessione; varato l’inizio di giornata di lunedì con una buona colazione (è importante a qualsiasi età, maggiormente per chi è costretto dall’inanità della classe politica a raddoppiare mandato e sforzi a 88 anni); fatto tutto questo, il Presidente convoca la stampa ed annuncia: viste le forze in campo, considerato il quadro politico immutato, tenuto presente il perdurare della grave crisi economica ed i segnali, ancora troppo deboli, di ripresa, di conferire mandato per la formazione del nuovo governo all’On.Enrico Letta.

Non sarà così. Per quanto, l’esperienza degli ultimi anni e del candidato Renzi più recentemente dimostri che in Italia, per ottenere quello che si vuole, basta dirlo.. e dirlo.. e dirlo.. e dirlo.

Who Are You?

Chi dice che nel Partito Democratico ci si annoia? Giusto il tempo di commentare l’ultimo exploit del segretario nazionale, la già storica lettera ai “gentilissimi” (detta anche “tre proposte e via”) ed ecco la nuova puntata di questo serial destinato a riservare sempre nuove (e non positive) sorprese: le dimissioni dell’ormai ex-viceministro dell’Economia, un altro giovane, emergente, stratega del rinnovamento: Stefano Fassina. Il quale, avendo ben presente la responsabilità istituzionale da poco assunta, conscio del peso di questa responsabilità ed avvezzo, soprattutto in rappresentanza delle istituzioni, a far prevalere l’interesse del Paese su quelli personali e di partito, ha pensato bene – nelle attuali condizioni di crisi economica e politica – di dare le dimissioni. Motivo? Più d’uno: le continue critiche mosse al governo dal nuovo segretario PD, il forte ricambio impresso dal risultato delle primarie e la cosiddetta gaffe o infelice battuta racchiusa nella domanda “chi“? pronunciata da Renzi nel sentirsi nominare Fassina dai giornalisti.

La domanda vera è: é un gesto utlle? E’ un gesto proficuo? La risposta è sì, utile e proficuo per i due protagonisti della vicenda, utile e proficuo per le rispettive ambizioni e carriere personali: dimenticate le necessità del paese, dimenticate l’urgenza delle riforme, dimenticate l’importanza vitale della stabilita di governo, dimenticate tutto – soprattutto che l’ultima cosa che ci possiamo permettere in questo momento sono i personalismi, gli atteggiamenti da rockstar capricciose. Il leader dei cosiddetti “giovani turchi” (ma esistono ancora?), deluso dal fatto che il mondo PD non sia caduto ai piedi della sua corrente, abbagliato dalla sfolgorante luce riformista emanata, altro obiettivo non persegue se non quello di ergersi a leader di una sinistra interna alternativa a Renzi. Immagino, naturalmente e come sempre, che si tratti della solita “vera sinistra”. Ed intravvedo, come già afferma con voluta malizia una renziana doc quale Debora Serracchiani, la possibilità che Fassina voglia soltanto allinearsi alla meglio per la prossima corsa alla segreteria nazionale, non appena Renzi – ciò che è nelle Sacre Scritture, o stolti – assurgerà alla carica di primo ministro.

Il segretario PD, nel frattempo, incassa il risultato del rimpasto che, a parole, non voleva e non indicava; della messa in ulteriore difficoltà dell’attuale Primo Ministro, l’unico, eventualmente, intitolato a rispondere (e non con le dimissioni) al fuoco amico che quotidianamente arriva dalla sponda democratica. Incassa l’effetto della battuta, forse involontaria, che da sola non spiega e non giustifica nulla ma fa di lui, in questa circostanza e con il solito aiutino dei media, un simpatico, irresistibile gaffeur. Con un precedente illustre che appare, ogni giorno di più, come il vero modello mediatico del sindaco di Firenze: l’uomo che abitualmente saltava le domande scomode facendo finta di non sentire, portandosi una mano all’orecchio, indicando gli elicotteri, mimando con le labbra “I can’t hear you”. Lui. Il campione USA della deregulation (una forma avanzata di riformismo, no?), il super-Presidente muscolare dalle molteplici gaffes. Ronald Regan.

E nel frattempo, Renzi conferma che la sua strategia è chiaramente quella di parlare non al partito ma al di fuori del partito: non ci sono interlocutori interni, ci sono (secondo lui) i tre milioni di votanti delle primarie (che erano aperte proprio come richiesto dal medesimo personaggio) che gli hanno (tutti) conferito un mandato. E che sono altro dalla struttura del partito, struttura il cui ruolo, d’ora innanzi, sarà soltanto quello di ratificare e dettagliare le iniziative del segretario. E’ il passaggio dal Partito Democratico al Partito Dislocato.

(mah, quello che avevo da scrivere, l’ho scritto. Se adesso volete dire – o scrivere – “Andrea, chiii?”,  fate pure. Tanto, non vi sento: ho il tinnito. A destra)

Go To The Mirror, Boy

Avrete senz’altro letto la versione finale della lettera indirizzata dal nuovo segretario del PD, Matteo Renzi a “tutte le forze politiche che siedono in Parlamento”. Come d’uso, trattandosi del riformatore della politica italiana, è frutto di un lungo, complesso, difficile percorso di elaborazione, della quale il testo qui sopra linkato è soltanto il punto di approdo. Questo blog è in grado di offrirVi, per gentile concessione del cestino della carta straccia, una delle prime versioni del medesimo documento, in forma più semplice ed immediata, per soli motivi di studio. Buona lettura.

“Genericissimi,

qui metto quella cosa che tre milioni di italiani mi hanno votato, non è vero perché in tutto hanno votato duemilioniessette e io ho fatto unmilioneennove quasi – ma, insomma, ho fatto il pieno, concentratevi su questo. Le politiche sono andate da schifo e le primarie no, quindi, di nuovo, concentratevi su questo. C’è lo schifo della politica, i cittadini che girano con la scorta di sacchetti per vomitare, e vogliono un sacco di cose e insomma se si fa presto, si fa presto. E’ il 2014, ma ci pensate?

Qui invece faccio finta che non sia la milionesima volta che il PD tenta di prendere in mano la situazione senza mandare tutto in vacca per un motivo o per un altro. E faccio anche finta che non sia la milionesima volta che diciamo 1) che ci vuole una legge elettorale che sia buona (come il prosciutto,’ mi dia due etti di quello bono’); 2) che si cambia anche il bicameralismo, si fanno le Autonomie Locali e si tolgono le indennità ai senatori (non so se metto anche che non vengono più eletti ma diventano tali sulla base dei loro ruoli nei Comuni e nelle Regioni.” Non fa figo come “tolgo le indennità ai senatori”, poi vedo; 3) poi c’è quella cosa delle competenze dalle Regioni allo Stato e riduco le indennità dei consiglieri regionali, al livello di quelle dei sindaci delle città capoluogo. Oh, che Firenze è capoluogo?

E qui faccio il grande gesto; siccome il PD c’ha la responsabilità, c’ha il mandato, e bla bla bla, ma non ha uno straccio d’idea decisa, senti qua, dico “Pur essendo il primo partito non imponiamo le nostre idee, ma siamo pronti a chiudere su un modello tra quelli qui sommariamente esposti” e vado con l’elenchino delle solite tre, diconsi tre, proposte di riforma elettorare, la spagnola (che pare un’epidemia), il Mattarellum revisited con il premio di maggioranza al 15% che sembra una tassa e il doppio turno di coalizione dei sindaci. Fosse per me, chi vince con il 60% dei voti, passa automaticamente all’elezione diretta del Primo Ministro, eliminatoria diretta su Sky. Ma siccome sono bonino, faccio una grande apertura “Il PD è pronto a recepire suggerimenti, stimoli, critiche su ciascuna di queste tre proposte. Ma chiediamo certezza dei tempi e trasparenza nel percorso: la politica non può più fare passi falsi.”, strepitosa, non ho schemi, non ho punte ma butto la palla nell’area avversaria, vediamo se qualcuno la prende. Dopo di che, bisogna fare presto, perciò facciamo gli incontri bilaterali con chi ci sta. Se ci state tutti, col cavolo che si fa presto. Se non ci state e basta, ci riuniamo da soli e (no, così non va bene. Non è democratico, progressista e non c’abbiamo una sola idea chiara, l’ho detto).

Qui concludo, faccio i soliti auguri d’inizio anno, compratevi l’oroscopo di Branko che vede più cose di me e metto un altro punto fermo. “un accordo alla luce del sole, il più rapido e vasto possibile, sulla legge elettorale sarebbe un segnale semplice ma chiaro che iniziamo l’anno nel migliore dei modi.”. Quel ‘che iniziamo’ mi stride un po’ in grammatica ma è chiaro e friendly. Poi torno marziale e proclamo che il PD è pronto ad accettare la sfida – e anche così, anche questa volta, ho detto tutto, senza dire niente.

Un saluto cordiale anche dai Ramones (che sono come me: tre proposte, no pardon, tre note – e via!). Nota: ricordarsi di proporre “We’re An Happy Family” come inno del PD.”