MISSIONE IMPASSIBILE – The S.H.I.T. Conspiracy 3

 

 

3. Missione Impassibile.

Avendo con cura riposto attrezzi e abiti da lavoro, Ahmed (il cui vero nome non era Ahmed ma abituarsi a quel piccolo segno d’indifferenza faceva parte della Missione Impassibile) percorse a ritroso il corridoio diretto agli ascensori; il tragitto si rivelò, non a caso, più affollato di quanto non fosse ogni giorno, a quell’ora. Si trattava a prima vista di impiegati e funzionari assegnati agli uffici di quel piano più altri in transito da altri piani e uffici: questo, in superficie. Ahmed notò con un minimale, interiore senso di soddisfazione la frenesia, il nervosismo, lo stupore e infine l’inorridita sorpresa che aleggiavano nell’aria diffondendosi tra i dipendenti della Grande Azienda come un virus, mano a mano che s’avvicinavano al ristretto locale da dove continuavano a provenire urla strazianti.

Con la consueta calma da fine turno l’inserviente raggiunse gli ascensori, premendo il pulsante di chiamata per la discesa; era di fondamentale importanza per lui mantenere il medesimo atteggiamento di sempre, quello più gradito ai suoi due datori di lavoro (impresa di pulizie e Grande Azienda). Bovina placidità sorridente, lieve ottundimento sensorio soporoso: Ahmed sapeva come attenersi al copione scritto per lui. Tranquillizzante, silenzioso, invisibile; parlare solo quando interrogati, ridere alle solite battute logore e stereotipate, pulire e disinfettare senza inutili polemiche sulla cattiva educazione generale. Un ruolo che richiedeva pazienza, nervi saldi e precisione: in fondo, bastava poco per rischiare il posto. Il semplice gesto di strofinare un dito sul ripiano d’una scrivania qualsiasi.

Nessuno avrebbe fatto caso a lui, neppure (e meno che mai) nel caos generato dall’avvenimento ancora in corso; nessuno avrebbe fatto domande né collegato Ahmed-non-Ahmed alla sciagura occorsa al Dottor Robertetti. Infine, nessuno lo avrebbe notato tornare l’indomani e riprendere servizio. Solo un addetto alle pulizie. Uno che pulisce la merda. Approfittando della cabina vuota, sfilò dalla tasca posteriore dei pantaloni il Libro Sacro aprendolo in fretta per rileggere gli appunti presi a matita nella facciata libera dell’ultima pagina; implorando mentalmente perdono per quella mancanza di rispetto studiò la missione che la voce elettronicamente alterata al cellulare, ascoltata la comunicazione in codice, gli aveva assegnato.

Nel frattempo, come una fenice risorta da ceneri decisamente maleodoranti, Robertetti emerse dall’angusto loculo nel quale era rimasto involontariamente imprigionato: urlante ma vivo, dolorante ma solo nella mente, sostenendo con entrambe le mani il voluminoso addome intatto. Nessuna ferita, nessun segno di morsicature a dispetto di quanto, con voce resa infantile dal terrore, lo stesso funzionario andava gridando a occhi sbarrati: – “Aiuto. Mi sta divorando. Aiutatemi. Fermatelo. Mi sta mangiando!!”. Non era quello l’orrore, non era quello a far ritrarre al suo passaggio i pur volenterosi colleghi accorsi. Robertetti non era divorato da un’orrida creatura, Robertetti ERA l’orrida creatura che andava descrivendo.

Del resto, oltre a trascinarsi con i pantaloni penosamente abbassati, era coperto di pasto serale e prima colazione fino agli occhi. E nessuno dei suoi colleghi si sarebbe fatto reclutare per quella Missione Impassibile.

(continua con le mollette sul naso. Il precedente episodio è QUI).

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Angolo delle letture disinteressatamente consigliate:

Just Ice – La Giustizia è un piatto che si serve a freddo.

 

THE S.H.I.T. CONSPIRACY 2: Dal profondo

Da conoscitore della materia qual era, il Dottor Robertetti intuì all’istante che qualcosa non stava andando per il verso giusto: il getto d’acqua non fluiva con il consueto scroscio argentino (per quanto Robertetti non avesse mai scoperto cosa c’entrasse l’Argentina. Ma era un problema ignorabile come la maggior parte di quelli che giacevano sulla sua scrivania); viceversa, dal profondo dell’ingiallita ceramica aziendale si stava sollevando un cupo, gorgogliante borbottio. Un ringhio basso e soffocato che non poteva appartenere a una semplice conduttura ostruita. Scostandosi d’istinto, i pantaloni non ancora risollevati, Robertetti osò l’inosabile; compì il gesto che in 47 anni di esistenza aveva sempre evitato, con accuratezza: abbassò lo sguardo in direzione del combinato disposto tra umanità e idraulica. In altri termini, osservò l’abisso.

Solo per scoprire che l’abisso stava osservando lui. Dal profondo.

Con. Un paio. Di. OCCHI.

I pantaloni, trascinati dalla pesante cintura in vero coccodrillo (con buona probabilità uno intero, valutando la circonferenza del Dottore) ricaddero sul pavimento piastrellato in elettrico blu a psichedelico contrasto con il grigio perla delle pareti; seguiti, in una frazione di secondo, da tre quotidiani, un contenitore termico e un ombrello portatile in caotica caduta libera. Le mani di Robertetti sventolavano in aria mentre il proprietario cercava di uscire dal bagno non accorgendosi che quel tentativo era frustrato da due ben precisi fattori: la sua stessa ingombrante mole e l’ambizione d’aprire la porta spingendo anziché tirare. In leggero ritardo sull’oggettistica già abbandonata alla forza di gravità, un fiotto di saliva esondato dalla bocca rimasta spalancata piovve sul piastrellato allucinatorio mentre gli occhi del funzionario rimanevano incollati sulla realtà (?) che si stava sollevando da quello che sino a pochi istanti prima altro non era che l’ordinario recipiente consacrato a un’egualitaria manovra liberatoria. Una realtà viscida, al tempo stesso acquosa e solida. Tremolante come budino e grumosa come un impasto mal riuscito.

Al culmine della paura e dell’orrore, Robertetti riuscì finalmente a urlare quando intravide i DENTI della creatura.

Purtroppo le sue urla non furono sufficienti a preservare un così valido funzionario (più volte proclamato “dirigente del mese”) dall’essere divorato; in un estremo sussulto di lucidità, prima di soccombere a quel destino atroce, il Dottore ebbe modo di riflettere per l’ultima volta sul significato e sui paradossi dell’esistenza. Quella creatura si era in qualche modo generata da lui (dal profondo, un altro profondo), in qualche modo; e dopo averlo divorato, lo avrebbe di certo digerito e… cosa? Assimilato? Espulso?

Mentre l’orrore terminava il non fiero pasto, ponendo le basi per la risposta che Robertetti non avrebbe più potuto conoscere, all’altro capo del corridoio esterno, chiuso nello stanzino di servizio, Ahmed (il cui nome non era Ahmed ma in quel posto del cavolo tutti lo chiamavano così. Da solo contro quattrocentotrenta indigeni convinti aveva deciso di chiamarsi Ahmed. Almeno lì) prese dalla tasca posteriore della tuta un cellulare usa-e-getta, componendo un numero a memoria. Al segnale di risposta l’interlocutore non fece seguire parola alcuna, avendo l’unico incarico di ascoltare. Toccava al giovane laureato in biologia, temporaneamente impiegato nei servizi di igienizzazione manuale (Ahmed o comunque si chiami, insomma) parlare.

– Sono io. Il fiore è sbocciato e si sta nutrendo. E’ “go” per la potatura. “Go” per la potatura.

(continua dopo l’angolo del giardinaggio. Il precedente episodio è QUI)

 

RESURRECTION - La serie che può cambiare la vosta mente. Alla lettera.
“RESURRECTION” – La serie che può cambiare la vostra mente. Alla lettera.
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THE S.H.I.T. CONSPIRACY (Un Thriller)

Come ogni mattina, il Dottor Robertetti attraversò a passo di carica lo spazio critico tra l’ascensore e la porta del locale bagno. Rosso in volto, già sudato nonostante la temperatura invernale e il non perfetto funzionamento dell’impianto di riscaldamento, spalancò la porta con una mano unticcia mentre con l’altra reggeva in precario equilibrio ombrello portatile, tre quotidiani e un contenitore termico per il pranzo. Facendo irruzione con la stessa grazia di un quarterback con le emorroidi, il “Dottore” (tutti, in quel palazzo, si facevano chiamare così, per default) evitò per poco di travolgere Ahmed, l’addetto alle pulizie: per la precisione fu Ahmed (il cui vero nome non era Ahmed ma tutti, in quel palazzo, lo chiamavano così, per default) a scansarsi con agilità agevolata dalla pratica. Si trattava di un situazione ripetitiva, ampiamente collaudata; la semplice coincidenza tra l’orario abituale di arrivo del funzionario di dodicesimo livello e l’orario di svolgimento pulizie per i locali del primo piano. Ahmed sapeva bene quale fosse l’esigenza primaria del Dottore quindi non si limitò a schivare la porta ma fece addirittura due passi all’indietro pur dovendo spostare anche il carrello con stracci, panni, secchio già colmo d’acqua annerita e spazzolone; con la consueta e innata gentilezza – dopotutto, era laureato e di buona famiglia prima che la guerra nel paese d’origine facesse di lui un profugo – salutò l’arrembante funzionario.

– Buongiorno, Dottor Robertetti!

– Levati dalle palle, devo CAGARE!

Ridacchiando nella sua imitazione di Eddy Murphy quando recita la parte del semi-deficiente, Ahmed lasciò il locale bagno; dentro di sé sapendo che in pochi minuti tutta la fatica per lucidare pavimento e sanitari sarebbe andata perduta. Robertetti non era un normale essere umano con una normale peristalsi, era un tornado F5 la cui potenza rivaleggiava con le peggiori catastrofi climatiche degli ultimi anni; in effetti si sarebbe potuto dire che se esisteva un ‘effetto farfalla’ nell’emisfero occidentale industrializzato, quello era Robertetti. Ahmed fu contento di sentire la porta basculante del bagno richiudersi con un solido “klaa-ak” dietro di lui.

Nel medesimo istante il Dottore fece sbattere in chiusura la porta del bagno maschile, accelerando le operazioni di rilascio cintura e pantalone: con un deciso strattone alle mutande eliminò l’ultimo ostacolo alla partenza del vettore M, giusto in tempo per il fatale comando “ignition” del proprio countdown. L’asse in plastica bianca vibrò ai limiti della propria, limitata, elasticità mentre l’imponente stazza di centotrenta chili per un metro e settanta centimetri scarsi – avvolti come da copione aziendale in giacca e cravatta dell’unica sfumatura di grigio autorizzata, quella più insignificante – s’incastrava nell’ovale come un’astronave alla stazione madre. L’apertura del portello di scarico fu immediata. Dall’esterno, dagli uffici circostanti e persino dal locale di servizio, all’altro capo del corridoio, dove Ahmed stava facendo rifornimento di detersivi, il rumore prodotto dal tornado risultò perfettamente udibile così come il lamento sofferente della farfalla che ne era all’origine.

Come ogni mattina, il Dottor Robertetti si chiese cosa mai avessero fatto di male i suoi genitori per dotarlo di una motilità così precisa e devastante, soprattutto di prima mattina. Dopotutto, erano ferventi cattolici; quel tipo di coppia votata alla fedeltà assoluta e al totale rispetto dei valori. Insomma, come amava dire per sollecitare il facile divertimento dei colleghi (soprattutto dei superiori, ai quali era votato molto più di quanto i suoi genitori non lo fossero a Dio), lui era la prova che mamma e papà almeno una volta nella vita avevano scopato. E siccome non aveva fratelli, il resto veniva automatico. Come il fatto che il DNA familiare non dovesse essere di primissima qualità: insomma, la colpa (se una colpa c’era) non poteva essere sua né, tantomeno, della sobria e salutista colazione che amava ingurgitare al mattino. Caffelatte, marmellata, burro, doppia fetta di pane integrale, quattro biscotti al cioccolato, due bicchieri di succo d’arancia. Tutta roba naturale, tutto bio.

Come bio era il risultato dei suoi sforzi, disposto con bio casualità nel contenitore in ceramica. Ripulendosi con una buona metà del rotolo di carta disponibile, una mano impegnata nella manovra e l’altra sempre, miracolosamente, impegnata a salvare giornali, ombrello e contenitore termico, Robertetti lanciò uno sguardo preoccupato alla cospicua produzione rilasciata: “Merda, qua s’intasa” rifletté armoniosamente, ignaro d’avere concepito un pensiero girevole, funzionante anche al contrario. La riflessione successiva, distintiva del suo carattere, fu “Chissenefrega. Tanto pulisce quel negro di merda, coso, come si chiama… Ahmed. O Abdallah. Fanculo”.

Soddisfatto della propria capacità e velocità di problem solving, schiacciò il tasto basculante dello scarico.

E quello fu l’inizio della tragedia.

(continua dopo lo scarico)

La pagliuzza e la trave – remix

Nel corso della domenicale puntata di “Che Tempo Che Fa”, Massimo Gramellini , vice-direttore della Stampa nonché exquisite opinionista Faziano infierisce in questo passaggio (a partire da 16′:14″) su Gianni Cuperlo; reo, secondo il columnist, di essersi “abilmente conquistato la ribalta mediatica” convocando un’assemblea in contemporanea con quello che Gramellini stesso chiama ‘lo show di Renzi’.

Cuperlo ha lanciato la sua proposta il 22 Marzo scorso, dalla propria pagina FB: lo dico en passant. Non è questo, tuttavia, che sta a cuore alla nobile penna stilografica di Gramellini: quello che non gli va giù, è nell’elenco dei partecipanti più noti, nomi che simpaticamente Gramellini definisce ‘Politburo’, controfigure italiche di Breznev e Andropov, personaggi che al Sacro Popolo delle Primarie, guidato alla terra promessa da Mosè Renzi fanno orrore. Sono loro, il Male.

Al tempo in cui quel supposto Politburo poteva vantare l’età anagrafica dell’attuale Segretario Nazionale/Sindaco/Primo Ministro, questa tattica era già vecchia: si chiamava ‘demonizzazione del Nemico’ e arrivava a noi sospinta proprio dal vento dell’Est, geografico e politico. Risulta davvero incomprensibile che una persona scrupolosa, attenta ai fatti e soprattutto di ampie vedute si presti ad uno dei più stanchi e riduttivi schemi di analisi. Ah, già: ma stiamo parlando di Politica, my Gowwd.

Com’è fortunato, Gramellini, a vivere in un altro mondo, quello dell’informazione libera e anti-dogmatica: un mondo dove mai un direttore di giornale è eterno; dove mai nessun giornalista lascia un giornale per fondarne uno a propria immagine e somiglianza; dove né la politica né l’industria possono far valere le proprie, pressanti, esigenze corporative. Un mondo dove conta solo l’opinione dei lettori, soprattutto i più umili. E quanti giornalisti conosciamo che giunti alla ‘mezza età’ si sono dimessi, per cedere il proprio posto ai colleghi giovani, neo-assunti? Conoscete forse un solo giornalista che si sia mai compromesso con il potere? Che abbia anteposto la propria carriera al dovere d’informare?  Mai, mai in Italia.

Il Paese della libertà di (La) Stampa.

(P.s.: sì, la battuta finale è stantia, e io sono di parte. Tuttavia, essendo John McEnroe il mio filosofo di riferimento  ho sempre una reazione poco composta a quei simpatici signori con il cappellino che, comodamente seduti, chiamano gli out. You can’t be Serious, Gramellini).

The Walking PDead – stagione 2

Riassuntooh: la nuova stagione di Sbagliate Creanza è già stagionata. 150 anime ufficiali, ovvero uno sparuto drappello di ufficialmente vivi ed un crescente plotone di ufficialmente morti – ma in attività. I morti camminano sulla terra, percorrono le strade, rivendicano i propri diritti. E quindi..

“Si vota!” Un sorriso malizioso si dipinge sul viso del piccolo Matteo, nel momento in cui dà ufficialmente il via alle operazioni di voto. Non sono passati che pochi giorni dall’incontro notturno con l’ex-segretario, ex-tintore, ex-qualsiasi cosa Luca, eppure potrebbero essere passati mesi – anzi, a giudicare dalla qualità dei decadenti corpi che affollano la sede del Partito Progressista, ANNI. “Si vota, Signori!”, ripete, strofinando le paffute manine, osservando all’intorno: la sede non è piccola ma l’affollamento è tale da renderla insufficiente; manca persino l’aria, nonostante porte e finestre spalancate. Certo, il caldo soffocante è un problema solo per i pochi che ancora respirano..

Solo pochi giorni, nei quali Matteo, insieme a Sara, la fedele (ma a che?) vice-segretaria permanente (in quel momento, impegnata al seggio , indossando una maglietta con la dicitura: “Basta con il Governo delle Banche Intese”)  ed a Pier Paolo Dito, l’evoluente skater del Movimento 5 Rotelle (in quel momento, impegnato a spiegare, fuori dal seggio, che  “il nuovo sono io, sono io il nuovo – scusa mi raccogli l’occhio?”), ha convocato, organizzato e normato le votazioni per eleggere il nuovo segretario cittadino. Nuove regole, perché  il Partito Progressista deve essere trasparente ed aperto, aperto a tutta la società

Dalla porta aperta del partito aperto entra, a sorpresa, un pezzo di vecchio partito chiuso (che è chiuso in più d’un senso). Pallido, emaciato ma in buona salute (soprattutto in rapporto alla condizione di buona parte dei presenti), Luca fa il suo ingresso in quella stanza dove, fino ad un mese prima, svolgeva le sue funzioni politiche. E’ uscito dall’ospedale quella stessa mattina, dopo un intervento, riuscito, per riattaccare il braccio. Prima dell’operazione, si è assicurato che moncone e braccio staccato fossero adeguatamente disinfettati. A fuoco. Nessuna conseguenza, salvo il fatto che il braccio riattaccato funziona ma non lo sente; lo sentiva di più quando era staccato. Tuttavia, ha ancora in mente la precisa, serena, diagnosi del professor Aristide Lama, il luminare del taglia-e-cuci.

“Che pretende??  E’  la sinistra,  funziona  così:  ora-e-sempre-un-solo-progetto: rigetto, rigetto, rigetto”.

Lo spettacolo all’interno del circolo sembra offrirgli una chiave pratica di lettura di quello slogan, preferisce soprassedere. La luce del mattino, fredda e tagliente, fa di lui una sagoma rattoppata sulla soglia del partito. E’ questo che fa, la militanza: ti trasforma in una metafora di te stesso. Luca detesta le metafore, quindi parte all’attacco del giovane Matteo.

“Non siamo un po’ troppi, a votare?”. Matteo non dismette il suo sorriso fiducioso e mellifluo: “Niente affatto. Tutti iscritti. Il regolamento ammette le iscrizioni in qualsiasi momento, anche in bagno”.

Luca non demorde: “Da quello che vedo, qui qualcuno è iscritto dal 1870. Forse è il caso di restringere l’arco temporale”. Matteo neppure: “L’arco temporale non deve contraddire l’arco costituzionale. Questo è un paese libero, democratico e partecipativo. Tutti possono partecipare”. Il controluce nasconde il sopracciglio con sdegno sollevato da Luca: “Anche i redivivi?”. La replica del paffuto è fulminea.

“Vuoi mettere l’esperienza? E’ l’inizio di una nuova stagione: lo zombie, è progressista. Ritorna sempre”

(continua)

24:p.d. – Leave Another Day

Precedentemente, in 24:p.d.: l’agente Giacomo (purtroppo per lui detto Jack) Bauer, del Controllo Tenuta Unitaria, riceve l’incarico dal Colonnello pro-tempore Epifani, di sorvegliare i vertici del Partito Democratico durante lo svolgimento delle esercitazioni preliminari alle grandi manovre del Congresso. Bauer indaga con discrezione (soprattutto perché non se lo fila nessuno) ma un evento inaspettato arriva a complicare il suo lavoro..

Quello che segue accade tra le 06:00′ e le 07:00′

La notte non ha portato consiglio né, tanto meno, qualche oretta di sonno ristoratore. Il sorgere dell’alba trova comunque Bauer lavato, sbarbato e con abito stirato – come sempre, in questa serie. Lo stesso dicasi per la sua assoluta mancanza di qualsivoglia necessità fisiologica, impellente o meno – sesso a parte. La giovane proprietaria del piccolo bar appena aperto al quale si sta avvicinando per consumare una rapida colazione sembra risvegliare in lui qualcosa. Qualcosa di sopito ma non domo. Qualcosa che per una persona normale altro non sarebbe che normale desiderio. Non per lui.

E’ dura, lavorare per il PD. Un partito dove vige la più ferrea disciplina. Il più severo rigore. Dove la parola di un segretario è legge, ogni direttiva parole scolpite su pietra. Immerso in queste riflessioni, Bauer si rivolge sorridendo alla ragazza, per ordinare: “Stronzate, buongiorno”.

“Come, scusi?”

“Ho detto ‘un cappuccino, buongiorno”

Mentre la ragazza – alla quale non avrà mai più il coraggio di rivolgere la parola (e poi, è noto che le sue partner non durano mai a lungo. Il tempo di rimediare una pallottola) lo fissa con dubbiosa severità, quasi fosse un’iscritta del PD, Bauer si siede in fretta ad un tavolino, recuperando il cellulare di servizio dalla tasca interna della giacca. Ha ricevuto un messaggio. Osserva il display.

“Congresso del circolo Controllo Tenuta Unitaria, risultati. Votanti ed iscritti: 515. Hanno ottenuto voti: Quagliarulo 224, Peragalli 212, Terenghi 42, Ecumeni 31. Schede bianche: 5 Schede con Paperino: 1”

Con la velocità che gli è propria in queste situazioni, in meno di due frame Bauer raggiunge la sede del CTU, opportunamente celata in un’anonima palazzina a due piani sul lungomare di Ostia Lido. Dietro il muro sbrecciato, la siepe rinsecchita e le persiane storte e corrose dalla salsedine, cinque livelli sotterranei di pura tecnologia acquistata ed installata grazie allo sforzo dei volontari. Quindi, cinque gallerie romaniche altrimenti dette catacombe. In una di queste, arredata da ufficio grazie allo sforzo del circolo “Monta un partito” di una nota multinazionale del mobile, incontra Clodovea detta Cloe, sua preziosa ed inseparabile collaboratrice. E’ preparata, intelligente, dotata di acuto senso critico e spirito d’iniziativa (ora, non pretenderete che sia anche una top-model, vero?). Jack si rivolge a lei con la familiarità consolidata in anni di lavoro fianco a fianco.

“Che cazzo avete combinato?”

“E’ bello anche per me rivederti, Jack”

“Il nostro circolo, tanto per cominciare, è segreto. Da quando, teniamo congressi? E da quando abbiamo 515 iscritti? Siamo in 50 a pieno organico, ovvero MAI! C’è sempre qualcuno morto o ferito!”

“Jack, questo partito non ha segreti. Siamo aperti e trasparenti, per questo suscitiamo interesse. C’è interesse, ovunque. Stiamo crescendo.”

“Ma come fai ad essere così cret.. ehm.. ingenua? Dammi il computer.. dammi il satellite.. trova la scheda dei candidati.. trova i profili professionali.. adesso trova gli indirizzi IP.. entra nei loro database.. preleva i dati… incrocia.. hai fatto??”

“E’ bello sapere che senza di me non ti troveresti neppure la lampo dei pantaloni, Jack”

“Per quello che mi serve. Guarda qui: Quagliarulo fa anche il medico di base, gli iscritti sono tutti suoi pazienti, qualcuno ha persino votato sulla ricetta anziché sulla scheda.. Peragalli è undercover come insegnante, alle superiori.. metà dei suoi iscritti sono studenti, gli altri.. indovini? I genitori. Terenghi ed Ecumeni sono due agenti semplici, hanno fatto iscrivere amici e familiari, più i soci del club “24:p.d. – La serie” che si sono fregati la scheda firmata da me”

“Scusa, Jack ma tu quando hai votato? Sei in missione!”

“Infatti, non ho votato. Io non voto mai, sono fedele al Partito a prescindere dal Segretario. Io eseguo, non decido. Sono l’ultimo della mia specie, sono più dinosauro io della nostra Direzione Nazionale. Adesso, però, una decisione la prendo. Dolorosa”

“Non farlo, Jack. Decidere non è la cosa che ti riesce meglio. Vuoi un consiglio?”

“Da te? Sei una donna intelligente. Sei prepararata, colta e gentile. Hai partorito con dolore, hai fatto carriera con sacrifici inauditi senza far mancare alla tua famiglia il tuo appoggio. ll partito ti deve molto ma anche questa volta la tua candidatura non è andata. Insomma, dovrei accettare il consiglio di una sfigata?”

“Ineccepibile. Fa’ quello che vuoi, stronzetto”

“Certo. Questo congresso è una vergogna. Ora mi presento dal Segretario Epifani e non solo chiedo l’annullamento del congresso del CTU, restituisco anche il mio distintivo”

“No, Jack, questo non te lo meriti!”

“Forse sì. Non sono stato attento. Non sono stato abbastanza vigile. Con queste cose non si scherza: un’apertura qua, un cambio di regole là… ed il partito si trasforma in un luna-park. Addio, Cloe”

Con virile espressione addolorata, Jack esce dalla stanza; con femminile espressione ironica, Cloe lo osserva, meditando sul fatto che sarà forse la centesima volta che Jack le dice addio. Ritornerà. Ritorna sempre.

Che diavolo potrebbe mai fare, fuori dal Partito?

06:59′:57″ … 06:59′:58″ … 06:59′:59″

Nota dell’Autore: mi assumo completamente la responsabilità per il penoso esito del Congresso del CTU, il proliferare di tessere è interamente da attribuirsi alla mia disattenzione artistica e non ai candidati alla Segreteria Nazionale. Me ne scuso con i fan della serie, ai quali consegno le mie dimissioni virtuali. E questo è tutto: se vi aspettate scuse e dimissioni reali ed uno svolgimento corretto del congresso, beh, state davvero seguendo un serial..

 

Multiply5Senses

Il Grande Testimonial s’avvicinò alla vetrata, per osservare il mare, oppresso da una folata d’angoscia. Osservare le onde aveva sempre avuto un effetto calmante, ipnotico, su di lui: ma non in quel momento. Aveva visto i segni. Tutti. C’era inquietudine, nel movimento; c’erano crepe improvvise nella perfetta costruzione armonica della struttura.

Dissidenti.
Davvero?, si chiese a voce alta, nella solitudine di quel luogo, veri dissidenti? Oh, li aveva osservati, aveva studiato ogni postura, ogni tono di voce, ogni tic nervoso. Aveva ascoltato parole che non avrebbe mai creduto di poter sentire, non dal suo popolo; aveva memorizzato le gocce di sudore, i tremiti, persino i pianti. Dissidenti.
No, lui aveva visto i segni ed era tempo d’intervenire.
Scosse la testa, per una volta reticente a sé stesso: era il tempo, sì, ma la decisione era dura, difficile. Non sarebbe stata la prima, comunque; e non intendeva sottrarsi alla responsabilità che aveva assunto: lui era la guida, lui il testimone, lui la luce. Doveva fare quello che doveva essere fatto.
Li avrebbe chiamati, tutti. Tutto il movimento, tutti insieme nello stesso istante: avevano la tecnologia, erano nati con la tecnologia. Comunicare era il verbo, comunicare era l’essenza, la comunicazione multipla era il mezzo: avrebbe parlato, avrebbe chiesto loro di ripetere le sue parole, ripeterle ancora ed ancora, rivolgendosi ai quei “dissidenti” (oh, ma lui li aveva visti davvero). Avrebbe chiesto a tutti di ripetere solo quelle tre parole, un’esortazione, un progetto.
“Uscite da questo corpo”.
Perché il momento era giunto di rivolgersi all’esorcistech.

 

THE WALKING PDEAD – Seconda Stagione

Memo: Sbagliate Creanza, 150 anime in cerca di corpo non tumefatto. L’ex-Sindaco Luca vaga nottambulo e auto-mutilato per le strade di paese, cercando di ritrovare il senso della vita (politica, quella biologica sembra molto più compromessa). L’oscurità gli riserva un incontro inaspettato, un vivace bambino che gli intima di procedere a congresso: ha fretta di diventare segretario e sindaco. E la notte è ancora lunga..

“Allora, hai deciso?”

“Che cosa?”

“La data del congresso”

“L’unica cosa che ho deciso è quella di riaccompagnarti a casa e chiedere ai tuoi genitori cosa ci fai in giro per il paese a quest’ora”

Luca accompagna l’ultima risposta con un gemito, è incredibile quanto male possa fare un braccio staccato, soprattutto se è il sinistro. Tra sè, Luca considera anche quanto facile sia stato staccarselo, quel braccio, quasi che volesse staccarsi. Immerso in queste considerazioni, si lascia sorprendere dalla replica del piccolo Matteo.

“Giro quanto mi pare, visto che ho il permesso. I miei genitori stavano litigando ed io ho avuto l’autorizzazione a maggioranza dall’assemblea”

“Quale assemblea?”

“Quella dei miei amici. Li ho chiamati su Facebook”

“Sublime. Un voto su Facebook non è valido”

A questa risposta, il volto di Matteo si fa livido, la bocca stretta e le sopracciglia aggrottate: “Con questo dimostri la tua arretratezza, nonché la tua inadeguatezza a guidare questo partito. I tuoi strumenti sono vecchi e superati, è ora che tu ti ritiri e lasci il partito in mani giovani e moderne. Quando si fa il congresso?”

Vorrebbe rispondere, Luca, avrebbe argomenti da vendere. Eppure, non riesce – manca in lui la convinzione che quello della data sia davvero un problema più urgente ed importante degli altri. Il braccio sinistro ancora sanguina, dal moncherino attaccato alla spalla e dal braccio stesso, saldamente in mano alla destra. Al diavolo, pensa l’ex-sindaco.

“La vita NON E’ una metafora, ragazzo. La realtà è quella che abbiamo attorno, non quella che vogliamo che sia: e la realtà è che qui, prima di una data, ci serve un’idea. E ci servono persone. Vedi molte persone ATTIVE, intorno a te?” L’espressione di Matteo torna a farsi corrucciata, decisamente infantile – ma è subito trasfigurata da un malizioso lampo nello sguardo: “Attorno a me vedo un sacco di elettori delusi, è arrivato il momento di parlare con loro, di riavvicinarci a loro. Continueremo a perdere, a forza di avere la puzza sotto il naso”.

A quelle parole, la reazione di Luca non è solo spontanea, è chimica: “Non è puzza, è DECOMPOSIZIONE, qui sta tutto andando in malora e noi ce ne stiamo qui, al buio, in piena notte, a discutere di date, di sindaco e segretario e.. puzza! Voi sapere a me, cosa mi puzza??”. Matteo fa un passo indietro, spaventato dalla reazione: “Oh, oh, buono! Ricordati che sono un bambino”. Luca, però, è irrefrenabile. Una mente ed un braccio COMUNQUE collegati.

“Quello che mi puzza è che qui è pieno di stronzetti come te che lasciano fare tutto agli imbecilli come me, lasciano che mi prenda le palate di fango di tutti, lasciano che rischi in prima persona, che finisca con lo sbagliare – e poi saltano fuori, con queste belle faccine e tengono lezione, e ti spiegano quanto sei inadeguato e le cose meravigliose che avrebbero fatto al tuo posto.. nel frattempo, si tengono bene ai margini, hai visto mai che tocchi sudare in prima persona! Tu ti senti pronto, vuoi fare il sindaco, il segretario e magari vuoi anche la mia tintoria? Beh, sentiamo: qual’è il tuo programma?”. Quasi non si accorge d’avere sventolato in aria il braccio amputato, con la mano stretta a pugno.

“Ah, beh, il programma.. ci ho un amico che lo sta preparando per bene, è uno ganzo, uno scozzese, sai?”. Luca lo interrompe, di nuovo sventolando il braccio. “No. Fammi indovinare. Joshua McKinsey”. La sorpresa di Matteo è sincera.”Oh bella, lo conosci?”

Con calma, con lentezza secolare (da vecchio, insomma), Luca si appoggia alla parete dietro di lui, lasciandosi scivolare fino a terra; tiene lo sguardo fisso sul ragazzo ma è come se vedesse attraverso di lui. Come se vedesse quello che al ragazzo forse sfugge: il quadro completo. “Lo conosco. Conosco lui e conosco la sua famiglia, una famiglia numerosa, tutta in giro per il mondo e tutti con lo stesso curioso hobby”. Sospira.

“Spiegare a chiunque il suo programma”

(McContinua..)

24:p.d. – Leave Another Day

Quello che segue accade tra le 04:00′ e le 05:00′

Roma, Fontana di Trevi. L’Agente Giacomo Bauer, responsabile del Controllo Tenuta Unitaria del PD consulta sul proprio tablet (un Ai-pd schermo 7 pollici ed un indice, risoluzione a tre colori bianco-rosso-verde e sistema operativo Pd-droid a dialettica alternata) gli appunti dei primi due incontri della missione. Non è per questo che rabbrividisce, nell’afosa notte della Capitale. Bensì perché un sottile brivido gelato ha raggiunto la sua nuca, come un fosco presentimento. In realtà, più come un improvviso alito di brezza gelida. Ancora prima di voltarsi, riconosce l’uomo che si sta avvicinando.

Riconosce la figura magra, sofferente, dallo sguardo chiaro ed indecifrabile (non per chi ha, sul proprio tablet, l’apposita app decritta-sguardi). Ad ogni passo, l’atmosfera intorno all’uomo e vicino a Bauer sembra farsi via via sempre più fredda. Bauer finge di non accorgersi che l’acqua, nella celeberrima fontana, si sta ghiacciando.

“Segretario Kuperlov, Signore”, pronuncia in tono che vorrebbe essere opportunamente gelido. L’uomo lo osserva con sguardo indecifrabile (l’app era una versione di prova ed è scaduta), quindi risponde al saluto, con un mesto sorriso indecifrabile. “Bauer. Veramente, non sono Segretario e non sono russo. Il mio nome è Cuperlo, sono di Trieste. Ha presente la bora?”

Jack-Giacomo non ha il tempo di rispondere, un’improvvisa raffica a 154 km.orari gli strappa di mano il tablet, mandandolo ad adornare la Fontana dei Ghiaccioli di Trevi. “Mi scusi, Signore, solo un gioco di parole che circola nel Partito”. Cuperlo annuisce con lentezza sveviana (ovvero, ci vorrebbero dieci pagine per descriverla, altro che post), poi sussurra: “Giochi di parole. Sono l’unica cosa che circola nel Partito, di questi tempi. Io ricordo altri tempi”

E’ un’improvvisa apertura personale, Bauer tenta di approfittarne per meglio decrittare il personaggio: “Come Firenze, Signore? Ricorda l’ultimo congresso dei DS? Lei citò quella frase di Saba, ‘Siamo l’unico popolo che abbia alla base della propria storia (o della propria leggenda) un fratricidio. Mentre è solo col parricidio (l’uccisione, o il superamento, dell’autorità che c’era prima) che si inizia una rivoluzione’ – più o meno, insomma. Ricorda?”.

Alcuni fiocchi di neve danzano sul bavero dell’austero cappotto di Cuperlo, lui sembra non accorgersene. “Perfettamente. E’ così. In quella frase c’è la storia del Paese, la nostra storia, la sintesi della nostra incapacità di rinnovarci, di cambiare. Siamo bloccati. Mi guardi: sono bloccato da sempre nelle posizioni di rincalzo, i vecchi leader mi dicono ‘bravo, bravo, bel compitino’ – e poi mi mandano a sedere in fondo all’aula. Sa, faccio parte di una generazione che si è bevuta quella sciocchezza di chiedere sempre permesso ed aspettare il proprio turno”.

Sorride, allargando le mani, è un sorriso radiosamente malinconico (due uccellini cadono stecchiti dal freddo mentre una coppia di eschimesi scatta fotografie alla fontana). Bauer rompe il ghiaccio con un proprio ricordo personale, in aperta violazione alle regole d’ingaggio: “C’ero anch’io a Firenze, Signore. I DS si scioglievano nel PD, c’era un bel clima, era la vigilia di un grande cambiamento”.

“Il clima si è raffreddato, Bauer, il Partito è in una fase di riscaldamento globale infantile. Non siamo riusciti a rinnovare noi stessi ed ora mi ritrovo a competere per la Segreteria nella posizione del candidato del Vecchio Assetto. Combatterò contro i giovani, io che sono stato segretario della federazione giovanile. Ironico, no? Sembra che Saba voglia beffarsi di me”

Tace, voltandosi verso la fontana; con un gesto automatico, rialza il bavero del cappotto, proteggendosi il volto. “Non importa”, prosegue, “sa, faccio parte di una generazione che si è bevuta quell’altra sciocchezza riguardo al finire sempre quello che si è cominciato. Lo farò. Si chiama spirito di servizio, se tutti lo capissero, avremmo già fatto la rivoluzione”. Bauer sente che un’ultima domanda, a questo punto, s’impone, una domanda precisa, un chiarimento cruciale – ma, prima che possa aprire bocca, il suo interlocutore si allontana di scatto, agilmente, dalla fontana. Pattinando.

“Arrivederci, Bauer. Lasci perdere i giochi di parole, faccia circolare le idee. E aspetti il suo turnooo”.

Svanisce, lesto come un campione sovietico ai mondiali. Bauer si ritrova solo, nella nuovamente afosa imminenza dell’alba, con un AI-pd annegato in acqua. Lo recupera, mezzo sacchetto di riso cinese (in realtà, fatto a Vercelli e fintamente importato) basterà per farlo asciugare. Mentre si allontana sgocciolando, dalla direzione nella quale Cuperlo si è allontanato arrivano le note di una canzone, lontane eppure perfettamente distinguibili.

“una vita da mediano.. finché ce n’hai stai lì.. stai lì.. sempre lì.. lì nel mezzo.. finché ce n’hai stai lì..”

04:59′:57″ .. 04:59′:58″ .. 04:59′:59″

24:p.d. – Leave Another Day

Quello che segue accade tra le 03:00′ e le 04:00′

Roma, nei pressi di Palazzo Madama. Giacomo (detto “Jack”) Bauer, ritrovato agente del Controllo Tenuta Unitaria del Partito Democratico, osserva le severe linee architettoniche del palazzo, sede del Senato della Repubblica. Data l’ora, nessuno dovrebbe trovarsi all’interno, salvo forse qualche turista smarritosi durante l’orario di visite. Bauer ha notato qualcosa, tuttavia, quindi attiva il proprio cellulare in modalità “Traccia-senatori”, grazie ad una nuova ‘app’ appena scaricata illegalmente. Pochi secondi ed ecco, un puntino verde s’illumina sul display che riproduce in computer graphic il vetusto palazzo. Se l’aspettava. Non significa soltanto che il suo prossimo interlocutore si trova ancora nel proprio ufficio.

Significa anche una bella passeggiata per fogne e condotti d’aria. Non importa. Per quanto  antigienica possa essere la situazione, in questa serie le giacche non sono mai sporche.

Scoperchia il tombino accanto a lui, s’immerge. Destinazione: l’ufficio del Capogruppo del PD al Senato, On.Luigi Zanda. Dopo un percorso acrobatico che lo lascia più olezzante che spossato, Bauer si cala dal soffitto della stanza, di colpo, cadendo in piedi davanti alla scrivania del Capogruppo. Il quale, tuttavia, più che sorpreso appare seccato.

“E’ lei Bauer? Che diamine ci fa qui? Non ha qualcun altro da spiare, un terrorista, un frazionista, un giovane turco o un vecchio pirla? Non vede che sto lavorando?”. Giackomo lo osserva con espressione indecifrabile (la stessa di quando si guarda allo specchio, ormai non si decifra più nemmeno lui), spazzolandosi nel frattempo il completo blu immacolato. (E i liquami di fogna? Ve l’avevamo detto).

“Con tutto il rispetto, lei conosce la mia missione, Signore. La tenuta dell’Uli.. union.. dell’Unitarietà è un superiore interesse. Questo significa che ognuno di noi deve superare la verifica dei necessari requisiti: posso chiederle cosa sta facendo qui, a quest’ora?”. Il Capogruppo lo fissa aggrottando le sopracciglia (e ha già un aspetto minaccioso al naturale): “Non lo vede? Osservi questa pila di carte, questi documenti, anche questi qui ingialliti e spiegazzati.. sto lavorando alla nostra strategia di disorientamento”

“Signore?” domanda Bauer con la faccina compunta, domanda e faccina a lungo provate per circostanze di questo tipo (del tipo “non-ci-capisco-un-beato-cip”). “Diamine, Bauer, ma non ha colto gli indizi? I sintomi? Ma non vede come tutti ci danno addosso, a causa di disegni di legge che non abbiamo presentato ieri e nemmeno la settimana scorsa ma mimino – minimo!! – un mese fa?”. D’improvviso, l’intuito soccorre l’ancora olezzante agente Unificante: “Intende.. il disegno di legge per sostituire il principio di ineleggibilità con quello di incompatibilità, Signore?”. “Ma certo! E NON SOLO!”, di colpo alzando il tono di voce, il Capogruppo Zanda scavalca la scrivania con un balzo insospettabilmente agile, sostituendo il principio di gravità con quello di levità.

“Nessuno se ne è accorto.. sono anni che depositiamo disegni di legge a rilascio graduale.. ad ogni scadenza legislativa si ripropongono, come un virus informatico.. abbiamo un disegno di legge per sostituire il principio di incostituzionalità con quello di incomunicabilità.. il principio di solidarietà con quello di solidità.. un disegno di legge per abolire le leggi finanziarie e sostituirle con le leggi forfettarie.. l’intero Parlamento è disseminato del nostro disegno.. ahahahah”. Bauer trasale. Ora che si trovano l’uno di fronte all’altro, faccia a faccia, non può non notare lo sguardo determinato e lucido del Capogruppo. Non un semplice Capogruppo. Un Capogruppo con un piano.

“Capisco, Signore. L’idea è quella di portare a spasso i competitors, di stordirli e sfiancarli con inutili e vane discussioni polemiche”. Zanda lo abbraccia, commosso: “Esatto, ragazzo mio! Questa è l’idea! Soltanto che.. deve esserci un difetto nel piano..”. Il viso del Capogruppo perde di colpo tutta la giovialità mostrata negli ultimi secondi, per assumere un’espressione ancora più mesta e severa del solito (e qui, ci vogliono i tecnici degli effetti speciali).

“Signore? Quale difetto, Signore?”

“Il difetto, ragazzo.. è che ci cascano SOLTANTO I NOSTRI!! Ma si rende conto?? Continuiamo a litigare tra di noi, MALEDIZIONE”.

Tace. Si rende conto d’avere, in effetti, alzato troppo i toni – questo nuoce all’unitarietà. Sempre servizievole, Bauer raccoglie alcuni fogli caduti e li restituisce al Capogruppo, impietrito, lo sguardo fisso nel vuoto. Saluta con un virile e silente cenno del capo. Quando è già sulla porta (almeno uscire, vuole uscire normale), Zanda lo richiama.

“Bauer. Che ne dice di un disegno di legge per sostituire il porcellum con il procellosum?”

“Signore. E com’è il procellosum, signore?”

“Doppio turno all’italiana, sbarramento variabile, quota inversamente proporzionale ed formazione dirette delle liste con il televoto!! Premete uno per candidare Zanda, premete due per candidare Bauer, premete tre.. e così via! Certo, anche qui c’é una difficoltà..”. Bauer, in effetti, comincia a subire gli effetti del disorientamento. “Vede Bauer, per farlo, serve un telecomando ministeriale. Un telecomando unificato, uguale per tutti. Altrimenti, potrebbero esserci interferenze”.

Il Capogruppo fa ritorno alla scrivania, con un carpiato all’indietro degno d’un tuffatore. “Preparo subito un disegno di legge per l’istituzione del telecomando unico attivabile attraverso l’inserimento del tesserino sanitario nazionale, con presa USB per collegarsi direttamente al cervellone del Viminale. Che ne dice, Bauer?”

Bauer esita, prima di rispondere: ancora una volta, deve spingersi oltre i suoi limiti.

“Non lo so, Signore. Ma dato lo scopo, credo che il Ministero dovrebbe anche fornire le batterie”

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