MATERA (NERA, NEL SENSO DI NOIR)

MATERA (Nera, nel senso di noir), ovvero: non fatevi scappare questa preziosa – e già raccomandata in un precedente articolo – antologia di racconti thriller a cura di Oriana Ramunno. Undici gemme oscure racchiuse nel medesimo scrigno e forgiate nel medesimo luogo, Matera. Una dedica collettiva in noir alla capitale europea 2019 della cultura. Ogni racconto presenta differenti protagonisti che vivono le proprie vicende nel corso di differenti epoche storiche;  ma sempre all’interno dello scenario unico e irripetibile di Matera (Nera, nel senso di noir). Diversamente dal solito non faccio finta di “passare di qua” per caso: partecipo di proposito e in piena consapevolezza con il racconto “Memoria Insufficiente”,  insieme ad altri dieci, eccellenti, autori. In rigoroso ordine alfabetico, Luigi Brasili, Emilio Daniele, Lorenzo Fontana, Marco Ischia, Macrina Mirtì, Alberto Odone, Laura Scaramozzino, Antonio Tenisci, Andrea Tortoreto, Elena Vesnaver.

Curatissima edizione cartacea disponibile, ordinabile, inseguibile nei migliori store online (PER ESEMPIO QUAGGIU’)

Per quanto ovvio, rigorosamente reperibile anche nel sito della casa editrice: BERTONIEDITORE

Copertina (nera, nel senso di noir):

Matera Nera a cura di Orana Ramunno
AA.VV. – Matera Nera – a cura di Oriana Ramunno – Bertoni Editore

THE S.H.I.T. CONSPIRACY 2: Dal profondo

Da conoscitore della materia qual era, il Dottor Robertetti intuì all’istante che qualcosa non stava andando per il verso giusto: il getto d’acqua non fluiva con il consueto scroscio argentino (per quanto Robertetti non avesse mai scoperto cosa c’entrasse l’Argentina. Ma era un problema ignorabile come la maggior parte di quelli che giacevano sulla sua scrivania); viceversa, dal profondo dell’ingiallita ceramica aziendale si stava sollevando un cupo, gorgogliante borbottio. Un ringhio basso e soffocato che non poteva appartenere a una semplice conduttura ostruita. Scostandosi d’istinto, i pantaloni non ancora risollevati, Robertetti osò l’inosabile; compì il gesto che in 47 anni di esistenza aveva sempre evitato, con accuratezza: abbassò lo sguardo in direzione del combinato disposto tra umanità e idraulica. In altri termini, osservò l’abisso.

Solo per scoprire che l’abisso stava osservando lui. Dal profondo.

Con. Un paio. Di. OCCHI.

I pantaloni, trascinati dalla pesante cintura in vero coccodrillo (con buona probabilità uno intero, valutando la circonferenza del Dottore) ricaddero sul pavimento piastrellato in elettrico blu a psichedelico contrasto con il grigio perla delle pareti; seguiti, in una frazione di secondo, da tre quotidiani, un contenitore termico e un ombrello portatile in caotica caduta libera. Le mani di Robertetti sventolavano in aria mentre il proprietario cercava di uscire dal bagno non accorgendosi che quel tentativo era frustrato da due ben precisi fattori: la sua stessa ingombrante mole e l’ambizione d’aprire la porta spingendo anziché tirare. In leggero ritardo sull’oggettistica già abbandonata alla forza di gravità, un fiotto di saliva esondato dalla bocca rimasta spalancata piovve sul piastrellato allucinatorio mentre gli occhi del funzionario rimanevano incollati sulla realtà (?) che si stava sollevando da quello che sino a pochi istanti prima altro non era che l’ordinario recipiente consacrato a un’egualitaria manovra liberatoria. Una realtà viscida, al tempo stesso acquosa e solida. Tremolante come budino e grumosa come un impasto mal riuscito.

Al culmine della paura e dell’orrore, Robertetti riuscì finalmente a urlare quando intravide i DENTI della creatura.

Purtroppo le sue urla non furono sufficienti a preservare un così valido funzionario (più volte proclamato “dirigente del mese”) dall’essere divorato; in un estremo sussulto di lucidità, prima di soccombere a quel destino atroce, il Dottore ebbe modo di riflettere per l’ultima volta sul significato e sui paradossi dell’esistenza. Quella creatura si era in qualche modo generata da lui (dal profondo, un altro profondo), in qualche modo; e dopo averlo divorato, lo avrebbe di certo digerito e… cosa? Assimilato? Espulso?

Mentre l’orrore terminava il non fiero pasto, ponendo le basi per la risposta che Robertetti non avrebbe più potuto conoscere, all’altro capo del corridoio esterno, chiuso nello stanzino di servizio, Ahmed (il cui nome non era Ahmed ma in quel posto del cavolo tutti lo chiamavano così. Da solo contro quattrocentotrenta indigeni convinti aveva deciso di chiamarsi Ahmed. Almeno lì) prese dalla tasca posteriore della tuta un cellulare usa-e-getta, componendo un numero a memoria. Al segnale di risposta l’interlocutore non fece seguire parola alcuna, avendo l’unico incarico di ascoltare. Toccava al giovane laureato in biologia, temporaneamente impiegato nei servizi di igienizzazione manuale (Ahmed o comunque si chiami, insomma) parlare.

– Sono io. Il fiore è sbocciato e si sta nutrendo. E’ “go” per la potatura. “Go” per la potatura.

(continua dopo l’angolo del giardinaggio. Il precedente episodio è QUI)

 

RESURRECTION - La serie che può cambiare la vosta mente. Alla lettera.
“RESURRECTION” – La serie che può cambiare la vostra mente. Alla lettera.
RESURRECTION - La serie che può cambiare la vosta mente. Alla lettera.
“RESURRECTION” – La serie che può cambiare la vostra mente. Alla lettera.
RESURRECTION - La serie che può cambiare la vosta mente. Alla lettera.
“RESURRECTION” – La serie che può cambiare la vostra mente. Alla lettera.
RESURRECTION - La serie che può cambiare la vosta mente. Alla lettera.
“RESURRECTION” – La serie che può cambiare la vostra mente. Alla lettera.

 

RESURRECTION - La serie che può cambiare la vosta mente. Alla lettera.
“RESURRECTION” – La serie che può cambiare la vostra mente. Alla lettera.

 

I CANCELLI DEL DELIRIO

I Cancelli Del Delirio
I Cancelli Del Delirio

I cancelli del delirio – La terrazza di un palazzo misterioso, eretto a sfidare le gigantesche onde di un oceano senza confini; una cella dalle pareti cangianti, nascosta in un tempio; un giardino rigoglioso, adagiato in un cratere lunare. Hannah apre gli occhi e neppure ricorda il suo nome: rimettere insieme i pezzi, poi, sarà soltanto doloroso.

Quando i cancelli del delirio si spalancano, entrare non è una scelta, uscire non è un’opzione. E quello che resta in mezzo, eventualmente, è la realtà.

(realtà parallele raggiungibili qui e )

THE TALKING DEAD, EP.23: CENACOLO (PRIMI PIATTI)

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate,  episodio 22: Cenacolo (Primi piatti)

Davanti a loro, il portone della cappella sembrò aprirsi come per magia: in realtà, fu il cadavere sfigurato di Aristide ad accoglierli retrocedendo poi per lasciarli entrare. Quando Don Angelo, Giorgio e la dottoressa furono all’interno, il vecchio custode richiuse l’uscio come aveva già fatto per il sindaco. I nuovi arrivati, nel frattempo, persero inconsapevolmente secondi preziosi per abituare lo sguardo alla penombra.

In apparenza, non c’era nulla di strano. Non più strano di una masnada di cadaveri a spasso per il paese; o dell’allampanato custode che nessuno reputava molto sveglio già da vivo.

Fu uno shock, per Giorgio, quando il volto del sindaco comparve davanti a lui. Non in piedi, bensì dall’alto. Solo la testa.

Una maschera di sangue con gli occhi cavati dalle orbite e la bocca spalancata a una ampiezza innaturale; prima che Giorgio potesse scuotersi dalla paralisi indotta dal terrore, la bocca si spalancò ulteriormente e un nugolo di minuscoli tentacoli carnosi ricoprì il volto del funzionario comunale. Nel volgere di pochi istanti, la carne fu divorata fino a scoprire il teschio.

Don Angelo, primo a entrare nella cappella per dirigersi subito alla tomba scoperchiata  dove credeva di osservare le spoglie del suo predecessore, fu attaccato a sua volta da una ragnatela di tentacoli serpentini e trascinato all’interno del sarcofago. Mentre moriva divorato  ebbe tempo di pentirsi amaramente dei propri peccati confessandoli direttamente al volto mummificato del Santo.

La dottoressa ebbe più tempo per reagire; sospinta dall’energia indotta dalla chimica, afferrò un candelabro a stelo utilizzandolo come arma improvvisata di difesa; impedì ai tentacoli calati dal soffitto di afferrarla e si diresse, mulinando il braccio con il candelabro, verso Aristide. Il cadavere, a sorpresa, fu più veloce di lei: mentre il ferro del candelabro scalfiva il legno robusto della porta, il braccio sinistro di Aristide era già teso in aria, la mano stretta attorno al collo della dottoressa. Una stretta doppiamente mortale.

Quando Aristide tornò ad aprire il portone della cappella, tutti gli altri zombie erano già in attesa, disposti in ordinate file ai lati del viale.

Il Santo stava per uscire.

 

THE TALKING DEAD – EPISODIO 6

THE TALKING DEAD

racconto a puntate

episodio 6

 

Scattò a sua volta, lesto e meccanico quanto la lama del coltello. Per il custode del cimitero non vi fu scampo, troppo sorpreso, troppo in là con gli anni: un colpo solo, dritto al cuore. La placidità del tramonto nella campagna spezzata dal rumore del metallo che perforava la carne, dal sordo battito finale – quasi un grido – del muscolo cardiaco.

Il corpo di Aristide crollò a terra, inanimato. Alle spalle dell’uomo, i due cadaveri viventi si mossero, con rallentata goffaggine, lamentandosi.

Gggghhhhaaaahhhssassiiiinoohhh… Mmmghhaaahhsssasss…

Assassino. Sì, il concetto era quello. All’improvviso, fu tutto chiaro e una calma irreale (tanto irreale quanto quella situazione) calò nell’uomo; all’improvviso, sapeva cosa fare. Non avevano neppure tentato di morderlo ed erano maledettamente lenti.

Si guardò attorno. Per fortuna, i dintorni non erano avari in materia di sassi; ne cercò uno grande e appuntito a sufficienza quindi si preparò alla mattanza. Erano cadaveri, dovevano restare cadaveri. Con veemenza ancora maggiore di quella impiegata per uccidere il custode, l’uomo si scagliò contro la coppia barcollante facendo ruotare il braccio destro dal basso per ottenere il massimo effetto.

Per prima, scelse la donna: del resto, aveva parlato per prima, no? L’impatto non fu preciso, alla tempia sinistra anziché in mezzo al cranio ma l’effetto fu comunque devastante. Le ossa del cranio si spezzarono; un liquido nero,  denso e maleodorante si riversò attraverso l’improvvisa apertura colando anche sulla mano dell’aggressore. Questi la ritrasse di scatto, vuoi per pulirsi vuoi per colpire ancora. Al secondo tentativo, la testa della sventurata venne aperta a metà, in un’esplosione di schegge d’osso, carne putrefatta e parassiti.

Per poco non si mise a ridere quando l’altro cadavere tentò di morderlo. Prima gli fece saltare tutti i denti, insieme alla mandibola; poi lo colpì al cranio. In meno di quanto avrebbe mai pensato, tre cadaveri giacevano a terra, immobili.

Per non sbagliare, prima di allontanarsi sfondò anche il cranio di Aristide.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 5

THE TALKING DEAD

racconto a puntate

episodio 5

 

– Si allontani. Per favore, vada via.

Non aveva certo bisogno di un invito scritto, quindi quell’esortazione pronunciata con voce resa incerta dal rapido ansimare di Aristide ottenne sull’uomo l’effetto contrario a quello desiderato.  Interruppe il proprio retrocedere, rivolgendosi al custode del cimitero senza staccare gli occhi dalle due mostruosità ancora ferme a lato della strada.

– Cosa diavolo sono? Cosa.. cosa pensi di fare, ucciderli con la pompa della bicicletta?,

esclamò, cercando di sublimare almeno una parte della gelida paura che l’attanagliava in rabbia; rabbia scagliata contro il custode, sicuramente colpevole d’essersi fatto sfuggire quella simpatica coppia di cadaveri parlanti. L’idea appariva perfettamente logica all’uomo, salvo trovarla al tempo stesso perfettamente stupida.

– Vada via. Io.. li riporto indietro. Ma vada via.

Una parte di lui aveva tutta l’intenzione di seguire quel saggio consiglio, una parte di lui voleva voltarsi e correre a perdifiato verso il paese, verso il bar più vicino. MA. C’era un grosso ‘ma’.

Una parte di lui non voleva che anche Aristide potesse ascoltare le parole smozzicate ma chiare che la cosa in apparenza donna avrebbe potuto pronunciare: lui conosceva Aristide, ovvio ma Aristide non conosceva lui, come avrebbe potuto? Il custode conosceva molto di più le lapidi che spolverava dei vivi che, di quando in quando, vi sostavano accanto. Comunque, andare a trovare il bambino era stato un errore. “Bambino” e “ucciso” potevano far scattare qualcosa anche nelle sinapsi placide del vecchio impiegato cimiteriale. L’uomo aveva una decisione da prendere e da prendere in fretta.

Fu il cadavere in apparenza uomo ad aiutarlo: all’improvviso, come rivolgendosi ad Aristide, sollevò un braccio indicando nella sua direzione. Pronunciando  di nuovo l’accusa.

…ggghllui… mgglluilui.. uhccisooh… ggghbbahmbinoooh..

Mentre Aristide lo fissava, l’uomo mise mano alla tasca posteriore dei pantaloni, prendendo il coltello a serramanico.

THE TALKING DEAD – ep.1

THE TALKING DEAD

racconto a puntate

episodio 1

Non era una giornata particolare. Per niente. Una calda giornata estiva, più afosa che calda con un cielo lattiginoso e la sensazione di respirare polvere. Una foto sbiadita, una vecchia foto immobile nella sua lenta decolorazione.

Una giornata noiosa, non troppo, non abbastanza. Una giornata insignificante. Una giornata “che-due-palle”.

Proprio alla fine della giornata,  un tramonto così-così, un indeciso imbrunire,  l’uomo esce di casa, accaldato, stanco, in cerca di aria fresca. In cerca di aria. In cerca e basta. Dapprima costeggia il canale ma gli insetti non danno tregua, è il loro regno e la loro ora o più o meno. Quegli insetti sono come la giornata, il canale è acqua stagnante che emana caldo.  E puzza. Oh.

L’uomo si avvia verso la strada provinciale, storcendo il naso; lasciandosi il canale alle spalle. La puzza sembra seguirlo, no, la puzza lo precede, l’aria ristagna come l’acqua ma il movimento al rallentatore delle foglie e dell’erba tenta di dimostrare l’esistenza di un refolo di vento. Adesso l’uomo è certo che la puzza arrivi dalle due figure in controluce morente che avanzano lungo la provinciale. Avanzare è un termine azzardato: procedono barcollando, sembra che si guardino attorno come se si fossero persi.

Stranieri. Nomadi. Gente che puzza, insomma. L’uomo tossisce, grida “Ehi!”, si avvicina minaccioso, gente come quella non dovrebbe essere lì. Nossignore.

“Ehi! Voi!”, urla, ed è già una conversazione, per il suo livello; le due figure esitanti non sembrano neppure accorgersi della sua presenza, del passo di marcia con il quale li raggiunge e nella luce indecisa dell’imbrunire indeciso, alla fine di quella giornata da dimenticare ma non troppo, li vede per quello che sono.

Cadaveri.

(to beeeee continueeeeeeed)

SUNDAY SANDRIDERS SPOT

 

Sandriders Cover

 

Fresco di (ri)stampa virtuale, il mio secondo romanzo,  “EXTREME DEFENCE: SANDRIDERS”, prequel di “Extreme Defence”. Un assaggio della corposa trama? Prego: 

Anno 2198. L’Umanità è proiettata nello spazio, alla ricerca di nuove risorse e di pianeti da colonizzare;  sul Pianeta Madre, tuttavia, un enorme problema attende ancora una soluzione: la progressiva ed inesorabile desertificazione della Regione Sahariana, processo la cui estensione ha raggiunto e superato ogni limite di allarme. I Presidenti delle cinque grandi Confederazioni terrestri decidono di  approvare un piano di vera e propria ‘terraformazione’ dell’immenso deserto; ed oltre a questo, un piano di intervento sanitario per aiutare gli originari abitanti della Regione a guarire dalla misteriosa malattia che li sta progressivamente portando ad estinguersi.

Per questi scopi, viene lanciato un vero e proprio bando per la colonizzazione della Regione Sahariana, una sorta di nuova “corsa all’oro”: ciascuno potrà rivendicare per sé l’area che sarà in grado di terraformare e rendere fertile. Al tempo stesso, ogni colono sarà impegnato a vaccinare i Sahariani con i quali verrà a contatto.

Anno 2207: dopo nove anni, il grande progetto è ancora agli inizi. All’Estrema Difesa, corpo militare di interposizione armata, è stato affidato il compito di sorvegliare la sicurezza ed il lavoro dei Colonizzatori; un lavoro di routine, dati i nobili obiettivi della colonizzazione. Per questo, una missione di soccorso ad alcuni coloni in difficoltà non dovrebbe comportare rischi particolari; ma quella che viene affidata a Jack Zamachowski, giovane Capitano dell’Estrema Difesa ma già veterano delle missioni spaziali, viene sin troppo presentata come una missione ‘semplice’.

L’esperienza nello spazio profondo ha già insegnato al Capitano che nulla è mai ciò che sembra; ma l’attraversamento del deserto lo porterà addirittura a mettere in dubbio i valori nei quali crede e per i quali si è arruolato, nonché alla scoperta di una verità insospettata.

Anche un pugno di sabbia, è una buona ragione per uccidere.

TUTTA L’APOCALISSE SABBIOSA A SOLI 4,44 € DA AMAZON.IT!!!

Progress Is for Losers (Il progresso è per i perdenti)

Ecco una buona occasione per spiegare il nome di questo blog, Progress Is for Losers. Dunque, lo scorso 22 Marzo, Gianni Cuperlo, non più Presidente del PD, indice tramite la propria pagina FB (e non solo, of course) un’assemblea per discutere “sullo spartiacque di questi mesi, ci si apre, si allarga, si ragiona su come una sinistra ripensata e un riformismo radicale possono stare dentro un nuovo inizio. E dove si decide in che modo e con che struttura organizzare il dopo”. La prima sede indicata, rivelatasi esigua rispetto alle intenzioni di partecipazione, viene modificata. La data prescelta, no: sabato, 12 Aprile, inizio ore 10.

Nella giornata del 9/4 u.s. (e correggetemi se la notizia è apparsa in precedenza), con conferma ufficiale pubblicata il giorno successivo sul sito nazionale del PD, il Primo Ministro Matteo Renzi, altresì Segretario Nazionale del partito, convoca la manifestazione di apertura della campagna elettorale delle  elezioni Europee, scegliendo come sede il PalaOlimpico di Torino (in previsione della massiccia partecipazione rituale). La data? Sabato 12 aprile, inizio ore 10:30, copertura web a cura di YouDem.

Se un rischio correva l’iniziativa di Cuperlo, era quello di finire con l’essere una semplice riunione di corrente, a dispetto delle sincere intenzioni trascritte nel virgolettato del primo paragrafo. Non avendo potuto partecipare, non so se il rischio è stato evitato; l’unica cosa che sono sicuro di poter scrivere è quella di Torino, in ogni caso, era una riunione di corrente. Dopodiché, segno dei tempi, il Premier copri-date irride alla riunione della ‘minoranza’; mentre quella parte di partito, piccola o grande, che lo sostiene pur avendo dei dubbi sui suoi mezzi e sulle sue proposte, si affretta – per voce di Gianni Cuperlo – a negare che nella coincidenza di date ci sia, per parte propria, alcun intento polemico. Alla rovescia, proprio.

Anche questo che si potrebbe definire episodio ‘marginale’ o concidenza (forse) non voluta, spiega perché il Progresso è per i Perdenti: in Italia, i vincenti – con le debite eccezioni – non riescono a fare a meno di sfoggiare arroganza e fastidio per tutti quelli che NON li rivestono di preziosi pigiamini di saliva.

E non c’è nessun Martello degli Dei che faccia seccare le lingue.

La versione di McKinsey

[banner network=”altervista” size=”300X250″]Un amico mi segnala questa intervista a  Itzhak Yoram Gutgeld, consigliere economico del neo-eletto segretario nazionale PD, Matteo Renzi. Ricordato che, in precedenza, Gutgeld è stato senior partner e direttore di McKinsey & Company fino al Marzo 2013, Vi raccomando la lettura di questo intervento, soprattutto prima di addentrarVi nei commenti che posterò qui di seguito, rispettando l’ordine degli argomenti presentati nell’intervista. Buona lettura.

“(..) un mercato del lavoro duale, composto, da un lato, da una fascia di iper-protetti e, dall’altra, da giovani condannati a una precarietà assoluta.”. Perché usare il suffisso ‘iper’ che identifica dimensioni superiori al necessario? Non è così, stiamo parlando di conquiste maturate in anni, attraverso sacrifici e lotte; conquiste che cercano di realizzare l’ideale stato di garanzia, di sicurezza e di dignità che deve essere riconosciuto ad ogni singolo lavoratore. O pensiamo che i lavoratori della Thyssen, regolarmente assunti, fossero “iper”-garantiti?

“(..) non si tratta di abolire il contratto a tempo indeterminato, né di porre fine alle tutele di chi ce l’ha, in quanto questo nuovo contratto «indeterminato flessibile» varrebbe soltanto per i giovani.”. Gutgeld non vuole abolire l’art.18, lo vuole ‘soltanto’ sterilizzare, stabilendo fin dall’inizio un indennizzo in caso di licenziamento. Il principio della giusta causa e il deterrente del reintegro nel posto dal quale si è stati allontanati sono le uniche barriere avverso la ‘mano libera’ delle aziende nei licenziamenti. Inutile girarci attorno: sappiamo come le aziende interpretano il tema del licenziamento: a rimetterci, sarebbero i dipendenti ‘scomodi’, ovvero quelli che non aderiscono all’ideologia aziendale o che denunciano condizioni di lavoro difformi dalla norma;

“(..) garantire alla persona che perde il posto di lavoro sia un sussidio di disoccupazione adeguato sia la possibilità di riqualificazione professionale.”. Un po’ di flexicurity non guasta, anzi ci mette tutti d’accordo: il guaio – a parte non menzionare quel noioso problemuccio della copertura di spesa – è la differente tempistica: per realizzare un mercato del lavoro flessibile ed aperto che consenta non solo di recuperare in fretta il posto perduto ma anche, attraverso una formazione mirata, di acquisire una professionalità del tutto differente, richiede tempo ed impegno. Nel frattempo, ‘sterilizzato’ l’art.18 con la proposta di cui sopra, partirebbero i licenziamenti. Subito.

“(..) non si tratta di abolire il contratto a tempo indeterminato, né di porre fine alle tutele di chi ce l’ha, in quanto questo nuovo contratto «indeterminato flessibile» varrebbe soltanto per i giovani.” La domanda è naturale – ed infatti, l’intervistatore la pone: sì, ma fino a quale età? Attenzione alla risposta: “Renzi non si è mai addentrato in dettagli di questo tipo, il suo scopo è lanciare un’idea e poi lasciare che la politica ne discuta.”. Scherziamo? E’ logico, naturale e doveroso che la politica tutta ne discuta MA l’onere di dettagliare la proposta, di sostanziarla con cifre e fatti, è IN PRIMIS di chi la lancia. Che succede, nel manuale della McKinsey manca la pagina “età per essere indeterminati ma flessibili”? Provate su Wikipedia..

“(..) Occorre inoltre intervenire sul sistema complessivo di formazione professionale, che oggi spesso lavora più per i formatori che per gli studenti.”. I dati, gli stessi citati da Gutgeld, ci dicono che occorre riformare e rilanciare i Centri di Lavoro. Tuttavia in questa frase finale l’accento non sembra cadere sulla riforma strutturale, quanto su una questione di produttività: insomma, sono i formatori che non rispettano il budget. Magari, con un bel contratto “indeterminato flessibile”, si possono licenziare. Sempre in attesa di un mercato del lavoro che assorba e perdoni i nostri esperimenti a tavolino.

Solo un’intervista? No. Un passaggio del discorso di Matteo Renzi all’odierna assemblea nazionale del PD: “Non si può discutere per 10 anni sull’articolo 18, mentre si dimezza l’attrattività degli investimenti esteri. Noi dobbiamo dire che tutti coloro che perdono il posto di lavoro, hanno diritto a un sussidio universale. O il Pd torna ad essere il partito del lavoro, o perdiamo la nostra identità. Secondo i sondaggi siamo il terzo partito tra gli operai, tra i precari e i disoccupati, non solo tra le partite Iva. Dobbiamo ragionare su questo punto. Dobbiamo entro un mese presentare un progetto di legge per semplificare le regole del lavoro e degli ammortizzatori sociali.”

Indeterminato e flessibile nelle argomentazioni, come la sua proposta: dove attingere per coprire l’onere del sussidio universale? Ma certo, lo dirà qualcun altro; il Segretario Nazionale nonché Sindaco si limita a “lanciare le idee”.

Le lancia in aria e poi grida “pool!”