THE WALKING PDEAD – dodicesimo episodio

Sommario: a Sbagliate Creanza  c’è da formare una giunta, il neo-eletto Sindaco deve scegliere i suoi assessori. Purtroppo, il risultato elettorale non gli permette di formare una maggioranza senza un accordo. Chi vorrà sostenere la nuova giunta? Risposta: GGGGBBBBWWWWLLLLMMMAAAAAGGGHHHHH.

La scuola. L’istruzione. L’inizio di tutto. Luca (quarta elle maiuscola in una sola riga, in ossequio alla spending review tipografica) osserva i presenti: dove sono i candidati della sua lista? Sa di dover scegliere quattro assessori, sa di non avere una maggioranza netta.

Sa anche che l’elettorato, in questo turno, si è scomposto. E vorrebbe usare un’altro termine – ma non sarebbe corretto. Così sceglie di ricomporsi (almeno lui) e tentare una trattativa. Solleva una mano per chiedere attenzione: “Vorrei procedere alla formazione della giunta. Nominerò gli assessori e quindi sottoporrò alle altre forze politiche il programma già presentato in campagna elettorale. Non abbiamo una maggioranza sufficientemente forte ma so che c’è condivisione sui punti principali. Il paese non può aspettare”

Vorrebbe proseguire ma viene interrotto da ben due interventi: per primo, il giovane Pier Paolo Dito, che riappare davanti al gruppo dopo un salto carpiato avvitato mortale con lancio e recupero dello skate coefficiente non si sa. “Stai scherzando, spero. Tu non hai i numeri e noi non te li regaliamo. Facciamo invece che la giunta la formo io, ho già la mia squadra”. Ad un suo cenno, con la mano superstite, quattro sfreccianti aspiranti assessori fanno la loro comparsa, sfoggiando tutti la stessa maglietta con la scritta “Movimento 5 rotelle – Skate Angels”.

Sul tentativo di replica di Luca, arriva la seconda interruzione: il gruppo meno vivace (per non dire vivo) degli astanti, inizia a salmodiare. “GWWWWOGLIAMO GWWWOVERNAREEEHH.. GWWWOOGLIAMO GWOOVERNAREHHH”. Un nugolo di braccia – ove possibile- si solleva in aria, per sottolineare meglio il concetto. Luca capisce che deve riprendere il controllo della situazione, prima che quel delicato equilibrio si sfasci.

“Ascoltate! Propongo di riunirci nella nuova sala del consiglio che per il momento è allestita nell’aula di scienze della scuola. Lì potremo discutere del da farsi!”

A quelle parole, Pier Paolo Dito sembra ulteriormente rianimarsi. “La scuola? Ho un’idea migliore! OCCUPIAMO la scuola e ci restiamo finché non ci avrai consegnato il governo del paese. Andiamo! Si fa OCCUPAZIONE!”

“Come no”, pensa tra sé l’attonito Sindaco, “peccata che sia l’unica OCCUPAZIONE che non crea un solo posto di lavoro in più”.

(continua)

OCCUPAZIONE (comunicazione di servizio)

A quanto sembra, martedì prossimo potremmo assistere all’occupazione delle Camere da parte di una parte (non maggioritaria) delle Camere stesse. Presenti sino alla mezzanotte, magari anche oltre. Presenti ed occupanti per obbligare il Parlamento a formare le fatidiche commissioni, a dispetto della semplice regoletta – ma cosa sono queste regole? Lacci e lacciuoli, no? – secondo la quale le commissioni non si possono formare se ancora non è stato formato il Governo.

Sarebbe ironico, non fosse che l’occupazione d’un Parlamento, in qualunque Paese, evoca dolorosi ricordi di colpi di stato e dittature. E anche se da noi qualunque evoluzione storica è in salsa amatriciana, un’azione del genere non promette nulla di buono.

Certo, se fossimo un popolo onesto e davvero rispettoso dell’etica e della morale, martedì non lasceremmo da soli gli azionisti (ops, nel senso di persone che agiscono – anche se, visto il leader/testimonial..) di un terzo del Parlamento ad occupare il luogo che è di tutti. Se fossimo un popolo onesto, martedì sera, occuperemmo tutti almeno una camera di casa nostra, possibilmente una dotata di specchio.

E riflettendo(ci), magari potemmo vederci per quello che veramente siamo, all’interno di questa crisi mondiale: uno scherzo stupido ed incosciente.

Non una comunità che opera per la ricostruzione.

CALL ME (NOT)

Sono da poco passate le due di notte ma l’uomo seduto nell’elegante studio, pur indossando pigiama e giacca da camera, non può cadere preda della dolce tentazione di Morfeo. Non deve. Ha i nervi a pezzi, il viso stanco – la barba di due giorni peggiora il suo aspetto, facendolo apparire anche più vecchio di quanto non sia in realtà. Vecchio e saggio, avrebbe detto, sino a poche ore prima. Prima dell’errore. Prima di quella maledetta telefonata, prima dell’inganno, prima che gli strappassero poche, fatali parole. Rivelatrici del suo animo.

Come aveva potuto, essere così incauto? Lui, proprio lui, una vita dedicata ai libri, allo studio, all’analisi. Una vita trascorsa a rintracciare il più recondito significato in ogni dettaglio, valutando, soppesando. Sentenziando. E poi, in pochi minuti, uno specchio rovesciato e lui, lui come Alice, era passato dall’altra parte. La parte della voce dal sen fuggita. Sente le palpebre farsi pesanti ma ancora non può dormire, non deve.

Quello che ora è il suo più mortale avversario giace sdraiato sulla schiena, riverso sulla lucida superficie in noce della scrivania. Il cellulare. Ha taciuto, nelle ultime ore, eppure – l’uomo ne è certo – questa è soltanto una condizione provvisoria. Sente che l’agonia dell’attesa sta per finire. Sente che una nuova chiamata sta per arrivare. Se solo potesse smettere questo gioco, se solo potesse dedicarsi al compito che gli è stato affidato, quel compito grave, importante ed urgente che l’intera nazione attende lui svolga.

Accade in simultanea, un tic nervoso ed incontenibile deforma per un istante la sua guancia e la suoneria del telefono assalta la tranquillità della notte primaverile. Fa freddo, nella stanza. Ancora più freddo, quando risponde.

“Pronto”

“Sono io”

Lo stomaco gli si contrae, un’improvvisa nausea gli toglie le forze. Quella voce femminile, arrochita ma calda. Così familiare. Così confidenziale.

“Davvero pensi che potrei cascarci due volte? Davvero pensi che sia così stupido?”

“Non capisco, ma cosa dici? Volevo solo sapere come stavi, perché mi tratti così?”

Quell’intonazione. E’ lei, non ha dubbi, lei, quella vera – oppure no? Oppure la stanchezza, il peso delle responsabilità gli stanno giocando un brutto scherzo?

“Come sto? Sto come qualcuno che non può più rispondere al telefono. Sto come qualcuno che sta per riattaccare”

Per un breve momento, non giunge suono dall’altra parte, salvo il respiro – no, meglio, un rallentato, dispiaciuto sospiro. E se mi sbagliassi? Lei è dalla mia parte, non posso farle questo. Prima che possa dire qualsiasi cosa, però, è proprio la sua interlocutrice a parlare.

“Capisco. Lo so che non stai bene. Volevo solo dirti che mi preoccupo per te. Cerca di dormire. Ci sentiamo”

Ora non ha più dubbi, nessuna stanchezza, nessuna missione impossibile lo possono ingannare. Cerca le parole, vorrebbe dire, vorrebbe spiegare, sfogarsi. Dirle la verità. Ed invece, lei lo gela, congedandosi.

“Stammi bene. Buonanotte, Bruce”

Ha una sola risposta possibile. E questa volta non sbaglia.

“Buonanotte, Joker”

Rimbalzi di memoria.

Altrove, nell’infinità del non-spazio virtuale, ricevo una sfida. Una citazione puntata (non solo) verso di me, con la preghiera d’astenermi da commenti parodistici. Di frenare il mio irriverente senso dell’umorismo.

La frase, è di Enrico Berlinguer: “Io non ho fatto la scelta della politica. Io ho fatto la scelta della lotta per gli ideali che ho sposato nella mia gioventù”. Eh, ah. Oh.

Raccolgo la sfida. Nessuna irrisione. Non è una questione di pantheon. E’ che mi viene, esattamente, quello che segue.

Milano, forse 1975. E’ Milano perché la giornata è grigia in modo radioso, con quella deliziosa pioggerellina che fa rimpiangere un acquazzone da professionisti. La folla si sta diradando, il comizio conclusivo si è concluso e l’uomo sul palco, l’uomo non così vecchio ma dal viso secco e segnato, si sta voltando. L’aria è ancora carica della tensione che ha trasmesso, c’è esultanza ed attesa, l’attesa di un evento che non potrà che essere vittorioso, nelle espressioni e nei commenti e persino nei passi scivolosi con cui gli astanti si diradano. Il ragazzo nelle ultime file è teso ma non esultante ed esita ad abbandonare la sua posizione: fissa il palco, osserva l’oratore che ancora si sta voltando, un immaginario rallenti. Il ragazzo ha sentito qualcosa, qualcosa in quel discorso, una nota stonata, una distorsione fuori posto nell’assolo. Cos’è che ha detto sui compromessi? Cos’è quella stronzata sul compromesso? Per il ragazzo, non solo per motivi di ormoni, “compromesso” è una parola bandita dal dizionario – never surrender. No compromise. Qualcosa in lui coniuga il marxismo a Cambronne: arrendetevi – “merd”. E giù cannonate. Compromesso. L’uomo sul palco si sta ancora voltando, le sue fattezze sono scure, nascoste dal grigio della città, scolpite dalle rughe. Continua a voltarsi e non sorride, lo farà forse solo un paio di volte nella sua vita pubblica e non lo farà lì, anche se ce l’ha fatta, è riuscito a seminare il dubbio: forse la rivoluzione non riesce da soli, forse per guidare un Paese non basta essere tanti, occorre essere maggioranza. Occorre trovare un punto d’incontro. Occorre un compromesso. Ognuno deve cedere qualcosa, è il bene comune che conta, non la vittoria. L’uomo sul palco finisce di voltarsi e, esile com’è, svanisce in un attimo, quando ha impiegato ore a voltarsi. Aspettava. La memoria non sempre fa brutti scherzi. La storia, sì. L’uomo sul palco non si volterà, a Padova, non ne avrà il tempo. Il ragazzo, avrà più tempo di lui ma solo per ritrovarsi, in questo tempo, ora che ha maturato l’idea della saggezza di un buon compromesso, a chiedersi: sì – ma CON CHI, cazzo?

THE WALKING PDEAD – undicesimo episodio

Sunto: Luca capisce che il Nuovo Giorno è arrivato. E con esso la Nuova Democrazia che nasce già adulta. Pure troppo.

I cittadini di Sbagliate Creanza si sono radunati davanti alla sede del P.R.O.T., il partito vincitore delle elezioni. Vincitore ma non assoluto: mentre esce dalla sede per parlare con la cittadinanza, il segretario ora Sindaco legge la tabella con i risultati.

Partito Progressista Riformista Operaista Territoriale: 33,5%; Unione Nazionale Conservatori Liberali Etici: 33,1%; Movimento Cinque Rotelle: 33,4%

“Un risultato limpido. Siamo nettamente il primo partito, la cittadinanza ha espresso un orientamento chiaro”, ragiona tra sé Luca, avvertendo, stranamente, l’esigenza di liberare una risata isterica. Si controlla. Ora è il Sindaco, il Primo Cittadino di tutti – senza differenze di colore. Di censo. Di fede.

O di elettroencefalogramma.

“Cittadini”, esordisce, allargando le braccia ad includere tutti (barcollanti o meno), “il risultato elettorale mi conferisce l’onere ed il privilegio di formare il nuovo governo del paese”. Un esordio classico, da manuale; di solito, a questo inciso segue l’altrettanto classico applauso d’incoraggiamento. Invece, non accade, per due motivi, precisi come il risultato delle votazioni:

1) una buona metà dell’uditorio è priva di almeno una mano;

2) la maggioranza dei presenti preferisce esprimere il proprio gradimento con una serie d’inarticolati lamenti e gorgoglii.

Luca si domanda come distinguere i lamenti di approvazione da quelli in dissenso, poi decide di proseguire. Un buon politico impara a capire la folla, gli umori, il momento. Anche i momenti morti, pensa.

“Cittadini, Sbagliate Creanza ha bisogno di risposte, non più di domande. I problemi sono molti ma li affronteremo insieme e li supereremo insieme. E daremo priorità alle vere priorità, alle riforme urgenti, alle necessità concrete. Come, ad esempio, la nostra scuola elementare..”. Infervorato dal discorso, solleva lo sguardo e punta un braccio ad indicare il vetusto edificio dove tutti – tutti – i Creanzoli Sbagliati hanno studiato.

E proprio in quel momento, lo coglie un’autentica folgorazione.

La scuola elementare. Un edificio cadente, al limite del pericolante; con un organico ridotto ad un solo preside, un solo insegnante, un solo bidello – una sola persona, insomma, che assume tutte le funzioni. Con arredi anteguerra (la Prima), condizioni igieniche precarie, vetri tristemente sporchi o allegramente rotti. La scuola.

Le votazioni si sono svolte lì. Gli elettori, un tempo studenti, sono entrati nella cabina elettorale, posta nel seggio elettorale, collocato all’interno della scuola cadente –  e ne sono usciti in quel modo. E’ tale la folgorazione che Luca, finalmente, avverte puzza di bruciato.

Ed inizia a distinguere il filo rosso che lega ogni cosa.

(continua)

 

THE WALKING PDEAD – decimo episodio

Ri-assunto: dopo due settimane di ospedale, lo sfortunato Segretario-tintore scopre che ha vinto le elezioni e che  i suoi compaesani hanno, per così dire, mutato condizione sociale. Non sarà facile, governare..

“Muoviti. Si stanno radunando tutti qua fuori. Aspettano che tu parli”.

Sbagliate Creanza, 150 operose anime (in larga parte, al momento, non esattamente vive) all’estrema periferia della Grande Metropoli. Luca, giovane segretario del P.R.O.T., cerca ancora di capire cosa può essere successo nelle due settimane di degenza in ospedale; nel frattempo, Sara, sua ancor più giovane antagonista, lo sollecita ad assumere le sue nuove responsabilità.

“Posso almeno sapere cosa è successo.. come sono diventati tutti così?”, chiede Luca, ancora esitante a dare una precisa definizione degli eventi. Eventi che Sara, viceversa, con il pragmatico riformismo dei Rianimatori, sembra avere accettato. Gli eventi si governano, nel bene come nel male.

“Che t’importa? Sono i tuoi compaesani, hai qualche problema? Dobbiamo ripartire dalla gente, dalla strada. Stare sul reale, sulle cose concrete. Questo paese aspetta risposte, non domande inutili”, risponde la Rianimatrice mentre prepara la stampa di nuovi volantini.

Ha ragione, riflette tra sé il segretario. Le domande sono inutili se non vengono poste nel modo giusto. Si alza e si avvicina a Sara. L’afferra dolcemente per il collo.

“Vuoi dirmi CHE CAZZO E’ SUCCESSO in questo paese, PER FAVORE?”

Con un guizzo di riformismo pragmatico, Sara decide che appartenere alla corrente dei Rianimatori non deve implicare porsi in condizione d’essere rianimata. Risponde come può – date le condizioni.

“N-n-non lo so-o-o-o.. succeeeee-sso tutto-o-o duraa-a-a-ante votazioni-i-i-i.. entrava-a-a-no nella-a ca-a-a-abina ele-e-e-ettorale e-e-e-e uscii-i-i-vano coo-o-osì-ì-ì-ì.. la-a-a-sciaa-a-a-mi c-a-a-a-azzo-o-o-o!”

Soddisfatto per avere finalmente posto una fondamentale domanda nel modo giusto, Luca libera il collo della collega di partito, dopo un ultimo, affettuoso, scrollone. Bene. Ecco dunque cos’è accaduto: il voto ha cambiato il volto del paese. Radicalmente. E’ arrivato il tanto atteso nuovo giorno.

Il giorno dei Cittadini Viventi.

E sono cittadini affamati di risposte.

(continua)

NAPOCALYPSE NOW

Interno, Quirinale. Il Candidato viene fatto entrare nella stanza del Presidente; la stanza è avvolta nel buio, il Presidente, appena visibile, sdraiato su una branda da campo. Il Candidato tossisce nervosamente, per darsi un tono ed attirare l’attenzione.

Il presidente lo ignora. Si solleva con atavica ma orgogliosa lentezza dalla branda, allungando una mano verso una brocca. Bagna la mano poi, sempre con orgogliosa ma atavica lentezza, si massaggia il cranio pelato. Di colpo, continuando a massaggiare, pone una domanda al Candidato.

“Lei è un assassino?”

Il Candidato è sorpreso, trasale; riesce, con un guizzo di lucidità, a dire: “Presidente.. ma che cazzo..”

Il Presidente solleva il volto, verso un fioco riflesso di luce. Ha un’espressione fiera, assorta. E’ un vecchio combattente che prepara l’ultima battaglia. Osserva con sguardo da entomologo il Candidato, quindi:

“Lei è un garzone di bottega, mandato dal droghiere a saldare i sospesi”

“S-sì, Presidente, Come vuole. Non ci ho capito un cazzo, però.. mi ha chiamato lei, ricorda?”

Il Presidente sospira. Solleva una mano in aria, descrive una vibrante e rispettosa traiettoria, quasi accarezzasse il fianco della donna amata. “Il Paese”, mormora, “il Paese ha bisogno. Brucia la casa. Vendi la macchina. Governa, ORA”

La mano si ferma, non descrive più, si abbassa. Anche il volto del Presidente si abbassa, come offrendo la nuca per un sacrificio. Solo il tempo di un saluto.

“Forma questo maledetto governo. Ora levati dai piedi, Matteo”

Matteo si toglie dai piedi, di nuovo tossendo. Il vecchio, lui, non l’ha mai capito – non li regge proprio, i vecchi. Esce dalla stanza, sbattendo gli occhi per difendersi dalla ritrovata luce. Mentre si allontana, sente il Presidente borbottare tra sé.

“L’orrore.. l’orrore”

THE WALKING PDEAD – nono episodio

Riassunto? Tutto sembra sbagliato, a Sbagliate Creanza: la gente,  le situazioni – persino lo smacchiatore, esploso in faccia al giovane segretario del locale partito Prog-Rif (non è un genere musicale). Ma nella vita, a volte, le cose si sistemano da sole.

La strada per ritornare a casa è ancora lunga, nonostante il territorio di Sbagliate non sia così grande; Luca percorre la strada principale, l’antica Via della Fabbrica, poi diventata Via della Libertà, quindi Via XXV Aprile, rimpiazzata da Viale delle Rimembranze Pacificate e di nuovo battezzata Via dei Martiri Unificati. E’ lunga la strada, sotto il sole cocente, osservato da crocchi di compaesani che non riconosce – o che, invece, riconosce nonostante mostrino qualche segno di lieve decomposizione.

L’aria è pesante, gli uccelli volano alto – ma solo per trovare sollievo al tanfo. Luca non trova sollievo, non vede l’ora di riabbracciare moglie e figlio. Di colpo, tuttavia, una sagoma familiare e confortante: la sede del partito Progressista Riformista Operaista Territoriale, il vecchio circolo del P.R.O.T.

Non sarà una deviazione inutile, non una perdita di tempo: ha bisogno di ritrovarsi, di scaricare la tensione, condividere le sue emozioni con gli iscritti, con i simpatizzanti. Insomma, i prottiani. Di slancio, varca la soglia.

La prima cosa che nota, è la nuova targa sulla porta. Il nome non sembra diverso, eppure ad una seconda occhiata il giovane segretario si rende conto che il circolo è cambiato da “Eroi della Resistenza” a “E noi della Ri-esistenza”. Scuote la testa, affretta il passo tra le stanze del circolo (tre locali più servizio con democratica e solidale turca) ma una sola persona è presente: Sara, la sua vice, la rappresentante della corrente di minoranza, i Rianimatori.

Con sollievo, Luca s’accorge che Sara non è cambiata: la stessa simpatica maglietta con la scritta “ridiamo ossigeno a questo partito asfittico”, gli stessi capelli arruffati che scioperano per uno shampoo. E sul viso gentile, la solita espressione che dice “Jeez, sto per vomitare”. Infine, la voce, la melodiosa voce da tabagista con cui lo saluta..

“Ah, era ora che ti facessi vedere, dove kazzo sei stato?”

Luca vorrebbe spiegare, raccontare, un fiume di parole sorge dalla sua gola ma Sara è una Grande Opera Pubblica deliberata e messa in atto. Una diga, insomma.

“No, kazzo, abbiamo vinto le elezioni, hai presente? Ricordi chi era il candidato sindaco? Magari un certo fannullone fissato con gli smacchiatori? Non stare li impalato a guardarmi, devi scegliere gli assessori, deficiente!!”

“Ma..”, balbetta Luca, cercando di riprendersi dall’afflato di tutto quel calore, “ma.. qui non c’è nessuno.. chi scelgo? E poi, gli amici.. gli elettori.. i cittadini..”

Sara è una vera rianimatrice: dura, pura e si-cura. La sua non è una risposta, è un programma in atto. “Guarda fuori. Eri in mezzo a loro, gli hai anche parlato. Sono i tuoi cittadini, Sindaco”

Luca non riesce ad evitare una caduta nel banale: “Ma sono.. sono tutti.. insomma, puzzano anche!!”

“E allora? E’ il popolo e non sei tu a scegliere loro. Loro, hanno scelto te. Ricorda gli otto punti del programma”

Ed è in quel momento che il segretario ora sindaco comprende che l’importanza e la vitale (ops) necessità del programma sono vanificate proprio dalla ristrettezza del numero. I problemi di Sbagliate Creanza non possono essere contenuti soltanto in otto.

Ne servono molti di più, di punti di sutura.

(continua)

THE WALKING PDEAD – ottavo episodio

[banner network=”altervista”]Riassunto: a Sbagliate Creanza si sono svolte le elezioni ma il giovane segretario tintore ne ignora l’esito. Soprattutto, ignora cosa ne sia stato del rispetto delle regole..

“NO, non hai vinto”, prorompe Luca, spazientito, all’indirizzo di Pier Paolo Dito che, imperterrito, continua ad evoluire sullo skate: curva, piroetta, salto, frenata. Frenata.

“Cioè, come? Ho un voto, gli altri, bianco. Tutti occhi bianchi. C’è un solo voto ed è mio. Ho vinto”. A queste parole, il gruppo di votanti si ricompatta, mormorando e gorgogliando. Luca punta un dito contro Dito.

“Errore. La votazione è da ripetere, non si è formata una maggioranza. Qualsiasi cosa stiate votando qui, in qualsiasi circostanza, la Democrazia ha bisogno di maggioranze decise, nette. SALDE”. (Nel momento in cui pronuncia questa parola, Luca si guarda attorno: ce ne fosse uno, che non barcolla e non perde pezzi. Va bene. E’ la Democrazia: imprecisa).

Dito non smette di evoluire, convinto invece di evolvere. Tuttavia, riflette – Luca può vedere la sottile ruga sulla fronte del ragazzo, un segno inequivocabile di pensiero. Poi, Dito gli si avvicina e Luca capisce che la ruga è in realtà una cicatrice. Caduta con lo skate.

“Non si può rifare la votazione”, annuncia in tono grave il ragazzo. “E perché?”, ribatte Luca. “Perché non ci sono più occhi, ecco perché!”

Luca si volta: una sessantina di orbite cave lo osserva con curiosità. Con cecità. Anche con cavità. Lui capisce: è uno di quei momenti in cui il Politico deve trovare la soluzione, mettere insieme i pezzi – magari in senso metaforico, pensa, mentre un braccio si stacca e cade a terra – salvaguardare l’interesse della Comunità senza sacrificare l’individuo. Riflette. Ragiona. Raggiunge un accordo con sé stesso: è un buon accordo, si può provare.

“Facciamo così: usate i pollici. Pollice destro per te, pollice sinistro per l’altro candidato. Eh?”. La proposta ottiene l’immediato gorgoglio di approvazione dell’assemblea; Dito si trincera dietro una smorfia, poi cede. “Pollice. Ok, va bene. Si rifà”.

La donna con urna e fascia riprende il proprio posto al centro del gruppo. Parte una entusiastica ed affrettata corsa  a mozzarsi il pollice, destro o sinistro a seconda dell’opinione. Dito risale sullo skate, forse deciso ad astenersi.

In un democratico tripudio di morsi affamati e schizzi di sangue, Luca si allontana. Decisamente, quella non è l’assemblea che fa per lui. Percorsi pochi passi, però, si accorge d’avere sottovalutato un problema fondamentale.

“Ma.. una volta staccati, come si distingue destro da sinistro?”

(continua)