Altrove, nell’infinità del non-spazio virtuale, ricevo una sfida. Una citazione puntata (non solo) verso di me, con la preghiera d’astenermi da commenti parodistici. Di frenare il mio irriverente senso dell’umorismo.
La frase, è di Enrico Berlinguer: “Io non ho fatto la scelta della politica. Io ho fatto la scelta della lotta per gli ideali che ho sposato nella mia gioventù”. Eh, ah. Oh.
Raccolgo la sfida. Nessuna irrisione. Non è una questione di pantheon. E’ che mi viene, esattamente, quello che segue.
Milano, forse 1975. E’ Milano perché la giornata è grigia in modo radioso, con quella deliziosa pioggerellina che fa rimpiangere un acquazzone da professionisti. La folla si sta diradando, il comizio conclusivo si è concluso e l’uomo sul palco, l’uomo non così vecchio ma dal viso secco e segnato, si sta voltando. L’aria è ancora carica della tensione che ha trasmesso, c’è esultanza ed attesa, l’attesa di un evento che non potrà che essere vittorioso, nelle espressioni e nei commenti e persino nei passi scivolosi con cui gli astanti si diradano. Il ragazzo nelle ultime file è teso ma non esultante ed esita ad abbandonare la sua posizione: fissa il palco, osserva l’oratore che ancora si sta voltando, un immaginario rallenti. Il ragazzo ha sentito qualcosa, qualcosa in quel discorso, una nota stonata, una distorsione fuori posto nell’assolo. Cos’è che ha detto sui compromessi? Cos’è quella stronzata sul compromesso? Per il ragazzo, non solo per motivi di ormoni, “compromesso” è una parola bandita dal dizionario – never surrender. No compromise. Qualcosa in lui coniuga il marxismo a Cambronne: arrendetevi – “merd”. E giù cannonate. Compromesso. L’uomo sul palco si sta ancora voltando, le sue fattezze sono scure, nascoste dal grigio della città, scolpite dalle rughe. Continua a voltarsi e non sorride, lo farà forse solo un paio di volte nella sua vita pubblica e non lo farà lì, anche se ce l’ha fatta, è riuscito a seminare il dubbio: forse la rivoluzione non riesce da soli, forse per guidare un Paese non basta essere tanti, occorre essere maggioranza. Occorre trovare un punto d’incontro. Occorre un compromesso. Ognuno deve cedere qualcosa, è il bene comune che conta, non la vittoria. L’uomo sul palco finisce di voltarsi e, esile com’è, svanisce in un attimo, quando ha impiegato ore a voltarsi. Aspettava. La memoria non sempre fa brutti scherzi. La storia, sì. L’uomo sul palco non si volterà, a Padova, non ne avrà il tempo. Il ragazzo, avrà più tempo di lui ma solo per ritrovarsi, in questo tempo, ora che ha maturato l’idea della saggezza di un buon compromesso, a chiedersi: sì – ma CON CHI, cazzo?