Ispirazione

 

Matteo Orfini

Ispirazione, questa è la parola chiave: secondo il giovane – ma non più turco – Presidente del PD, Matteo Orfini, rivoltosi in una dichiarazione odierna a quanti ancora si ostinano a non condividere il processo di riforme presentato dal Governo (minoranza Pd e organizzazioni sindacali, per cominciare), “si può non essere d’accordo su un provvedimento, però l’ispirazione è la stessa” e anche chi non ha votato oggi in aula “nel tempo (…) si renderà conto che questo è un provvedimento che fa bene al mondo del lavoro”.

Nel tempo di questa intervista, il Presidente PD mantiene lo sguardo, ispirato sebbene lievemente accigliato, fisso sugli interlocutori; sembra più parlare a sé stesso che alla platea, pur esprimendo concetti precisi e pensati. Di più, ispirati: l’ispirazione è la stessa, come non vederlo? Renzi e Cuperlo non sono d’accordo neppure sull’ora (l’orologio di Renzi infatti va avanti mentre quello di Cuperlo, si sa, segna le ore in numeri romani) ma l’ispirazione è la stessa. Il Governo e le Organizzazioni Sindacali non riescono a sedersi allo stesso tavolo neppure al ristorante ma l’ispirazione è la stessa (tutti hanno delle crepes nelle proprie teorie, infatti). Se ci penso bene, io stesso dissento dal Cavalier Silvio Berlusconi anche sull’aria che respiriamo, tuttavia l’ispirazione (calcistica) è la stessa: rossonera. Per inciso, sembrerebbe la stessa anche del Presidente PD, d’ora in avanti il Presidente ispiratore.

E poiché i toni pacati, sereni e affabili di Matteo Orfini finiscono con l’essere contagiosi, colgo l’ispirazione al balzo e intravedo la nuova evoluzione del PD, formale e importante: la chiave è nel passaggio in cui il Presidente pronuncia le parole “nel tempo”. Certo, nel tempo: si sa, il tempo sana tutti i mali, fastidiose minoranze incluse. Senza perder tempo, però, è pronto il passo in avanti della struttura. Da Partito Democratico a Passate Domani.

Domani, è un altro giorno.

Evolvendo

Giuliano Poletti

Non c’è dubbio: il nostro paese sta cambiando, si sta evolvendo. E’ un’evoluzione talmente rapida e concitata da produrre in più d’uno un curioso “effetto giostra”, una vertigine – insomma: un momento di confusione. Si spiega, quindi, perché oggi Sua Eccellenza il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, On.Giuliano Poletti, già presidente di Legacoop Nazionale, a margine del suo mancato intervento al XVI Congresso nazionale della U.I.L., abbia ritenuto di esprimere il proprio giudizio sull’indizione di uno sciopero generale in questi termini:

«Ho già detto in generale, rispetto alle motivazioni portate che sui temi della legge di stabilità e del Jobs act ritengo non ci siano le motivazioni per una decisione così importante come lo sciopero generale. Le organizzazioni si prendono la responsabilità di ciò che decidono» (fonte).

Fermo fotogramma: opinione legittima e rispettabile, interlocutore autorevole, puntualizzazione decisa e chiara. Troppo decisa e chiara: nello slancio, forse provato – ancorché da spettatore – dall’ennesimo rollercoaster assembleare del Patimento Duodenale, S.E. il Ministro si fa sfuggire quel “ritengo..” COME SE fosse mai spettato – o spettasse da oggi, dopotutto il nostro paese si evolve, va veloce – al Governo valutare la sussistenza di opportune e gravi ragioni per indire uno sciopero. In un Paese Democratico, ove si tratti di difesa dei Lavoratori e dei diritti, spetta alle Organizzazioni Sindacali, questa valutazione: dissentire dalle ragioni non deve far perdere di vista questo punto formale e sostanziale. Per capirci meglio: S.E. il Ministro troverebbe corretto se un sindacato (o, orrore!, un partito, fosse anche il Perpetuo Dibattere) stabilisse per Lui i criteri guida del suo Ministero? Lo considererebbe spirito di servizio o una plateale invasione di campo?

Il paese. intanto, evolve. Rapidamente. Non sarà dunque lontano il giorno felice in cui, per convocare uno sciopero, occorrerà prima ascoltare il parere della Protezione Civile, trattandosi infatti di masse in movimento incontrollato. La Democrazia è importante.

Ma, hai visto mai che esondi?

Diario di viaggio, grazie, sì.

Renzi diario di viaggio USA

Ascoltate il diario di viaggio USA del Premier Renzi. E’ probabile che, come me, a 0:55′ non ne possiate già più – e dura 4:05′. Ne vale la pena, comunque: il Premier traccia un bilancio del suo viaggio negli Stati Uniti; un viaggio che, solo l’altro ieri, quando il centrosinistra ancora ragionava e si poneva dubbi, sarebbe stato accolto da una valanga di critiche. La visita ai sancta sanctorum della tecnologia e dell’industria USA (alle cui fortune, chissà, contribuisce in qualche modo la storica mortificazione del meglio della nostra industria informatica e automobilistica); il riferimento all’operazione “Mare Nostrum” e ancora più quello alle Nazioni Unite come se l’una e l’altra fossero, in questo momento, risposte sufficienti ed esaurienti ai problemi che sono chiamate ad affrontare. E la beatificazione di Sergio Marchionne, la cui biografia aggiornata, oramai, contiene soltanto il capitolo Fiat-Chrysler: e anche quello, depurato di tutte le ombre.

Non mancano i momenti cult, cominciando dalla pronuncia di “Yahoo” che diventa quasi il marchio di una nota casa produttrice di yoghurt; e le due citazioni “doc” per arricchire il discorso. Della prima, la sola nota d’interesse è che appartiene a Giorgio La Pira, storico sindaco di Firenze: per carità, siamo italiani, non facciamoci mai mancare un po’ d’aria di casa (non si sarà anche portato la pasta, negli States?) . La seconda, che vorrebbe essere la summa non soltanto del viaggio ma di tutti il Renzi-pensiero nonché manifesto dell’azione di governo, una frase di Dag Hammarskjold, segretario generale dell’Onu dal 1953 al 1961, quando morì in un incidente aereo mentre si recava in Congo per risolvere la grave crisi politica in corso (mi tengo la dietrologia per un’altra volta):

“Al  passato, grazie. Al futuro, sì”.

Detta dal defunto segretario Onu, ha un senso preciso e profondo. Detta dall’uomo del cronoprogramma, dei cento giorni che diventano mille, delle segreterie alle sette del mattino, beh, suscita un dubbio: e per il presente?

YAKU’!

Welcome in the Age of Demansionamento

“Un’altra novità introdotta dall’emendamento è la possibilità per l’azienda di demansionare un dipendente. Il testo, che modifica di fatto l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori, delega il Governo ad adottare «una revisione della disciplina delle mansioni, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”. 

Il testo qui sopra, ripreso dal sito web de “La Stampa” di oggi (il grassetto è mio), illustra una delle innovazioni introdotte dall’emendamento del Governo, in discussione al Senato. Ci sono altre novità, ben più pesanti, come quelle relative al fatidico art.18; tuttavia, vorrei rubarVi un minuto per parlare del ‘demansionamento’.

Sono un lavoratore demansionalizzato. Uno dei tanti, davvero tanti, nell’azienda per la quale lavoro. Alla luce di quanto formulato all’interno dell’emendamento governativo, vorrei – serenamente & pacatamente, come amava ripetere il principale esponente degli sponsor dell’attuale Premier a me avverso – precisare quanto segue:

NON esiste alcun “utile impiego del personale” laddove, mantenendo inalterati inquadramento e retribuzione, si dequalifichino le mansioni. E’ umiliante sapere d’essere pagati per compiti inferiori, qualitativamente, a quelli che già si svolgevano. E’ punitivo, NON esiste alcuna “tutela della professionalità e delle condizioni di vita” se il giorno prima prendi decisioni di peso e assumi rischi e responsabilità e il giorno dopo, semplicemente, rispondi al telefono e riferisci. Dulcis in fundo, la “tutela del posto di lavoro” che è un dovere del datore di lavoro e un diritto del lavoratore, diventa l’argomento che le rappresentanze sindacali illustrano per farti anche sentire, oltre che umiliato e privato della possibilità di dimostrare il tuo valore, anche un parassita privilegiato: che vuoi, hai ancora un posto di lavoro e lo stesso stipendio. C’è gente che muore di fame, in questo paese.

Certo. Vero. E per ribadirmi quanto sono tutelato, il Governo del progressista riformista rottamatore nemico delle lobby e dei poteri forti e difensore dei deboli & degli oppressi s.p.a. farà approvare un articolo di legge apposito, volendo contemperare “l’interesse dell’impresa”. Credevo che il maggiore interesse di un’impresa risiedesse nel coinvolgimento attivo e partecipe di ogni dipendente, riconoscendo a ciascuno il proprio valore e ruolo. Qualsiasi serio studioso di scienza dell’industria vi dirà che non esiste dipendente più produttivo di un dipendente soddisfatto. Che stronzata, eh?

P.s.: il Premier è espressione e Segretario di un partito al quale, fino all’anno scorso, ero iscritto. Al momento, non ho ancora deciso di rinnovare la tessera: se passa l’articolo sul ‘demansionamento’, decisamente, non lo farò. Serenamente & pacatamente s.p.a.

Rapporto Sulla Stabilità Finanziaria

Ipse dixit. Banca d’Italia ha appena pubblicato il “Rapporto Sulla Stabilità Finanziaria” di cui al titolo di questo post: potete leggere il testo integrale QUI. Come aperitivo alla lettura, non semplicissima ma sicuramente utile, Vi offro qualche highlight, concentrando l’attenzione sull’argomento Famiglie. Secondo il rapporto, “Nel corso del 2013 si è attenuata la flessione del reddito disponibile in termini reali delle famiglie in atto dal 2011; nell’anno la contrazione è stata dell’1,2 per cento. Il reddito nominale è rimasto sostanzialmente invariato; a fronte di una riduzione dei consumi, il risparmio è cresciuto in misura considerevole (11,1 per cento). Ciò, insieme all’aumento dei prezzi delle attività mobiliari, ha contribuito all’incremento della ricchezza finanziaria dello 0,5 per cento nei primi nove mesi del 2013. La ricchezza totale ha tuttavia continuato a ridursi per effetto del calo del valore degli immobili“.

Il grassetto è mio: le espressioni evidenziate spiegano tutta la difficoltà e contraddittorietà di questa fase. Il reddito delle famiglie è comunque diminuito; è tornato a crescere il risparmio ma soltanto perché i consumi sono diminuiti. La lieve ripresa delle Borse consente un recupero della ricchezza finanziaria (recupero che qualcuno ha pensato bene di abbattere con una tassazione al 26%) ma la svalutazione degli immobili intacca il volume della ricchezza totale. Più avanti si legge: “Nel biennio 2012-13 i bassi tassi di interesse e le misure di sostegno ai mutuatari in difficoltà hanno limitato le conseguenze del forte calo del reddito disponibile sulle condizioni finanziarie delle famiglie indebitate. I dati dell’ultima Indagine sui bilanci delle famiglie italiane indicano che nel 2012 la quota di famiglie vulnerabili (quelle con un’incidenza del servizio del debito sul reddito superiore al 30 per cento e con un reddito inferiore al valore mediano) era pari al 2,9 per cento del totale. Nella seconda metà del 2013 l’incidenza dei prestiti deteriorati sul totale di quelli alle famiglie è aumentata di tre decimi di punto, al 10,3 per cento. Il peggioramento è stato più elevato per la categoria che comprende i mutui accesi per attività professionali“.

Doccia calda e doccia fredda: si evidenzia l’utilità dell’intervento di sostegno ai mutuatari in difficoltà ma in parallelo aumenta l’incidenza dei prestiti deteriorati (alias, non più restituibili/esigibili) sul totale. Dato ancor più grave, il peggioramento è più elevato per i mutui a carattere professionale. Che succede ad una azienda o a un professionista che non sono più in grado di pagare il mutuo/finanziamento dello studio, del capannone, dei macchinari? Rischio chiusura/cessazione attività, ecco cosa. Prendete nota della definizione di “famiglie vulnerabili” e andiamo all’ultimo estratto (vi ricordo che è una selezione personale).

“Nostre proiezioni indicano che in uno scenario di graduale ripresa economica (cfr. Bollettino economico, n. 1, 2014) la percentuale di famiglie vulnerabili rimarrebbe sostanzialmente stabile (2,8 per cento nel 2015). Il fattore di rischio più rilevante per le famiglie indebitate è rappresentato dalla dinamica del reddito disponibile: se esso rimanesse invariato rispetto al 2013, la quota di famiglie vulnerabili aumenterebbe al 3,3 per cento nel 2015. L’impatto, nello stesso periodo, di un rialzo di 100 punti base del tasso Euribor a 3 mesi sarebbe più contenuto: la quota di famiglie vulnerabili arriverebbe al 3,0 per cento“.

Immagino che saranno i molti ad appellarsi all’esiguità di quello 0,3% di differenza. In attesa di tradurlo in cifre, tuttavia, la lettura di questo paragrafo altro non significa che solo la ripresa economica può contenere il livello delle ‘famiglie vulnerabili’. E per quanto riguarda il totale delle famiglie indebitate, in assenza di un significativo incremento del reddito disponibile, questo dato è destinato a crescere più di quanto non accadrebbe in caso di peggioramento delle condizioni economiche generali.

Ora, la domanda è: quanti, nel correntone trasversale degli 80 euro, si stanno convincendo che basta così?

Bordate Rozze (comunicato nr.1)

“Ce la faranno pagare”, dice Matteo Renzi incontrando gli imprenditori del settore al “Salone del mobile” di Milano. Annuncia “una violenta lotta” contro la burocrazia. “Uso il termine violento – ha spiegato a proposito della burocrazia – perché non abbiamo alternativa”.

Il Luminoso Dirigente ha lanciato la campagna per portare l’attacco al cuore della burocrazia, esaltando nel contempo la geometrica potenza del suo Governo.

(tradotto: ma in questo paese nessuno li rilegge più i discorsi o cerca, quanto meno, di stare attento a quello che dice?)

Kassandra

” (..) non appena Renzi – ciò che è nelle Sacre Scritture, o stolti – assurgerà alla carica di primo ministro.”

Autocitazione. Ho scritto io questa frase, nell’ultima nota affidata a questo blog, il 6 gennaio scorso. Poco più di un mese ed ecco: neppure il tempo di voltare una sola pagina delle Sacre Scritture e la visione s’avvera. Per quanto mi riguarda, una previsione da Cassandra; e dato il generale clima da remake degli anni ’70, scriverei meglio: Kassandra.

Ora tenterei di ripetere l’esercizio, sicuro questa volta di fallire giacché sto per confondere visione con delirio: in questo delirio, il mio vaticinio segue il Presidente della Repubblica che, ascoltate le delegazioni dei partiti (anche quelli presenti solo sotto forma di blog); osservata una domenica di profonda riflessione; varato l’inizio di giornata di lunedì con una buona colazione (è importante a qualsiasi età, maggiormente per chi è costretto dall’inanità della classe politica a raddoppiare mandato e sforzi a 88 anni); fatto tutto questo, il Presidente convoca la stampa ed annuncia: viste le forze in campo, considerato il quadro politico immutato, tenuto presente il perdurare della grave crisi economica ed i segnali, ancora troppo deboli, di ripresa, di conferire mandato per la formazione del nuovo governo all’On.Enrico Letta.

Non sarà così. Per quanto, l’esperienza degli ultimi anni e del candidato Renzi più recentemente dimostri che in Italia, per ottenere quello che si vuole, basta dirlo.. e dirlo.. e dirlo.. e dirlo.

Who Are You?

Chi dice che nel Partito Democratico ci si annoia? Giusto il tempo di commentare l’ultimo exploit del segretario nazionale, la già storica lettera ai “gentilissimi” (detta anche “tre proposte e via”) ed ecco la nuova puntata di questo serial destinato a riservare sempre nuove (e non positive) sorprese: le dimissioni dell’ormai ex-viceministro dell’Economia, un altro giovane, emergente, stratega del rinnovamento: Stefano Fassina. Il quale, avendo ben presente la responsabilità istituzionale da poco assunta, conscio del peso di questa responsabilità ed avvezzo, soprattutto in rappresentanza delle istituzioni, a far prevalere l’interesse del Paese su quelli personali e di partito, ha pensato bene – nelle attuali condizioni di crisi economica e politica – di dare le dimissioni. Motivo? Più d’uno: le continue critiche mosse al governo dal nuovo segretario PD, il forte ricambio impresso dal risultato delle primarie e la cosiddetta gaffe o infelice battuta racchiusa nella domanda “chi“? pronunciata da Renzi nel sentirsi nominare Fassina dai giornalisti.

La domanda vera è: é un gesto utlle? E’ un gesto proficuo? La risposta è sì, utile e proficuo per i due protagonisti della vicenda, utile e proficuo per le rispettive ambizioni e carriere personali: dimenticate le necessità del paese, dimenticate l’urgenza delle riforme, dimenticate l’importanza vitale della stabilita di governo, dimenticate tutto – soprattutto che l’ultima cosa che ci possiamo permettere in questo momento sono i personalismi, gli atteggiamenti da rockstar capricciose. Il leader dei cosiddetti “giovani turchi” (ma esistono ancora?), deluso dal fatto che il mondo PD non sia caduto ai piedi della sua corrente, abbagliato dalla sfolgorante luce riformista emanata, altro obiettivo non persegue se non quello di ergersi a leader di una sinistra interna alternativa a Renzi. Immagino, naturalmente e come sempre, che si tratti della solita “vera sinistra”. Ed intravvedo, come già afferma con voluta malizia una renziana doc quale Debora Serracchiani, la possibilità che Fassina voglia soltanto allinearsi alla meglio per la prossima corsa alla segreteria nazionale, non appena Renzi – ciò che è nelle Sacre Scritture, o stolti – assurgerà alla carica di primo ministro.

Il segretario PD, nel frattempo, incassa il risultato del rimpasto che, a parole, non voleva e non indicava; della messa in ulteriore difficoltà dell’attuale Primo Ministro, l’unico, eventualmente, intitolato a rispondere (e non con le dimissioni) al fuoco amico che quotidianamente arriva dalla sponda democratica. Incassa l’effetto della battuta, forse involontaria, che da sola non spiega e non giustifica nulla ma fa di lui, in questa circostanza e con il solito aiutino dei media, un simpatico, irresistibile gaffeur. Con un precedente illustre che appare, ogni giorno di più, come il vero modello mediatico del sindaco di Firenze: l’uomo che abitualmente saltava le domande scomode facendo finta di non sentire, portandosi una mano all’orecchio, indicando gli elicotteri, mimando con le labbra “I can’t hear you”. Lui. Il campione USA della deregulation (una forma avanzata di riformismo, no?), il super-Presidente muscolare dalle molteplici gaffes. Ronald Regan.

E nel frattempo, Renzi conferma che la sua strategia è chiaramente quella di parlare non al partito ma al di fuori del partito: non ci sono interlocutori interni, ci sono (secondo lui) i tre milioni di votanti delle primarie (che erano aperte proprio come richiesto dal medesimo personaggio) che gli hanno (tutti) conferito un mandato. E che sono altro dalla struttura del partito, struttura il cui ruolo, d’ora innanzi, sarà soltanto quello di ratificare e dettagliare le iniziative del segretario. E’ il passaggio dal Partito Democratico al Partito Dislocato.

(mah, quello che avevo da scrivere, l’ho scritto. Se adesso volete dire – o scrivere – “Andrea, chiii?”,  fate pure. Tanto, non vi sento: ho il tinnito. A destra)

Comunicazione di servizio # 6

Si informano i gentili elettori che non è democratico minacciare di espulsione dal partito chiunque si trovasse a dissentire da una decisione presa a maggioranza; pertanto, chi ritenesse di non votare la fiducia al nuovo governo lo potrà fare, in tutta serenità.

Si raccomanda, successivamente, di utilizzare la scusa della seminfermità mentale.