THE TALKING DEAD, EP.21: CEREMONY (PARTE SECONDA)

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate,  episodio 21: Ceremony (parte seconda).

Dopo che ebbe fatto entrare il Sindaco, Aristide richiuse il pesante portone della cappella escludendo luce e aria fresca dall’interno, con la sola eccezione di quanto filtrava da una serie di minuscole feritoie poste lungo le pareti in pietra, appena al di sotto del tetto.

I tagli diagonali ed evanescenti di luce erano più sinistri che suggestivi e s’accompagnavano a meraviglia con l’aria tiepida impregnata d’un lezzo acidulo e inconfondibile. Piuttosto che avvicinarsi al tumulo scoperchiato, Bruno preferì voltarsi per affrontare il defunto custode.

– Il Santo. Santo solo per i devoti baciapile di questo paese di ipocriti, la Chiesa non ha voluto saperne. Il nostro amatissimo parroco, una vita di povertà e umiltà e servizio. La tenne mio padre, l’orazione funebre, fu un discorso molto bello, piangemmo tutti. Credevo che riposasse in pace.

Aristide mosse appena la testa, in un gesto che al Sindaco apparve più  una contrazione involontaria che una risposta. Si sentì ugualmente sollecitato ad avvicinarsi alla tomba.  Mosse le gambe in avanti mentre inarcava la schiena all’indietro, inconsciamente lottando per ritardare il contatto visivo con i resti del vecchio parroco. Si sentì stupido, di cosa aveva paura, poi? Che il parroco uscisse dalla tomba e gli rinfacciasse i suoi peccati?

Quello che vide, alla fine, fu sufficiente a fargli sembrare quel timore una facezia. Anche gli avvenimenti sin lì, i cadaveri a spasso davanti a casa sua, Aristide e gli altri resuscitati del cimitero, tutto all’improvviso gli sembrò quasi ordinaria amministrazione.

Le spoglie del Santo erano cresciute.

Non è lui, pensò Bruno ma fu soltanto un pensiero ingannevole, un tentativo di negare l’evidenza: quello era Don Carlo, il viso rugoso e severo, le mani forti e callose, la sua tonaca. Aveva voluto essere seppellito con quella, logora e segnata dagli anni. C’era tutta una serie di strappi nuovi, però. E c’era…

Carne. 

Filamenti e grumi di carne pulsante e tremula, viscida e rossastra; tentacoli intrecciati, più simili allo sviluppo casuale d’un rampicante che all’ordinata costruzione di una ragnatela. Uscivano da ogni punto del corpo; dalle guance, dal collo, dalle mani. Dallo stomaco. Si aprivano la strada attraverso la stoffa degli abiti, ricoprivano la tomba come muschio insanguinato. Una metastasi in atto nonostante il decesso biologico.

Il Sindaco non ebbe neppure il tempo d’impazzire. Uno sciame di tentacoli violacei si sollevò verso di lui, imprigionandolo. Ebbe solo la possibilità di capire che quelle che gli erano sembrate minuscole bolle distribuite lungo le escrescenze carnose, in effetti, non erano bolle.

Erano bocche.

 

 

THE TALKING DEAD, EP.20: CEREMONY (parte prima)

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Racconto a puntate,  episodio 20: Ceremony (parte prima).

All’improvviso, l’istinto del sindaco gli urlò di voltarsi. Bruno non aveva mai dubitato in vita sua dell’istinto, quindi eseguì con prontezza militare. Ci mise un secondo in più del solito per riconoscere Aristide: qualunque cosa gli fosse successa, aveva mezza faccia schiacciata e il cranio fracassato; attraverso la frattura tra le ossa frontali e quelle parietali si riusciva a intravedere il cervello. Quella era forse era la cosa meno fastidiosa.

Tutta la parte sinistra del volto di Aristide, il bel volto serenamente invecchiato che conosceva bene, sembrava avere subito l’impatto di un veicolo o di un maglio. L’occhio era sparito; orbita oculare e zigomo, fracassati, si nascondevano nella poltiglia di pelle, carne e sangue che aveva avuto un tempo dignità di guancia. In quell’ammasso grumoso, i peli bianchi della barba di Aristide spiccavano come disgustose escrescenze.

Bruno si ritrovò a fissare l’unico occhio rimasto, il destro, quello che una cataratta trascurata aveva reso opaco e poco efficiente. Si ricordò che Aristide aveva chiesto un finanziamento per poter affrontare le cure necessarie e che quel finanziamento gli era stato negato. Il suo stipendio di custode cimiteriale era troppo basso. L’affitto, troppo alto. E il funzionario che aveva bocciato la richiesta altri non era che il fratello del sindaco.

In piedi davanti a Bruno, la testa piegata di lato ma non per curiosità, Aristide spalancò la bocca, scoprendo una fila di denti in cattive condizioni già da parecchio tempo.

L’istinto del sindaco urlò: “corri!”. Le gambe del sindaco non ricevettero l’ordine.

– Sseeehgui meeh… seeeeguii meeeh.

Lo sforzo prodotto da Aristide per parlare causò il distacco quasi definitivo della lingua che s’incastrò tra l’interno della guancia ‘sana’ e gli anneriti denti incisivi. Un fiotto di sangue scuro scivolo’ tra le labbra involontariamente spalancate colando sulla divisa del custode, per solito immacolata. Consunta dall’uso magari, in ragione dei continui tagli al bilancio comunale; ma sempre pulita. Incurante di quella che un tempo sarebbe stata per lui una questione di discreta importanza, Aristide s’incammino’ lungo il viale principale; seguito dal sindaco solo quando Bruno fu certo che al passaggio del custode tutti gli altri cadaveri ambulanti si facevano rispettosamente da parte. Addirittura, da un certo punto in avanti furono lasciati soli, proprio mentre raggiungevano il centro di quel quadrilatero ideale: lì giunti, Aristide apri’ con un certo sforzo le  pesanti  porte poste a guardia del riposo d’un compaesano illustre, sepolto nella cappella più imponente e severa di tutto il cimitero.

Merda. Avrei dovuto immaginare che il casino fosse questo.

Mentre Bruno scopriva un nuovo elemento di preoccupazione, Aristide, con un cenno rigido della mano, lo sollecitò a entrare nella tomba dell’uomo che tutti, in paese come nella provincia, conoscevano come il Santo.

 

THE TALKING DEAD – EP.19: IL QUADRILATERO

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Racconto a puntate,  episodio 19: Il quadrilatero.

Non occorse molto, al sindaco, per accorgersi di due fatti: innanzitutto, i  cadaveri non sembravano minacciosi, esattamente come quelli radunati davanti a casa sua . Inoltre, quel peregrinare all’interno del cimitero sembrava seguire uno schema: alcuni raggiungevano le uscite e s’avventuravano all’esterno; altri, pur continuando a muoversi, percorrevano una sorta di quadrilatero incrociandosi tra loro e ripassando sempre per i medesimi punti.

Come sentinelle, pensò Bruno e questo gli diede un’idea: forse la spiegazione di quella follia si trovava lì, nascosta nel quadrilatero. Per l’esattezza, sepolta più che nascosta. Esitò: se quello che stava pensando era esatto, avrebbe costituito una spiegazione ma assolutamente NON una regola. Nulla assicurava che l’avrebbero lasciato avvicinare, indisturbato.  Nulla assicurava nulla, in quel momento.

Dibattuto tra allontanarsi per ritornare meglio equipaggiato o restare per agire subito, non s’avvide della figura scivolata in silenzio dietro di lui.

Aristide, il vecchio custode, era tornato.

Nello stesso istante, davanti alla villa del Primo Cittadino, Giorgio sollevò le mani in un segno di resa non privo della consueta strafottenza. La moglie del sindaco lo teneva sotto mira con il fucile e lui sapeva bene perché; tuttavia, a preoccuparlo ben più dei vivi erano i morti. I maledetti morti parlanti.

Da qualche parte c’era un cadavere dalla cui bocca, oltre a qualche colonia d’insetti, stava uscendo il motivo per il quale Mara era preda di manie omicide nei suoi confronti. Una vicenda privata che lei stessa in primis non sarebbe mai stata disposta ad ammettere.

– Non sparare, tanto la dottoressa mi ricuce e Don Angelo non ti assolve. Dimmi solo dov’è il Sindaco e ti lasciamo tranquilla.

Mara non mutò espressione né posa: il vero peccato era la luce dell’alba che avrebbe reso impossibile sostenere la tesi dell’incidente. Sapeva che anche Don Angelo e la dottoressa Fedeli erano ricattati da Giorgio e che non avrebbero testimoniato. Ma c’era troppa luce.

– Non lo so, dove sia. Mi hanno svegliata gli spari ma quando sono scesa, Bruno non c’era. Mi viene solo in mente che da qui si arriva prima al cimitero che al palazzo comunale.

Non appena Mara ebbe pronunciato queste parole, Giorgio si precipitò alla macchina; seguito, sebbene con minor convinzione, dagli altri due passeggeri. Mara attese di vedere l’auto allontanarsi prima di rientrare in casa, dopo un’ultima occhiata ai cadaveri riversi a terra. Rieccoti qui, puttana, pensò, davanti al corpo di quella che sapeva essere stata l’amante di suo marito. Morta per la seconda volta, forse dovrei assicurarmi che tu non possa ritornare per la terza.

Se provò rimorso per quel pensiero, fu soltanto perché in tema di amanti lei non poteva proprio permettersi di salire sul pulpito.

Non dopo quello che aveva combinato con suo fratello.

THE TALKING DEAD – EP.18: LA PRIMA LUCE DELL’ALBA

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Racconto a puntate,  episodio 18: La prima luce dell’alba.

La prima luce dell’alba rischiarò il cielo senza intaccare l’invisibile nube d’oscurità nella quale paese e territorio si sarebbero svegliati. Le strade polverose, i campi pronti per il raccolto, le case isolate o raccolte a grappolo, ogni cosa era al proprio posto, immobile nell’attesa del calore estivo.

Le tenebre, portatrici d’un calore gelido, erano invece in movimento.

Frenando bruscamente, sino a far stridere le gomme senza necessità alcuna, Giorgio fermò l’auto davanti all’abitazione del Sindaco: se la sua intenzione era stata quella di precipitarsi al cancello, la vista dei cadaveri riversi sulla strada gli aveva fatto cambiare opinione. Scese dall’auto, incurante delle proteste dei passeggeri; una veloce ispezione gli permise di ricostruire in fretta l’accaduto.

– Sembra che il Sindaco abbia fatto quello che fa di solito.  Ha fatto di testa sua. Non posso dargli torto, questa volta.

Prima che Don Angelo o la Dottoressa potessero replicare, Mara, la first lady locale, apparve al cancello della villa, vestita soltanto di maglietta, mutandine e fucile da caccia. Quest’ultimo, lo puntò verso Giorgio.

– “Torto” è una parola che non ti puoi permettere, bastardo,

disse, chiudendo l’occhio sinistro per meglio prendere la mira.

Nello stesso istante, dopo quella che lui per primo avrebbe definito, per la stampa e gli elettori,  ‘una salutare corsetta’, Bruno arrivò in vista del cimitero. Dall’esterno  tutto appariva quieto e ordinato: il muro di recinzione in pietra chiara, le fila precise di alberi, i colombari. Linee geometriche decise e rassicuranti. Il cancello spalancato, tuttavia, non rientrava nel quadro.

Ancora ansimando per la corsa, Bruno sostituì il caricatore della pistola, verificando di nuovo l’efficienza dell’arma: la sua prima regola di sempre era non lasciare mai nulla al caso. Appena ebbe varcato il cancello capì che all’opera non s’era messo il caso ma il caos.

Più che la scena familiare d’un cimitero, quello a cui stava assistendo rassomigliava all’ora di meditazione in un convento medioevale. Cadaveri in differente stato di conservazione passeggiavano – a modo loro – per i viali o s’aggiravano con aria quasi curiosa tra i monumenti. Bruno ebbe subito un’intuizione operativa.

Non aveva abbastanza proiettili.

 

THE TALKING DEAD – EP.17: CADERE E RISORGERE

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Racconto a puntate,  episodio 17: Cadere e risorgere.

In certo senso, le aveva già sparato; alla schiena, quella volta.

Aveva giocato la carta dello scandalo, ben sapendo quanto lei fosse estranea alla vicenda dal punto di vista morale e pratico. Non da quello politico, tuttavia: metà dei suoi era coinvolta, fino alla radice dei capelli. Facile scaricare su di lei la colpa, facile sostenere che il marcio originasse dall’alto. Tanto facile quanto ignobile ma in palio c’era la poltrona.

Bruno non aveva esitato. Un paio di confidenze di troppo ricevute a letto gli avevano spianato la strada; sapeva che lei aveva troppa classe (e un marito troppo in vista) per controbattere rivelando l’imbarazzante relazione tra loro. Quello che non aveva previsto, era che lei si fosse innamorata sul serio.

In silenzio,  si era fatta da parte.  In silenzio, se ne era andata, divorata da una malattia volutamente trascurata. O così narravano le malelingue di paese: e Bruno, per una volta, si era sentito propenso a crederci. Non che questo avesse scosso la sua coscienza più di tanto.

Aveva sparato anche a quella.

Dopo averla vista cadere a terra, Bruno aveva puntato l’arma verso gli altri resuscitati e fatto fuoco, un caricatore giusto giusto; uno a uno a distanza ravvicinata, guardandoli negli occhi o in quello che ne restava. Li aveva già sconfitti in Consiglio, più d’uno in modo definitivo; li avrebbe anche cancellati dalle strade post-mortem.

A questo, aggiunse anche la decisione di convocare per la mattina ormai prossima il Consiglio comunale. Prima, però, avrebbe fatto visita al cimitero: troppi cittadini defunti a spasso, cosa stava combinando Aristide?

Nello stesso istante, il vecchio custode del cimitero si risollevava da terra, cranio parzialmente sfondato, essenze vitali tragicamente defluite sull’asfalto sudicio della strada. Non più conscio di sé, ignaro di risorgere, non più partecipe del presente: confinato in un limbo ottuso, guidato da ricordi che non sapeva più di avere e da istinti primitivi dissepolti dalle profondità del cervello rettile. Solo la sua missione non era cambiata:  per questo, si diresse con passo strascicato verso il cimitero.

Doveva radunare tutti.

 

THE TALKING DEAD – EP. 16: RIUNIONE DI CONSIGLIO

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Racconto a puntate,  episodio 16: Riunione di Consiglio.

Un po’ strana, come riunione, pensò Bruno sfiorando quasi senza accorgersene la guancia destra con la canna della pistola:  nel suo pensiero, “strano” non intendeva significare “bizzarro”. Piuttosto, pesante.

Di chiunque si trattasse, i convenuti sembravano appartenere a un’associazione di deambulatori con difficoltà; e qualche problema sembrava anche esserci con le loro voci: a quella distanza non certo proibitiva e nel silenzio afoso della notte gli arrivavano comunque distorte, trascinate e gutturali. Più che una conversazione gli sembrava un lamentoso canto rituale. Uno particolarmente macabro.

Che cazzo. Non sarai mai nessuno se non sei capace di lavorarti la folla, Bruno, ricordò a sé stesso uscendo dal provvisorio riparo della recinzione d’angolo. Come se fosse il gesto più naturale del mondo, infilò la pistola nella cintura dei pantaloni, lasciando la cerniera della giacca appena allacciata in basso. Sorrise, avanzando verso i presenti. Nel contempo, ne verificò il numero: erano otto. Un numero che gli era familiare. Quando fu a meno di due metri dai più vicini e favorito dalla luminosità giallognola dell’unico lampione funzionante, capì il perché.

Quattro assessori, quattro consiglieri. Ruoli differenti, stessa appartenenza politica: tutti fieri avversari della fazione alla quale il Sindaco apparteneva sin da adolescente. I suo storici avversari, protagonisti della storia del territorio. E avevano un’altra caratteristica in comune.

Erano tutti morti. 

Forse dovrei fare quattro chiacchiere con Aristide.. o aumentare la copertura per le spese cimiteriali, rifletté Bruno incapace di esprimere a voce alta qualsiasi altro concetto. Li riconosceva tutti, tutti avevano avuto, in bene o in male, importanza e influenza su di lui. Soprattutto la morta che ancora ostentava i lunghi capelli biondi, ora sporchi, ispidi e popolati d’insetti.

Non avevano mai condiviso una mozione ma un letto, sì e più d’una volta. La differenza di età non li aveva mai ostacolati, anzi: una buona copertura, nel caso. Nessuno aveva mai  sospettato di loro. Bruno pensò che dovesse trattarsi d’una disgustosa mascherata, un lurido espediente per qualcosa. Certo, puzzavano in modo terribile e avevano l’aspetto di cibo mal conservato; tuttavia, non poteva essere vero. Qualcuno voleva farsi beffe di lui.

Poi, lei si avvicinò, portandosi con il viso a pochi centimetri da quello del Sindaco. Sollevò una mano incartapecorita e tremante e percorse la guancia di Bruno con un gesto così preciso, così familiare che l’uomo avvertì un brivido gelato scaricarsi dalla nuca alla colonna vertebrale come un fulmine. Prima che potesse reagire, la defunta appoggiò quello che restava delle labbra carnose d’un tempo sulla bocca di Bruno, baciandolo. L’odore di decomposizione era insopportabile così come il guizzo gelatinoso della lingua marcita; eppure, sopra e oltre il disgusto, Bruno riconobbe il gesto,  la posa, quel modo di baciare. Era lei, era davvero lei: nessuno avrebbe mai potuto imitarla così bene. Questa era l’informazione di cui aveva bisogno per prendere la decisione giusta, immediata. Bruno era famoso per la sua capacità di decidere in fretta.

Quindi, mentre ancora si baciavano sollevò la pistola all’altezza della tempia di lei e fece fuoco.

Sorry, dolcezza. E’ la seconda volta che me lo fai fare.

THE TALKING DEAD – Ep.15: La villa

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Racconto a puntate,  episodio 15: La villa davanti al parco.

Il sonno già interrotto da un pessimo episodio di reflusso gastrico, Bruno scivolò fuori dalle coperte in silenzio attento a non svegliare Mara, sua moglie. L’ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento sarebbe stata dover riprendere la discussione riguardo ai suoi crescenti problemi di salute. Quella donna ama preoccuparsi, questa era la verità, pensò Bruno, insieme a: per tua fortuna, non conosci neppure un centesimo delle ragioni che mi tengono sveglio o che stanno mandando in malora il mio stomaco.

S’accorse del rumore mentre sorseggiava un bicchiere d’acqua naturale in cucina. Proveniva dall’esterno, dal parco comunale, forse. Una vera stronzata comprare quella villa proprio davanti a un posto già noto ufficiosamente come meta notturna di perditempo, fornicatori, alcolisti e tossicodipendenti; all’epoca gli era parso così appropriato, invece, traslocare in un edificio adeguato all’importanza del suo nuovo ruolo di Sindaco. Per di più, confinante con il grazioso e appena riqualificato parco,  uno dei luoghi caratteristici del paese, il punto d’incontro della comunità.

Il rumore era troppo vicino e non era neppure un rumore: era un bisbiglio a più voci,  sommesso e lamentoso. Non sembrava una lite ma neppure una chiacchierata tra amici. In ogni caso, era tardi; a quell’ora il parco non aveva mai frequentatori rassicuranti.

Si ricordò d’avere lasciato il cellulare sotto carica, nello studio, al piano superiore; risalire le scale avrebbe richiesto meno d’un minuto e il numero del comando di polizia era nella rubrica delle chiamate rapide. Bruno conosceva un metodo più rapido. Passando dal retro, dai box, avrebbe recuperato tuta da lavoro e scarpe da tennis. Soprattutto, avrebbe recuperato la pistola.

Lui era un sindaco al quale non dispiaceva, ogni tanto, fare anche lo sceriffo. Dopo avere controllato che l’arma fosse carica e in piena efficienza, uscì dal cancello posteriore della villa; tenendosi addossato alla recinzione, ripercorse i propri passi per tornare sul davanti. Per un pelo non tradì la propria presenza sporgendosi troppo: non meno di dieci persone erano radunate in mezzo alla strada, nello spiazzo tra la villa e il parco. Aveva tutta l’aria di una riunione.

E Bruno sapeva di non averne autorizzata nessuna.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 14

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Racconto a puntate

Episodio 14

La reazione di Giorgio fu rapida e non del tutto imprevista: tanto Don Angelo quanto la Dottoressa potevano dire di conoscerlo a fondo, sebbene per motivi assai differenti. Il funzionario comunale fece con rapidità dietro-front, diretto al bagagliaio dell’auto dal quale prelevò un vecchio crick, impugnandolo come una clava.

– Ha ragione, Dottoressa. Non sono suoi pazienti, ora sono i miei!

Sorridendo in quel modo maligno che ne tradiva la vera natura, Giorgio si avventò sui cinque zombie ignorando le proteste degli altri due componenti la squadra dei vivi. Colpì all’impazzata, con la forza generata dalla paura sempre presente in lui: almeno due li aveva riconosciuti, dei loro casi di malasanità s’era occupata anche la giunta comunale.

– E’ l’ora del silenzio, bastardi!,

urlò calando a ripetizione quell’arma micidiale; le urla della Dottoressa e i tentativi, deboli, di Don Angelo per trattenerlo non poterono fermare la mattanza: crani scoperchiati, spruzzi di materia cerebrale e sangue, occhi strappati alle orbite.  Non pago di quanto la decomposizione prima e il metallo poi avevano già fatto, Giorgio infierì anche sui corpi a terra fino a quando un calcio al costato, sferratogli dalla Dottoressa, non gli fece mancare il respiro.

– Sei un pazzo criminale, dovresti stare in galera!!

Tossendo e sputando, Giorgio si rimise in piedi, rispondendo al medico.

– Claudia, se non sto in galera è perché conosco la merda di tutti. E se non avessi il naso al posto del cervello, avresti già capito che questa è… la notte dei testimoni viventi.

La Dottoressa tacque, arretrando davanti all’uomo che ancora impugnava il crick grondante sangue e brandelli di carne; Don Angelo, sconvolto, s’inginocchiò a pregare. Rivolgendosi a tutt’e due insieme, Giorgio tirò le conclusioni.

– Abbiamo del lavoro da fare. I morti non dovrebbero camminare e ancora meno parlare ma sembra che riescano a farlo senza dire bugie. Vanno fermati. Direi che è ora di svegliare quel coglione del Sindaco, no?

Due cose gli vennero in mente, a quel punto: la prima, che il Sindaco poteva essere già sveglio e stare ascoltando storie interessanti. La seconda, che aveva ucciso Aristide senza che fosse già morto prima.

 

Poteva davvero sentirsi sicuro che non ritornasse?

THE TALKING DEAD – EPISODIO 13

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Episodio 13

Raggiungere l’ospedale a piedi era fuori discussione, per almeno DUE motivi: la distanza dagli uffici comunali e, soprattutto, il fatto che  tanto Giorgio quanto Don Angelo non avessero la benché minima voglia di percorrere a piedi una qualsiasi strada. Giorgio fu rapido a risolvere l’empasse.

– Usiamo l’auto di servizio, le chiavi sono nella bacheca.

Don Angelo esitò a seguirlo, pur sollecitato dall’impegno assunto con la Dottoressa Fedeli; d’altronde, il tono di voce stridulo e spaventato del medico aveva peggiorato le condizioni del suo sistema nervoso. E l’improvvisa sicurezza ostentata da Giorgio era ancora meno rassicurante.

Per sfuggire ai morti viventi stava per affrontare un viaggio in auto con un probabile assassino, nonché comprovato truffatore.  Al termine del tragitto, nuovi orrori da affrontare. Più la Dottoressa. Una professionista stimata e riconosciuta in tutta la regione, medico di rara competenza e capacità. Giusto con un paio di piccoli difetti.

Stimolanti chimici e sesso estremo.

Un bel cocktail che l’avrebbe fregata per benino, prima o poi. Al riguardo, aprendo bocca per la prima e unica volta mentre guidava, Giorgio chiarì il proprio pensiero con l’arroganza e la cattiveria tipiche degli esclusi dalla beneficenza.

– Non vedo l’ora di salvare il culo a quella troia. Poi vedremo se farà ancora tanto la difficile. Eh, Reverendo? Ah, ma non è il suo genere, vero?

Don Angelo sapeva di meritare tutto il castigo che gli veniva inviato, tuttavia non riuscì a reprimere la segreta speranza che divorato dagli zombi ci finisse proprio Giorgio. Una fantasia alla quale dovette rinunciare non appena l’auto fece irruzione nel piazzale riservato al parcheggio del personale e dei familiari dei pazienti.

Gli zombie erano tanti ma nessuno sembrava volersi avvicinare alla Dottoressa con intenzioni carnivore. Piuttosto, vista dalla macchina, la scena somigliava molto a un consulto collettivo. Altrettanto sorprendente fu quello che la dottoressa urlò ai due ‘soccorritori’ mentre scendevano dalla macchina.

– Non sono pazienti miei. Non sono pazienti MIEI, capite?

 

THE TALKING DEAD – EPISODIO 12

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Racconto a puntate

Episodio 12

– Sì, è vero, due o tre anni fa… il corpo fu trovato lì ma era stato ucciso altrove. Non si scoprì nulla. Ma… cosa avrebbe a che fare con noi?

Giorgio soppesò la domanda di Don Angelo pur avendo la risposta già in tasca. Cominciava a intravvedere una sorta di schema nel delirio di quella che era iniziata come una qualsiasi giornata estiva. Laura non aveva nulla a che fare con la vicenda del direttore delle Poste (per quanto ne potesse sapere, ovvio); lui e Don Angelo non avevano nulla a che fare con i due personaggi che l’accusavano d’infanticidio. Aristide, il custode del cimitero, era l’unico che poteva avere a che fare con tutti,  vivi e defunti, proprio in virtù dell’incarico ricoperto.  Ma Laura non riposava nel cimitero del paese.

In effetti, l’eventuale schema era delirante tanto quanto l’idea di morti che camminano per le strade. Prima che Giorgio potesse condividere quella che a lui stesso appariva più come un costrutto della paura che come un’intuizione, la suoneria d’un cellulare fece irruzione con la propria incongrua allegria facendoli trasalire.

Don Angelo rispose ma solo dopo avere letto il nome dell’interlocutore sul display. Ed essere ulteriormente impallidito.

– Dottoressa. Cosa…? Per favore, si calmi! Come… Le credo, certo che le credo. Non… No, mi ascolti: resti dov’è,  sto arrivando.

Mentre chiudeva la conversazione, il prete sollevò lo sguardo fissandolo in quello del tecnico comunale. Giorgio stava sorridendo, il sorriso acido e velenoso che Don Angelo conosceva bene. Giorgio non era un buon parrocchiano; anzi, per dirla tutta, Giorgio era un vero criminale, travestito da irreprensibile funzionario. Se soltanto avesse potuto denunciarlo.

Se soltanto non fosse stato suo complice.

– Era la Dottoressa Fedeli. Mentre lasciava l’ospedale ha notato alcuni… cadaveri… che… camminavano verso di lei.

Il sorriso di Giorgio stava per raggiungere le orecchie, quella era per lui quasi una buona notizia. Lo schema. Forse c’era davvero. Non riuscì a trattenere la domanda.

– E cos’avevano da dire i morti,  alla nostra illustre scienziata cocainomane?