THE TALKING DEAD – EPISODIO 11

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate

Episodio 11

Don Angelo si agitò sulla sedia quasi che, all’improvviso si fosse arroventata; la visione del cadavere sfigurato, corroso dai vermi che strisciavano tra la carne marcita e il prezioso abito fasciante con cui era stata sepolta,  non aveva più abbandonato la sua mente dal momento in cui aveva ascoltato quei passi strascicati lungo il corridoio della navata. Trasalendo, l’aveva subito riconosciuta nonostante la penombra debolmente rischiarata dalle candele. Non poteva essere diversamente, ogni colpa trova il proprio castigo.

– E’ venuta per noi, Giorgio. Per quello che abbiamo fatto. Mi devi credere, non sono impazzito. Laura era lì, in piedi davanti a me. Non sono pazzo.

Giorgio sollevò  una mano per interrompere il parroco: da un lato, era ansioso di sapere;  dall’altro,  ascoltare anche solo le poche parole pronunciate sino a quel momento dal religioso aveva accentuato il gelido morso della paura dentro di lui.

– No, nessuno è impazzito.  Sta accadendo qualcosa. Laura non è l’unico cadavere a spasso per le strade. Comunque… ha detto qualcosa?

– Come lo sai? Anche tu… l’hai incontrata?

– Non Laura. Ho avuto la mia parte di cadaveri, questa sera. E parlavano. Del bambino.

Giorgio si rese conto d’averlo detto solo dopo averlo detto: cosa gli stava capitando, non aveva neppure bisogno di nominare il bambino, il prete sapeva. Eccome, se sapeva. L’inferno aspettava tutti e due e non era da escludere che il diavolo si fosse stancato d’aspettare.

– Avanti, cosa ha detto mia moglie? COSA?!

Nonostante l’impeto violento con il quale Giorgio l’aveva incalzato, Don Angelo non rispose subito: dunque, quella di Laura non era stata l’unica apparizione. Qualunque mistero o forza fosse all’opera, era molto, molto più grande di quanto non avesse immaginato fino a pochi attimi prima; si diede mentalmente dello stupido per essere letteralmente fuggito dalla chiesa senza ascoltare altro.

Ma era difficile sostenere lo sguardo di due orbite cave affollate da insetti.

– Non ha detto molto.  Ha ripetuto tre o quattro volte le stesse due parole:  “il ponte”.

Giorgio premette la fronte contro il vetro della finestra, freddo e appannato. Nessuno, tranne lui, sapeva che quello di Laura non era stato un incidente ma un suicidio e comunque non c’entrava nessun ponte, perché mai un ponte avrebbe dovuto…

Si girò di scatto, colto da un’intuizione.

– Il direttore delle Poste. Non fu trovato morto sul ponte vecchio?

 

 



 

THE TALKING DEAD – EPISODIO 10

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate

Episodio 10

– Don Angelo. E’ tardi per le visite.

– Giorgio. Avevo visto bene. Ti stavo cercando.

Fermi nelle rispettive posizioni, l’uno sulla porta e l’altro in piedi dietro la scrivania e con una bottiglia di liquore in mano, presero entrambi mentalmente nota del tremito nelle voci. Il pallore dei volti era celato dall’alone giallastro della lampada da tavolo che tuttavia accentuava l’espressione spaventata dei due uomini, ritratti in quel crepuscolo artificiale come a lume di candela in un dipinto antico: ai lati della scena, due figure a carboncino intagliate dai riflessi, protese in avanti a testa incassata. Schiacciate da qualche peso oscuro assommato all’aria stagnante della stanza.

– Perché mi stava cercando, Padre?

L’ombra del sospetto e della colpa traspariva dal tono e dalla fretta insiti nella domanda di Giorgio. Don Angelo tuttavia sembrò non accorgersi di nulla, si mosse nella stanza come se all’improvviso non riconoscesse più il luogo o non ricordasse il motivo per il quale si trovava lì. Di colpo, fece qualcosa che Giorgio non si sarebbe mai aspettato: gli strappò la bottiglia dalle mani per bere due lunghe sorsate di liquore. Dopo di che si sedette davanti alla scrivania, abbandonandosi di peso sulla sedia.

– E’ successa una cosa terribile, qualcosa che mi fa dubitare della mia stessa mente.

Gli occhi del reverendo vagavano per la stanza quasi s’aspettasse d’essere aggredito da un nemico nascosto nella penombra, dietro o sotto un mobile. Esitava a incrociare lo sguardo con il proprio interlocutore e non riusciva, pur seduto, a rimanere fermo; pur inquieto a sua volta, Giorgio decise che il prete dovesse avere ricevuto uno shock addirittura peggiore del suo. Non per questo sentiva di potersi fidare del tutto.

– Come ha fatto a entrare?

Le labbra di don Angelo si storsero per un istante in un sorriso acido.

– Presto la mia opera anche in carcere, lo sai. Di quando in quando vengo ripagato con qualche piccolo insegnamento. Non si sa mai quando certe cose possono tornare utili, vero? Se avessi bussato avresti fatto finta di non essere qui. Ma questo è qualcosa che DEVI sapere. E’ venuta a trovarmi. E’ stata da me, in chiesa.

Giorgio girò attorno alla scrivania, avvicinandosi alla finestra per osservare all’esterno: oltre il davanzale poteva vedere soltanto l’oscurità della notte priva di luna. Quella era comunque un’oscurità che poteva osservare. L’altra oscurità, quella che custodiva da molto tempo dentro di sé, la poteva soltanto avvertire: e stava salendo, inesorabile come una marea.

– CHI, è stato in chiesa?

– Tua moglie. Laura.

L’unica cosa che Giorgio riuscì a pensare fu che neppure da morta la stronza aveva perso l’abitudine di confessarsi.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 9

THE TALKING DEAD

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Episodio 9

Il vento era calato già nel pomeriggio e in ogni caso i suoi colleghi avevano una paura fobica in argomento furti e atti vandalici: dopo l’ultimo episodio, la consegna era sbarrare porte e finestre prima di lasciare gli uffici, in qualunque stagione. Per questo motivo, il rumore che lo aveva appena fatto trasalire aveva una e una sola spiegazione.

Qualcun altro si stava aggirando all’interno della palazzina. L’uomo deglutì a fatica, la saliva all’improvviso trasformata in sabbia appiccicosa; comunque meglio delle gambe tremolanti come gelatina e pesanti come piombo, frutto della paura dalla quale era assalito. Certo, poteva trattarsi di un collega, come no. A quell’ora? Comunque, nessuno faceva gli straordinari da quelle parti e poi le casse comunali non potevano permettersi ore extra. Forse un intruso, un vandalo, un altro furto di documenti come quello dell’anno precedente: muri imbrattati di scritte incomprensibili, sedie rovesciate, mobili rovinati e alcuni faldoni spariti.

Pratiche insignificanti, in apparenza. Ufficialmente.

L’uomo si sentiva certo di poter escludere un visitatore a caccia di souvenir, quindi restava soltanto un’altra ipotesi. LO avevano seguito. LORO, lo avevano seguito: la coppia di cadaveri incontrati lungo la strada, quella scheggia di impossibile conficcata dal caso nella realtà del suo pomeriggio. O forse…

Forse il maledetto custode cimiteriale non era morto, non abbastanza morto e i passi che l’uomo distintamente avvertiva provenire dalle scale erano i suoi. Stava salendo l’ultima rampa, dieci gradini in tutto; poi, sei passi e sarebbe stato alla porta. L’uomo, come d’abitudine, l’aveva accostata anche se non era necessario; l’avesse lasciata aperta, avrebbe potuto vedere di chi si trattava. Non che fosse così ansioso di saperlo.

Se solo fosse riuscito a muoversi, se le gambe avessero smesso di tremare, se lo stomaco non fosse stato un buco nero impegnato a risucchiare ogni sua energia e razionalità, avrebbe potuto arrivare per primo alla porta della stanza e girare la chiave. Sì. Avrebbe potuto. Se solo fosse riuscito a muoversi. Passi in corridoio.

Tre. Quattro. CINQUE.

Un’onda di sudore gelido e salato traspirò da ogni poro della sua fronte e della schiena mentre il lamentoso cigolio dei cardini arrugginiti annunciava la presenza del visitatore dietro l’uscio in legno. Non aveva fretta, l’intruso; spinse la porta con quella che all’uomo sembrò sadica lentezza, il raffinato piacere del predatore che trattiene l’attimo fatale. Centimetro dopo centimetro, fino a quando non fu spalancata e la figura del visitatore, stagliata sulla soglia, divenne visibile alla debole luce della lampada da tavolo. Per poco, all’uomo non sfuggì una bestemmia che sarebbe stata doppiamente inopportuna.

Era il maledetto prete.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 8

THE TALKING DEAD

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episodio 8

Quando arrivò a destinazione, la vetusta e isolata palazzina che ospitava gli uffici tecnici del Comune era completamente avvolta nell’oscurità: il Sindaco faceva campagna sul risparmio energetico spegnendo l’illuminazione stradale nei pressi degli uffici periferici ma non del Municipio, in centro paese. Quello, era sempre illuminato a giorno. Per una volta, l’uomo ritenne di approvare le scelte dell’Amministrazione.

Muoversi al buio, ad ogni modo, non lo faceva sentire a suo agio: qualsiasi rumore, fosse il verso d’un animale o il motore distante di un’auto, lo faceva trasalire dandogli i brividi. Arrivare alla porta posteriore della palazzina a due piani fu un sollievo.

Di breve durata.

All’interno, il silenzio notturno era ancora più pesante e percorso da voci fastidiose: lo scricchiolio dei vecchi, vecchi mobili in legno; i rubinetti dei bagni al piano terra, il cui ritmato sgocciolare era refrattario a qualsiasi intervento idraulico; persino il rumore dei suoi stessi passi, la gomma delle suole fischiava contro il levigato pavimento marmoreo.

Raggiunse in fretta il proprio ufficio, salendo i gradini delle scale a due a due, ansimando, il cuore in gola non soltanto per quello sforzo. Per prima cosa, andò alla scrivania, dalla scatola delle graffette nel primo cassetto recuperò la chiave che apriva lo schedario metallico. Non teneva soltanto pratiche vecchie e nuove, lì dentro: nascosta tra i faldoni del cassetto più basso si trovava una bottiglia di buon whisky d’annata. Un lungo sorso scivolò nella gola dell’uomo, un torrente tiepido e bruciante. Staccò di colpo la bottiglia dalle labbra per respirare come un naufrago riemerso dopo essere stato travolto dalla tempesta. Andava meglio, ora.

Il tonfo della porta che si richiudeva al piano di sotto sbriciolò quella ritrovata calma.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 7

THE TALKING DEAD

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episodio 7

 

Avvicinandosi al paese, rallentò l’andatura preoccupato di non dare nell’occhio: infilare le mani in tasca per nascondere l’evidente tremore sarebbe stato facile ma l’esame dei suoi abiti, visti nel riflesso d’una vetrina non fu soddisfacente. La camicia era macchiata e così pure i pantaloni; da ultimo, l’avambraccio destro evidenziava segni difficilmente interpretabili come qualcosa di differente da una lotta. Non poteva proseguire. Non poteva farsi vedere così.

Tornare indietro, comunque, era escluso.

S’addossò al muro del vicolo, sul retro del negozio già chiuso nella cui vetrina s’era specchiato. L’oscurità era ormai calata sulla campagna, la vecchia e ormai inadeguata illuminazione stradale del paese stendeva deboli pennellate di giallo, tremolanti fiamme di candela mosse dalla brezza serale. L’oscurità era con lui, con un pizzico di fortuna avrebbe potuto arrivare all’altro capo del paese senza incontrare nessuno. In ufficio, aveva un cambio di vestiti.

Scrutò lungo la strada, da dove si trovava riusciva a osservare il corso principale fino alla piazza: le voci che sentiva dovevano provenire dal bar, unica attrazione locale aperta a quell’ora. L’altra era il cinema ma quello era stato spostato nel paese confinante, non aveva nessun bisogno di percorrere quella strada. La piazza, invece, la doveva comunque attraversare. Poteva arrivarci passando dalle laterali, evitando il corso; l’importante era sbucare a distanza dal bar e magari infilarsi subito sotto i portici delle case. A quell’ora, con quell’illuminazione, sarebbe stato solo un’ombra tra tante.

Quello era il piano A, al quale di sicuro avrebbe giovato il calzare scarpe da ginnastica, silenziose sull’acciottolato delle strade. Scelse il piano A, anche perché, a conti fatti, non esisteva un piano B. Non poteva tornare a casa, l’ufficio sarebbe stato il suo porto per la notte.

Si mosse, quindi, diretto agli uffici comunali.

 

THE TALKING DEAD – EPISODIO 6

THE TALKING DEAD

racconto a puntate

episodio 6

 

Scattò a sua volta, lesto e meccanico quanto la lama del coltello. Per il custode del cimitero non vi fu scampo, troppo sorpreso, troppo in là con gli anni: un colpo solo, dritto al cuore. La placidità del tramonto nella campagna spezzata dal rumore del metallo che perforava la carne, dal sordo battito finale – quasi un grido – del muscolo cardiaco.

Il corpo di Aristide crollò a terra, inanimato. Alle spalle dell’uomo, i due cadaveri viventi si mossero, con rallentata goffaggine, lamentandosi.

Gggghhhhaaaahhhssassiiiinoohhh… Mmmghhaaahhsssasss…

Assassino. Sì, il concetto era quello. All’improvviso, fu tutto chiaro e una calma irreale (tanto irreale quanto quella situazione) calò nell’uomo; all’improvviso, sapeva cosa fare. Non avevano neppure tentato di morderlo ed erano maledettamente lenti.

Si guardò attorno. Per fortuna, i dintorni non erano avari in materia di sassi; ne cercò uno grande e appuntito a sufficienza quindi si preparò alla mattanza. Erano cadaveri, dovevano restare cadaveri. Con veemenza ancora maggiore di quella impiegata per uccidere il custode, l’uomo si scagliò contro la coppia barcollante facendo ruotare il braccio destro dal basso per ottenere il massimo effetto.

Per prima, scelse la donna: del resto, aveva parlato per prima, no? L’impatto non fu preciso, alla tempia sinistra anziché in mezzo al cranio ma l’effetto fu comunque devastante. Le ossa del cranio si spezzarono; un liquido nero,  denso e maleodorante si riversò attraverso l’improvvisa apertura colando anche sulla mano dell’aggressore. Questi la ritrasse di scatto, vuoi per pulirsi vuoi per colpire ancora. Al secondo tentativo, la testa della sventurata venne aperta a metà, in un’esplosione di schegge d’osso, carne putrefatta e parassiti.

Per poco non si mise a ridere quando l’altro cadavere tentò di morderlo. Prima gli fece saltare tutti i denti, insieme alla mandibola; poi lo colpì al cranio. In meno di quanto avrebbe mai pensato, tre cadaveri giacevano a terra, immobili.

Per non sbagliare, prima di allontanarsi sfondò anche il cranio di Aristide.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 5

THE TALKING DEAD

racconto a puntate

episodio 5

 

– Si allontani. Per favore, vada via.

Non aveva certo bisogno di un invito scritto, quindi quell’esortazione pronunciata con voce resa incerta dal rapido ansimare di Aristide ottenne sull’uomo l’effetto contrario a quello desiderato.  Interruppe il proprio retrocedere, rivolgendosi al custode del cimitero senza staccare gli occhi dalle due mostruosità ancora ferme a lato della strada.

– Cosa diavolo sono? Cosa.. cosa pensi di fare, ucciderli con la pompa della bicicletta?,

esclamò, cercando di sublimare almeno una parte della gelida paura che l’attanagliava in rabbia; rabbia scagliata contro il custode, sicuramente colpevole d’essersi fatto sfuggire quella simpatica coppia di cadaveri parlanti. L’idea appariva perfettamente logica all’uomo, salvo trovarla al tempo stesso perfettamente stupida.

– Vada via. Io.. li riporto indietro. Ma vada via.

Una parte di lui aveva tutta l’intenzione di seguire quel saggio consiglio, una parte di lui voleva voltarsi e correre a perdifiato verso il paese, verso il bar più vicino. MA. C’era un grosso ‘ma’.

Una parte di lui non voleva che anche Aristide potesse ascoltare le parole smozzicate ma chiare che la cosa in apparenza donna avrebbe potuto pronunciare: lui conosceva Aristide, ovvio ma Aristide non conosceva lui, come avrebbe potuto? Il custode conosceva molto di più le lapidi che spolverava dei vivi che, di quando in quando, vi sostavano accanto. Comunque, andare a trovare il bambino era stato un errore. “Bambino” e “ucciso” potevano far scattare qualcosa anche nelle sinapsi placide del vecchio impiegato cimiteriale. L’uomo aveva una decisione da prendere e da prendere in fretta.

Fu il cadavere in apparenza uomo ad aiutarlo: all’improvviso, come rivolgendosi ad Aristide, sollevò un braccio indicando nella sua direzione. Pronunciando  di nuovo l’accusa.

…ggghllui… mgglluilui.. uhccisooh… ggghbbahmbinoooh..

Mentre Aristide lo fissava, l’uomo mise mano alla tasca posteriore dei pantaloni, prendendo il coltello a serramanico.

THE TALKING DEAD – Episodio 4

THE TALKING DEAD

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episodio 4

 

Sì, non c’erano dubbi: aveva detto “bambino”. Quella cosa orrenda aveva pronunciato una parola, male e gorgogliando ma l’aveva pronunciata. Proprio quella parola. Un caso. Doveva essere un caso. O forse no. O forse sì. Magari la sua immaginazione: l’uomo s’accorse all’improvviso d’essersi bloccato sulle gambe, le braccia abbandonate lungo il corpo, la catenina penzoloni nella mano. Il crocefisso cullato lievemente dalla brezza serale.

L’orrore lo osservava da meno di due metri di distanza, sempre con quella testa decomposta e infestata da larve e insetti curiosamente piegata di lato. Anche l’altro orrore, quello maschile, con quel ridicolo e consunto doppiopetto nero, lo stava osservando; con occhi fissi e vitrei, divorati dalla cataratta e dalle larve. Di colpo, l’uomo si rese conto che entrambe quelle cose indossavano abiti che ricordava d’aver visto solo in qualche vecchia foto di famiglia. I suoi genitori, si vestivano in quel modo.

Quelli non erano i suoi genitori ma la donna-cadavere aveva detto “bambino”, come se sapesse. Lo stavano fissando come se tutt’e due sapessero; peggio ancora, sembravano aspettare che lui dicesse qualcosa. Contro ogni logica e persino contro la sua stessa volontà, l’uomo parlò.

– Chi siete? Cosa volete? Che ne sapete del bambino?

Nuovamente, fu la donna a parlare, muovendo la testa come se i tendini marciti del collo avessero sostituito le corde vocali. Più che pronunciare parole, le esalò, accompagnandole con gesti spastici delle mani che sembravano voler sottolineare la sua defunta disapprovazione.

– gggmmbbhh.. biinoh.. bbbaahm.. biinooh.. ggh.. uhh.. uccisooh.

Ho bevuto, si disse l’uomo. Ho bevuto prima, senza rendermi conto di quanto possa avere ingurgitato e adesso vedo cose che sono soltanto nella mia testa, pensò trovando improvviso sostegno in quella così precisa e ampia spiegazione.  Un vero conforto. Spazzato dal rumore afono dei freni da bicicletta.

Si girò, già avvertendo il raggelante flusso della paura diffondersi nel sangue, antidoto malato alla sicurezza della presunta allucinazione: quel suono era troppo, troppo reale;  e non era tutto: riconosceva la persona dal respiro affannato appena smontata dal sellino, comprendeva perfino il motivo assolutamente logico per il quale si trovava lì.

Era il vecchio Aristide, il guardiano del cimitero.

 

THE TALKING DEAD – EP.3

THE TALKING DEAD

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episodio 3

 

Arretrò, brandendo la croce che portava al collo – dopo averla quasi strappata via nello sfilare la catenina – con mano tremante. I cadaveri lo stavano osservando senza muoversi, la testa leggermente piegata di lato come cani pazienti.

Cani infernali. Cosa avrebbero voluto fargli?

Come il personaggio di qualche film di serie B, mentre era intento a esorcizzare (Lui? Dentro di sé sapeva, al caso, d’essere il primo a necessitare d’un buon esorcismo) quell’abominio, inciampò, cadendo all’indietro. Un inglorioso atterraggio sulle arrotondate natiche  offese il suo Io ma salvò, tutto sommato, la schiena da danni peggiori.  A quel punto, il cadavere-donna mosse un passo in avanti. E una mano.

Come volesse aiutarlo a rialzarsi.

L’uomo (quello cosiddetto vivo) impugnava ancora la minuscola croce, perciò riprese la medesima azione: brandire il simbolo di tutto ciò che era (o avrebbe dovuto essere) Sacro, continuando ad arretrare. Solo che questa volta lo stava facendo da terra, strisciando e scalciando. La polvere della strada, mischiata a quella degli stivali, danzò in aria con pigra inerzia, perlopiù riversandosi verso le narici e la bocca spalancata dell’uomo.

La donna ritrasse la mano, perdendo nell’azione un buon quantitativo di vermi e qualche minuscolo brandello di carne molliccia e marcia. Dalla postura, si sarebbe detto che un’espressione di stupore le si era dipinta in viso; se avesse ancora avuto un viso, naturalmente.  Per questo, quando aprì la bocca, l’uomo terrorizzato non vide le labbra, peraltro rinsecchite e violacee, ma il biancore della mandibola che si spostava, tirando lembi di carne infestata da parassiti banchettanti.

– mmmgghh.. mmgbinohh.. baaah… mggh.. baahhmmbinoooh.

Aveva detto “BAMBINO”?