Evolvendo

Giuliano Poletti

Non c’è dubbio: il nostro paese sta cambiando, si sta evolvendo. E’ un’evoluzione talmente rapida e concitata da produrre in più d’uno un curioso “effetto giostra”, una vertigine – insomma: un momento di confusione. Si spiega, quindi, perché oggi Sua Eccellenza il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, On.Giuliano Poletti, già presidente di Legacoop Nazionale, a margine del suo mancato intervento al XVI Congresso nazionale della U.I.L., abbia ritenuto di esprimere il proprio giudizio sull’indizione di uno sciopero generale in questi termini:

«Ho già detto in generale, rispetto alle motivazioni portate che sui temi della legge di stabilità e del Jobs act ritengo non ci siano le motivazioni per una decisione così importante come lo sciopero generale. Le organizzazioni si prendono la responsabilità di ciò che decidono» (fonte).

Fermo fotogramma: opinione legittima e rispettabile, interlocutore autorevole, puntualizzazione decisa e chiara. Troppo decisa e chiara: nello slancio, forse provato – ancorché da spettatore – dall’ennesimo rollercoaster assembleare del Patimento Duodenale, S.E. il Ministro si fa sfuggire quel “ritengo..” COME SE fosse mai spettato – o spettasse da oggi, dopotutto il nostro paese si evolve, va veloce – al Governo valutare la sussistenza di opportune e gravi ragioni per indire uno sciopero. In un Paese Democratico, ove si tratti di difesa dei Lavoratori e dei diritti, spetta alle Organizzazioni Sindacali, questa valutazione: dissentire dalle ragioni non deve far perdere di vista questo punto formale e sostanziale. Per capirci meglio: S.E. il Ministro troverebbe corretto se un sindacato (o, orrore!, un partito, fosse anche il Perpetuo Dibattere) stabilisse per Lui i criteri guida del suo Ministero? Lo considererebbe spirito di servizio o una plateale invasione di campo?

Il paese. intanto, evolve. Rapidamente. Non sarà dunque lontano il giorno felice in cui, per convocare uno sciopero, occorrerà prima ascoltare il parere della Protezione Civile, trattandosi infatti di masse in movimento incontrollato. La Democrazia è importante.

Ma, hai visto mai che esondi?

Posto

Renzi Leopolda 5

“Il mondo è cambiato, il posto fisso non c’è più”

“D’ora in avanti, l’unica certezza sarà l’incertezza del posto di lavoro”

Di queste due frasi, la prima è una citazione testuale, la seconda un indelebile ricordo mnemonico. Sembrano entrambe pronunciate in questi giorni ma non è così: la prima, appartiene al Premier/Segretario Matteo Renzi, è di oggi. La seconda, è di Luigi Abete, pronunciata durante l’incarico di presidente di Confindustria, tra il 1992 e il 1996. Sembrano saldarsi alla perfezione e in effetti lo fanno.

Lo slogan della 5a edizione della cosiddetta Leopolda è stato “Il futuro è solo l’inizio”.

Il Premier deve essere un fan di Star Trek: e a curvatura 2.0 ha appena saldato il futuro al passato.

 

 

Welcome in the Age of Demansionamento

“Un’altra novità introdotta dall’emendamento è la possibilità per l’azienda di demansionare un dipendente. Il testo, che modifica di fatto l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori, delega il Governo ad adottare «una revisione della disciplina delle mansioni, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”. 

Il testo qui sopra, ripreso dal sito web de “La Stampa” di oggi (il grassetto è mio), illustra una delle innovazioni introdotte dall’emendamento del Governo, in discussione al Senato. Ci sono altre novità, ben più pesanti, come quelle relative al fatidico art.18; tuttavia, vorrei rubarVi un minuto per parlare del ‘demansionamento’.

Sono un lavoratore demansionalizzato. Uno dei tanti, davvero tanti, nell’azienda per la quale lavoro. Alla luce di quanto formulato all’interno dell’emendamento governativo, vorrei – serenamente & pacatamente, come amava ripetere il principale esponente degli sponsor dell’attuale Premier a me avverso – precisare quanto segue:

NON esiste alcun “utile impiego del personale” laddove, mantenendo inalterati inquadramento e retribuzione, si dequalifichino le mansioni. E’ umiliante sapere d’essere pagati per compiti inferiori, qualitativamente, a quelli che già si svolgevano. E’ punitivo, NON esiste alcuna “tutela della professionalità e delle condizioni di vita” se il giorno prima prendi decisioni di peso e assumi rischi e responsabilità e il giorno dopo, semplicemente, rispondi al telefono e riferisci. Dulcis in fundo, la “tutela del posto di lavoro” che è un dovere del datore di lavoro e un diritto del lavoratore, diventa l’argomento che le rappresentanze sindacali illustrano per farti anche sentire, oltre che umiliato e privato della possibilità di dimostrare il tuo valore, anche un parassita privilegiato: che vuoi, hai ancora un posto di lavoro e lo stesso stipendio. C’è gente che muore di fame, in questo paese.

Certo. Vero. E per ribadirmi quanto sono tutelato, il Governo del progressista riformista rottamatore nemico delle lobby e dei poteri forti e difensore dei deboli & degli oppressi s.p.a. farà approvare un articolo di legge apposito, volendo contemperare “l’interesse dell’impresa”. Credevo che il maggiore interesse di un’impresa risiedesse nel coinvolgimento attivo e partecipe di ogni dipendente, riconoscendo a ciascuno il proprio valore e ruolo. Qualsiasi serio studioso di scienza dell’industria vi dirà che non esiste dipendente più produttivo di un dipendente soddisfatto. Che stronzata, eh?

P.s.: il Premier è espressione e Segretario di un partito al quale, fino all’anno scorso, ero iscritto. Al momento, non ho ancora deciso di rinnovare la tessera: se passa l’articolo sul ‘demansionamento’, decisamente, non lo farò. Serenamente & pacatamente s.p.a.

Message In A Bubble

Unità_De Mattia_Bancari_26042014

Messaggio in una bolla, una bolla scoppiata già da molto tempo: come recita il titolo dell’eccellente articolo che allego, “Crisi e tagli, come cambia lo ‘status’ del bancario”, è ora di lasciar perdere le vecchie, comode ed irrimediabilmente ingiallite fotografie di 30 anni fa ed accorgersi, ad occhi ben aperti, di quanto e come è cambiato il settore bancario. Di quanto e come (ed in peggio) è mutato lo ‘status’ del bancario. Non aggiungo altro perché condivido parola per parola l’articolo a firma Angelo De Mattia, pubblicato da L’Unità: per una volta, un’analisi scevra da pregiudizi e luoghi comuni; uno sguardo a 360° a tutte le problematiche del settore; e una serie di importanti osservazioni che smontano i facili alibi con cui le Banche vorrebbero in questo momento assestare ai lavoratori l’equivalente di un vero e proprio colpo di grazia normativo e salariale.

P.s.: l’accuratezza dell’articolo e l’evidente conoscenza della materia mi hanno incuriosito. Mi sono posto il dubbio se l’estensore sia un giornalista professionista o un ‘addetto ai lavori’. Ho provato a fare un paio di ricerche in rete e l’unico Angelo De Mattia nel quale mi sono per ora imbattuto è nientemeno che l’ex-Direttore Centrale della Banca d’Italia ai tempi di Antonio Fazio, nonché segretario particolare del Governatore stesso. Se è lui, non provateci neppure a dire che non sa quel che dice: è stato anche Segretario Generale aggiunto della Fisac-CGIL. Reggatta De Bank.

Non vogliamo farci fregare di nuovo (Won’t get fooled again)

“Come un flash di agenzia ecco la notizia: a Roma ABI e le Organizzazioni Sindacali hanno formato l’accordo sul nuovo Fondo di Solidarietà , meglio conosciuto come Fondo Esuberi. Contemporaneamente ABI ha ritirato la disdetta del contratto , che certamente ricorderete aveva dichiarato negando la ultrattività del medesimo il 16 settembre. In quella data si aprì la fase conflittuale in categoria, culminata nel riuscitissimo sciopero del 31 ottobre scorso, che ora, è evidente, ha prodotto i propri frutti. Il 28 febbraio 2014 è già fissato il primo incontro tra ABI e OO.SS sul contratto nazionale. Buone feste a tutti e a tutte”.
Questo, uno dei primi comunicati di ieri: un risultato importante ma, tutto sommato, anche un bel brodino tiepido. La disdetta del contratto è soltanto rimandata in senso temporale e c’è da supporre che richieste ed intenzioni di ABI rimarranno invariate; l’accordo sul Fondo Esuberi altro non è che la riconduzione alla Legge Fornero – una legge dello Stato – come doveva essere. Ancora rimandata, anche all’interno delle OO.SS., una riflessione sulla reale necessità ed opportunità di continuare sul binario delle continue uscite.
Nel frattempo, osservando il rimando al (o entro) 28/02/14, le condizioni di lavoro continuano a peggiorare QUOTIDIAMENTE. Non soltanto perché la misura è colma; soprattutto, perché le risorse (di buona volontà, di resistenza, di intraprendenza) sono oramai depauperate. La pazienza è finita, le energie sono prosciugate e non è il massimo alzarsi ogni mattina con l’obiettivo di farsi il minor male possibile. Tutto questo si riflette nella qualità del lavoro – mentre la quantità continua ad aumentare – e nel rapporto con una clientela che scarica su di noi, ovviamente, anche quanto non ci compete. Il “credit crunch” non è responsabilità di chi lavora per consentire a questo paese di arrivare almeno alla terza settimana; viceversa, è l’eredità lasciata (ma è una ricorrenza storica) da chi, nel mondo politico in primis, ha pensato soltanto a truccare i conti, ad abolire il falso in bilancio, a scambiare il principio contabile di “competenza” per quello di “cassa” ed a “indebitare il sistema” per far “ripartire i consumi”: distribuire fondi a pioggia, indiscriminatamente, facendo credere che la cornucopia sarà sempre piena, è proprio il miglior modo per preparare una crisi, pesante e duratura. Ma tant’è. Quando lo dici, nessuno ti crede – finché il denaro gira.
Una conclusione? L’allarme deve restare alto, la mobilitazione forte, la partecipazione attiva e le teste sulle spalle. Dobbiamo incalzare i sindacati di categoria perché non si accontentino di questa semplice stretta di mano, perché occorre più che mai invertire la rotta. Se qualcuno deve uscire da questo settore, che siano i vertici collusi, inerti e – ciò che è davvero imperdonabile – inefficienti.
Per quanto mi riguarda, la musica è ancora la stessa, questa:
http://youtu.be/LjA_RtsBfAo

L’Impero colpisce ancora

L’Associazione Bancaria Italiana ha disdetto unilateralmente il contratto nazionale di categoria, ratificato nello scorso gennaio 2012. Una prima precisazione: il contratto non aveva scadenza 30 giugno 2014 come riportato dai media;  quella data fa riferimento alla scadenza tecnica di due anni che le parti si sono date da quando la durata effettiva del contratto stesso è stata elevata da tre a quattro anni. A quel termine prestabilito si ridiscute, ove necessario, solo la componente economica dell’accordo (insomma, in parole povere, l’adeguamento delle retribuzioni alle mutate condizioni economiche generali). Dunque, non sussiste, come sostenuto da ABI, il rispetto dei termini previsti per la disdetta contrattuale, se non, per l’appunto, con un cavillo tecnico: in realtà, è una precisa scelta politica, basata su una tempistica ai limiti dell’incoscienza. Difatti, l’ultima cosa che serve all’attuale Governo è un ulteriore fronte di malcontento sociale; per non parlare dell’eventualità (che certo non io auspico) che venga a mancare il Governo stesso, interlocutore di fondamentale importanza nell’eventuale trattativa (nonché probabile destinatario della richiesta ABI di intervento per coprire i costi sociali di nuove, pesanti “uscite” dalla categoria).

Di particolare durezza le parole di Francesco Micheli, presidente del comitato affari sindacali dell’ABI (riporto testualmente dal Corriere della Sera di oggi): “Il punto non sono le voci del Tfr ma un sistema che non è più sostenibile. Solo un esempio: Internet ha ridotto le transazioni del 50%. Dobbiamo trovare il coraggio di innovare introducendo nuovi mestieri. La consulenza va portata al cliente  fino a casa. Bisogna creare un maggior legame tra retribuzioni e risultati. E sempre più sarà necessaria flessibilità sugli orari di lavoro”.

Più che una dichiarazione, una piattaforma; alla quale mi auguro che la categoria e le rappresentanze sindacali sappiano dare adeguata ed altrettanto dura risposta. Basata magari su questi, concreti argomenti, nello stesso ordine di quelli enunciati dal presidente Micheli: 1) se il sistema non è più sostenibile, non lo si deve certo alle retribuzioni; 2) Internet non ha ridotto l’affluenza agli sportelli del 50%, l’affluenza é ridotta (dove è ridotta) perché l’utenza non ha liquidità da investire né altri motivi attraenti (vedi facilità di accesso alle forme di finanziamento o sostegno alle situazioni di difficoltà, che pure ci sono) per presentarsi ai nostri sportelli. Magari sarebbero da evitare costosi e fuorvianti spot pubblicitari, per una comunicazione meno penosamente ”simpatizzante” e più concreta; 3) Nuovi mestieri – e quali? I call center in videoconferenza  non sembrano proprio  “nuovi”  e se  comunque è questa  la  scelta  delle Banche che venga almeno normata  decentemente; 4)  La consulenza  viene già portata a casa del Cliente,sin dagli anni ’80;  5) Retribuzioni  e  risultati? Intende forse legare gli appannaggi di presidenti, a.d. e dirigenti di alto livello esclusivamente al risultato d”esercizio?;  6) Gli  orari sono  già  stati flessibilizzati nei  precedenti contratti: abbiamo le  notti, l’orario continuato, l’apertura  fino  alle  20  ed  al sabato. What  else??