Progress Is for Losers (Il progresso è per i perdenti)

Ecco una buona occasione per spiegare il nome di questo blog, Progress Is for Losers. Dunque, lo scorso 22 Marzo, Gianni Cuperlo, non più Presidente del PD, indice tramite la propria pagina FB (e non solo, of course) un’assemblea per discutere “sullo spartiacque di questi mesi, ci si apre, si allarga, si ragiona su come una sinistra ripensata e un riformismo radicale possono stare dentro un nuovo inizio. E dove si decide in che modo e con che struttura organizzare il dopo”. La prima sede indicata, rivelatasi esigua rispetto alle intenzioni di partecipazione, viene modificata. La data prescelta, no: sabato, 12 Aprile, inizio ore 10.

Nella giornata del 9/4 u.s. (e correggetemi se la notizia è apparsa in precedenza), con conferma ufficiale pubblicata il giorno successivo sul sito nazionale del PD, il Primo Ministro Matteo Renzi, altresì Segretario Nazionale del partito, convoca la manifestazione di apertura della campagna elettorale delle  elezioni Europee, scegliendo come sede il PalaOlimpico di Torino (in previsione della massiccia partecipazione rituale). La data? Sabato 12 aprile, inizio ore 10:30, copertura web a cura di YouDem.

Se un rischio correva l’iniziativa di Cuperlo, era quello di finire con l’essere una semplice riunione di corrente, a dispetto delle sincere intenzioni trascritte nel virgolettato del primo paragrafo. Non avendo potuto partecipare, non so se il rischio è stato evitato; l’unica cosa che sono sicuro di poter scrivere è quella di Torino, in ogni caso, era una riunione di corrente. Dopodiché, segno dei tempi, il Premier copri-date irride alla riunione della ‘minoranza’; mentre quella parte di partito, piccola o grande, che lo sostiene pur avendo dei dubbi sui suoi mezzi e sulle sue proposte, si affretta – per voce di Gianni Cuperlo – a negare che nella coincidenza di date ci sia, per parte propria, alcun intento polemico. Alla rovescia, proprio.

Anche questo che si potrebbe definire episodio ‘marginale’ o concidenza (forse) non voluta, spiega perché il Progresso è per i Perdenti: in Italia, i vincenti – con le debite eccezioni – non riescono a fare a meno di sfoggiare arroganza e fastidio per tutti quelli che NON li rivestono di preziosi pigiamini di saliva.

E non c’è nessun Martello degli Dei che faccia seccare le lingue.

Who Are You?

Chi dice che nel Partito Democratico ci si annoia? Giusto il tempo di commentare l’ultimo exploit del segretario nazionale, la già storica lettera ai “gentilissimi” (detta anche “tre proposte e via”) ed ecco la nuova puntata di questo serial destinato a riservare sempre nuove (e non positive) sorprese: le dimissioni dell’ormai ex-viceministro dell’Economia, un altro giovane, emergente, stratega del rinnovamento: Stefano Fassina. Il quale, avendo ben presente la responsabilità istituzionale da poco assunta, conscio del peso di questa responsabilità ed avvezzo, soprattutto in rappresentanza delle istituzioni, a far prevalere l’interesse del Paese su quelli personali e di partito, ha pensato bene – nelle attuali condizioni di crisi economica e politica – di dare le dimissioni. Motivo? Più d’uno: le continue critiche mosse al governo dal nuovo segretario PD, il forte ricambio impresso dal risultato delle primarie e la cosiddetta gaffe o infelice battuta racchiusa nella domanda “chi“? pronunciata da Renzi nel sentirsi nominare Fassina dai giornalisti.

La domanda vera è: é un gesto utlle? E’ un gesto proficuo? La risposta è sì, utile e proficuo per i due protagonisti della vicenda, utile e proficuo per le rispettive ambizioni e carriere personali: dimenticate le necessità del paese, dimenticate l’urgenza delle riforme, dimenticate l’importanza vitale della stabilita di governo, dimenticate tutto – soprattutto che l’ultima cosa che ci possiamo permettere in questo momento sono i personalismi, gli atteggiamenti da rockstar capricciose. Il leader dei cosiddetti “giovani turchi” (ma esistono ancora?), deluso dal fatto che il mondo PD non sia caduto ai piedi della sua corrente, abbagliato dalla sfolgorante luce riformista emanata, altro obiettivo non persegue se non quello di ergersi a leader di una sinistra interna alternativa a Renzi. Immagino, naturalmente e come sempre, che si tratti della solita “vera sinistra”. Ed intravvedo, come già afferma con voluta malizia una renziana doc quale Debora Serracchiani, la possibilità che Fassina voglia soltanto allinearsi alla meglio per la prossima corsa alla segreteria nazionale, non appena Renzi – ciò che è nelle Sacre Scritture, o stolti – assurgerà alla carica di primo ministro.

Il segretario PD, nel frattempo, incassa il risultato del rimpasto che, a parole, non voleva e non indicava; della messa in ulteriore difficoltà dell’attuale Primo Ministro, l’unico, eventualmente, intitolato a rispondere (e non con le dimissioni) al fuoco amico che quotidianamente arriva dalla sponda democratica. Incassa l’effetto della battuta, forse involontaria, che da sola non spiega e non giustifica nulla ma fa di lui, in questa circostanza e con il solito aiutino dei media, un simpatico, irresistibile gaffeur. Con un precedente illustre che appare, ogni giorno di più, come il vero modello mediatico del sindaco di Firenze: l’uomo che abitualmente saltava le domande scomode facendo finta di non sentire, portandosi una mano all’orecchio, indicando gli elicotteri, mimando con le labbra “I can’t hear you”. Lui. Il campione USA della deregulation (una forma avanzata di riformismo, no?), il super-Presidente muscolare dalle molteplici gaffes. Ronald Regan.

E nel frattempo, Renzi conferma che la sua strategia è chiaramente quella di parlare non al partito ma al di fuori del partito: non ci sono interlocutori interni, ci sono (secondo lui) i tre milioni di votanti delle primarie (che erano aperte proprio come richiesto dal medesimo personaggio) che gli hanno (tutti) conferito un mandato. E che sono altro dalla struttura del partito, struttura il cui ruolo, d’ora innanzi, sarà soltanto quello di ratificare e dettagliare le iniziative del segretario. E’ il passaggio dal Partito Democratico al Partito Dislocato.

(mah, quello che avevo da scrivere, l’ho scritto. Se adesso volete dire – o scrivere – “Andrea, chiii?”,  fate pure. Tanto, non vi sento: ho il tinnito. A destra)

Go To The Mirror, Boy

Avrete senz’altro letto la versione finale della lettera indirizzata dal nuovo segretario del PD, Matteo Renzi a “tutte le forze politiche che siedono in Parlamento”. Come d’uso, trattandosi del riformatore della politica italiana, è frutto di un lungo, complesso, difficile percorso di elaborazione, della quale il testo qui sopra linkato è soltanto il punto di approdo. Questo blog è in grado di offrirVi, per gentile concessione del cestino della carta straccia, una delle prime versioni del medesimo documento, in forma più semplice ed immediata, per soli motivi di studio. Buona lettura.

“Genericissimi,

qui metto quella cosa che tre milioni di italiani mi hanno votato, non è vero perché in tutto hanno votato duemilioniessette e io ho fatto unmilioneennove quasi – ma, insomma, ho fatto il pieno, concentratevi su questo. Le politiche sono andate da schifo e le primarie no, quindi, di nuovo, concentratevi su questo. C’è lo schifo della politica, i cittadini che girano con la scorta di sacchetti per vomitare, e vogliono un sacco di cose e insomma se si fa presto, si fa presto. E’ il 2014, ma ci pensate?

Qui invece faccio finta che non sia la milionesima volta che il PD tenta di prendere in mano la situazione senza mandare tutto in vacca per un motivo o per un altro. E faccio anche finta che non sia la milionesima volta che diciamo 1) che ci vuole una legge elettorale che sia buona (come il prosciutto,’ mi dia due etti di quello bono’); 2) che si cambia anche il bicameralismo, si fanno le Autonomie Locali e si tolgono le indennità ai senatori (non so se metto anche che non vengono più eletti ma diventano tali sulla base dei loro ruoli nei Comuni e nelle Regioni.” Non fa figo come “tolgo le indennità ai senatori”, poi vedo; 3) poi c’è quella cosa delle competenze dalle Regioni allo Stato e riduco le indennità dei consiglieri regionali, al livello di quelle dei sindaci delle città capoluogo. Oh, che Firenze è capoluogo?

E qui faccio il grande gesto; siccome il PD c’ha la responsabilità, c’ha il mandato, e bla bla bla, ma non ha uno straccio d’idea decisa, senti qua, dico “Pur essendo il primo partito non imponiamo le nostre idee, ma siamo pronti a chiudere su un modello tra quelli qui sommariamente esposti” e vado con l’elenchino delle solite tre, diconsi tre, proposte di riforma elettorare, la spagnola (che pare un’epidemia), il Mattarellum revisited con il premio di maggioranza al 15% che sembra una tassa e il doppio turno di coalizione dei sindaci. Fosse per me, chi vince con il 60% dei voti, passa automaticamente all’elezione diretta del Primo Ministro, eliminatoria diretta su Sky. Ma siccome sono bonino, faccio una grande apertura “Il PD è pronto a recepire suggerimenti, stimoli, critiche su ciascuna di queste tre proposte. Ma chiediamo certezza dei tempi e trasparenza nel percorso: la politica non può più fare passi falsi.”, strepitosa, non ho schemi, non ho punte ma butto la palla nell’area avversaria, vediamo se qualcuno la prende. Dopo di che, bisogna fare presto, perciò facciamo gli incontri bilaterali con chi ci sta. Se ci state tutti, col cavolo che si fa presto. Se non ci state e basta, ci riuniamo da soli e (no, così non va bene. Non è democratico, progressista e non c’abbiamo una sola idea chiara, l’ho detto).

Qui concludo, faccio i soliti auguri d’inizio anno, compratevi l’oroscopo di Branko che vede più cose di me e metto un altro punto fermo. “un accordo alla luce del sole, il più rapido e vasto possibile, sulla legge elettorale sarebbe un segnale semplice ma chiaro che iniziamo l’anno nel migliore dei modi.”. Quel ‘che iniziamo’ mi stride un po’ in grammatica ma è chiaro e friendly. Poi torno marziale e proclamo che il PD è pronto ad accettare la sfida – e anche così, anche questa volta, ho detto tutto, senza dire niente.

Un saluto cordiale anche dai Ramones (che sono come me: tre proposte, no pardon, tre note – e via!). Nota: ricordarsi di proporre “We’re An Happy Family” come inno del PD.”

 

1.895.332

1.895.332. Sono i voti (fonte: sito nazionale PD) ottenuti da Matteo Renzi alle primarie per l’elezione del segretario nazionale PD. E’ il dato ufficiale, così come quello dei votanti: 2.797.938 che, aggiungendo i connazionali all’estero, diventano 2.814.881. Accade, tuttavia, da qualche tempo, un fenomeno curioso: qualsiasi riserva o domanda si rivolga al nuovo segretario PD o a qualcuno dei suoi collaboratori, la risposta inizia con il ricordare l’esito delle votazioni primarie, a guisa di argomento definitivo e tranchant e magari, per dare maggior peso al concetto, aumentandone le dimensioni. E’ già accaduto di sentir attribuire all’indiscusso vincitore delle primarie la cifra di duemilionisettecentomila preferenze (cioè, quasi il totale dei votanti); nell’intervista pubblicata questa mattina da La Stampa, Renzi fa addirittura l’en plein: “(..) io ho ricevuto un mandato popolare, tre milioni di persone che mi hanno votato perché hanno condiviso quel che ho promesso che avrei poi fatto.”

L’intera cifra dei votanti, più, evidentemente, quelli che hanno mandato la giustificazione dei genitori ma, se non avessero avuto l’influenza, avrebbero votato per lui. Sto scherzando e magari la cifra è venuta fuori così, per la foga dell’argomento o un’errata trascrizione del testo dell’intervista. Oppure no, questo tormentone del “ho preso una valanga di voti quindi ho ragione io” è il segno vero di questo self-proclaimed rinnovamento, fatto solo di prepotenza e di idee appena abbozzate perché “Renzi non si cura dei dettagli” (rileggetevi l’intervista di Gutgeld, qualche post fa). Come un pessimo gruppo metal, il segretario-sindaco non si premura di suonare seriamente e di avere almeno un chitarrista degno di questo nome ma soltanto di alzare il livello degli amplificatori. Rumore politico.

Da ultimo, se avrete la pazienza di leggere l’intervista, fate un piccolo esercizio: rilevate, a vostro giudizio, qual’è l’affermazione più forte, più netta e decisa. Per me, é questa: “(..) Lui, Enrico (Letta), è stato portato al governo anni fa da D’Alema, che io ho combattuto e combatto in modo trasparente”. Questo è l’uomo che vorrebbe accreditarsi come segretario di tutto il PD, come l’uomo del plebiscito. Lui combatte D’Alema – che non ha incarichi, che ha di molto ridotto l’attività all’interno del partito e che, in ogni caso, non dovrebbe rappresentare un gran pericolo per qualcuno che ha davvero ottenuto 1.895.332 voti – ed ha preso tre milioni di voti, quindi ha ragione lui, su qualsiasi cosa.

Prima che arriviamo alle folle oceaniche ed al consenso obbligato, ribadisco che io non l’ho votato e che sto bene, anche dalla parte del torto.

La versione di McKinsey

[banner network=”altervista” size=”300X250″]Un amico mi segnala questa intervista a  Itzhak Yoram Gutgeld, consigliere economico del neo-eletto segretario nazionale PD, Matteo Renzi. Ricordato che, in precedenza, Gutgeld è stato senior partner e direttore di McKinsey & Company fino al Marzo 2013, Vi raccomando la lettura di questo intervento, soprattutto prima di addentrarVi nei commenti che posterò qui di seguito, rispettando l’ordine degli argomenti presentati nell’intervista. Buona lettura.

“(..) un mercato del lavoro duale, composto, da un lato, da una fascia di iper-protetti e, dall’altra, da giovani condannati a una precarietà assoluta.”. Perché usare il suffisso ‘iper’ che identifica dimensioni superiori al necessario? Non è così, stiamo parlando di conquiste maturate in anni, attraverso sacrifici e lotte; conquiste che cercano di realizzare l’ideale stato di garanzia, di sicurezza e di dignità che deve essere riconosciuto ad ogni singolo lavoratore. O pensiamo che i lavoratori della Thyssen, regolarmente assunti, fossero “iper”-garantiti?

“(..) non si tratta di abolire il contratto a tempo indeterminato, né di porre fine alle tutele di chi ce l’ha, in quanto questo nuovo contratto «indeterminato flessibile» varrebbe soltanto per i giovani.”. Gutgeld non vuole abolire l’art.18, lo vuole ‘soltanto’ sterilizzare, stabilendo fin dall’inizio un indennizzo in caso di licenziamento. Il principio della giusta causa e il deterrente del reintegro nel posto dal quale si è stati allontanati sono le uniche barriere avverso la ‘mano libera’ delle aziende nei licenziamenti. Inutile girarci attorno: sappiamo come le aziende interpretano il tema del licenziamento: a rimetterci, sarebbero i dipendenti ‘scomodi’, ovvero quelli che non aderiscono all’ideologia aziendale o che denunciano condizioni di lavoro difformi dalla norma;

“(..) garantire alla persona che perde il posto di lavoro sia un sussidio di disoccupazione adeguato sia la possibilità di riqualificazione professionale.”. Un po’ di flexicurity non guasta, anzi ci mette tutti d’accordo: il guaio – a parte non menzionare quel noioso problemuccio della copertura di spesa – è la differente tempistica: per realizzare un mercato del lavoro flessibile ed aperto che consenta non solo di recuperare in fretta il posto perduto ma anche, attraverso una formazione mirata, di acquisire una professionalità del tutto differente, richiede tempo ed impegno. Nel frattempo, ‘sterilizzato’ l’art.18 con la proposta di cui sopra, partirebbero i licenziamenti. Subito.

“(..) non si tratta di abolire il contratto a tempo indeterminato, né di porre fine alle tutele di chi ce l’ha, in quanto questo nuovo contratto «indeterminato flessibile» varrebbe soltanto per i giovani.” La domanda è naturale – ed infatti, l’intervistatore la pone: sì, ma fino a quale età? Attenzione alla risposta: “Renzi non si è mai addentrato in dettagli di questo tipo, il suo scopo è lanciare un’idea e poi lasciare che la politica ne discuta.”. Scherziamo? E’ logico, naturale e doveroso che la politica tutta ne discuta MA l’onere di dettagliare la proposta, di sostanziarla con cifre e fatti, è IN PRIMIS di chi la lancia. Che succede, nel manuale della McKinsey manca la pagina “età per essere indeterminati ma flessibili”? Provate su Wikipedia..

“(..) Occorre inoltre intervenire sul sistema complessivo di formazione professionale, che oggi spesso lavora più per i formatori che per gli studenti.”. I dati, gli stessi citati da Gutgeld, ci dicono che occorre riformare e rilanciare i Centri di Lavoro. Tuttavia in questa frase finale l’accento non sembra cadere sulla riforma strutturale, quanto su una questione di produttività: insomma, sono i formatori che non rispettano il budget. Magari, con un bel contratto “indeterminato flessibile”, si possono licenziare. Sempre in attesa di un mercato del lavoro che assorba e perdoni i nostri esperimenti a tavolino.

Solo un’intervista? No. Un passaggio del discorso di Matteo Renzi all’odierna assemblea nazionale del PD: “Non si può discutere per 10 anni sull’articolo 18, mentre si dimezza l’attrattività degli investimenti esteri. Noi dobbiamo dire che tutti coloro che perdono il posto di lavoro, hanno diritto a un sussidio universale. O il Pd torna ad essere il partito del lavoro, o perdiamo la nostra identità. Secondo i sondaggi siamo il terzo partito tra gli operai, tra i precari e i disoccupati, non solo tra le partite Iva. Dobbiamo ragionare su questo punto. Dobbiamo entro un mese presentare un progetto di legge per semplificare le regole del lavoro e degli ammortizzatori sociali.”

Indeterminato e flessibile nelle argomentazioni, come la sua proposta: dove attingere per coprire l’onere del sussidio universale? Ma certo, lo dirà qualcun altro; il Segretario Nazionale nonché Sindaco si limita a “lanciare le idee”.

Le lancia in aria e poi grida “pool!”

 

 

 

Postmoderno post

[banner network=”altervista” size=”300X250″] “Il personaggio Renzi è la figura del politico comunicatore per antonomasia, fin dal suo affacciarsi nell’agone politico. “Matteo” rappresenta nel Pd l’espressione più marcata della post-politica e della post-ideologia. Non si può pensarlo se non nell’Italia dopo gli anni Ottanta nella quale la crisi della credibilità della politica è accompagnata per un verso alla “performing society”, per l’altro alla personalizzazione e mediatizzazione di chi faceva e fa politica.”

Definizione del Professor Massimiliano Panarari, docente di Comunicazione politica all’Università di Modena e Reggio Emilia in una breve intervista al sito www.formiche.net (testo completo qui); poco più avanti, ci si imbatte in un’altra interessante affermazione:

“Cuperlo è sicuramente un intellettuale ma rifiuta la post-modernità. In questo è “nobilmente resistente” ma dovrebbe trovare il modo di stare nella post-modernità, magari in maniera critica. Si tratta di un processo di rielaborazione che richiede molto tempo.”

Dunque, Cuperlo non è postmoderno, Renzi sì. Postmoderno? Altra definizione: mutuata dal filosofo Lyotard, secondo il quale l’epoca moderna che precede la contemporaneità postmoderna era caratterizzata dal progetto di spiegare il mondo attraverso l’applicazione di principi unitari. Ad esempio, i grandi movimenti della modernità quali l’illuminismo, l’idealismo e il marxismo, possedevano la pretesa di racchiudere il senso dell’intera realtà entro un principio unitario: la ragione per il primo, il movimento totalizzante dello spirito per il secondo, le leggi materialiste della realtà per il terzo. La postmodernità è caratterizzata invece dalla caduta di queste pretese e dal conseguente sfaldamento delle certezze stabili che possono indicare all’uomo un qualsiasi sentiero definitivo. Più o meno.

Per quanto ovvio, non è l’unica definizione possibile e teorizzata di ‘postmoderno’; altre si possono trovare, soprattutto con riferimento ai processi sociali ed alle arti. Certo, se seguiamo la tesi per la quale “una società così decentralizzata inevitabilmente generi percezioni e reazioni descritte come post-moderne, come ad esempio il rifiuto della unitarietà della metanarrativa e dell’egemonia, unitarietà vista come falsa e imposta; la rottura dei tradizionali steccati tra i generi, il superamento delle strutture e degli stili tradizionali; lo spodestamento di quelle categorie figlie del logocentrismo e il rifiuto delle altre forme di ordine artificialmente imposto” e pensiamo allo scenario politico e sociale italiano di oggi, possiamo vedere similitudini e processi preoccupanti. Per i quali possiamo dire che la politica nel nostro paese è molto ‘postmoderna’.

Tuttavia, prima di ricordare a tutti che, come nella migliore delle tradizioni d’ogni disciplina, anche la definizione di ‘postmoderno’ ha i suoi detrattori, si presta a critiche d’ordine, diciamo, cronologico e viene superata – siamo all’ovvio – dalla definizione di ‘post-post moderno’; e prima che un maelstrom filosofico si apra sotto i nostri piedi inghiottendoci, vorrei tornare alla prima definizione del Professor Panarari. Rileggete attentamente e provate a sintetizzare così: post-ideologia-anni ottanta-performing society (cos’é? Prof?)-mediatizzazione. Sintetizzate ancora: post-ottanta-society. Vi ricorda nulla – soprattutto, vi ricorda nessuno?

Non c’era già qualcuno, allora come oggi il sindaco di Firenze, che si muoveva con grande sfoggio di sicurezza, decisionismo, ansia di vittoria, di ridimensionamento (addirittura, schiacciamento) degli avversari, progetti grandiosi di riforma o di riformismo e mutamento sociale? Qualcuno nota una somiglianza, qualcuno ricorda un nome.

Io sì. Poi, magari, mi sbaglio al 90% (ok, mi tengo un grasso 10%, va bene?). Eppure, vedo comporsi i frammenti di questo nuovo postmodernismo, frammenti così dinamici, così liquidi (come i partiti postmoderni, no?) che si potrebbero bere. Come una volta si bevevano le città.

Ma ho mal di testa, stasera.

Progressive (rock) Party

Sfogliando i quotidiani, questa mattina, mi è caduto l’occhio su una foto dei tre candidati alla segreteria nazionale PD, ritratti nel classico modo profilo/tre quarti, testa a testa. Un canone fotografico che fatalmente, ad un maniaco della musica rock (prog, in questo caso) fa scattare un’associazione d’idee ben precisa e cadenzata: Emerson-Lake-& Palmer.

Se siete sostenitori di Civati, vi concedo un’occhiata a Wikipedia: non eravate neppure nati; se viceversa, il vostro orientamento è favorevole a Renzi, vostro padre vi ha fracassato i timpani con “Pictures At An Exhibition” – vinile che voi avete ceduto al rigattiere, in cambio di “Follow The Leader” dei Korn. Da ultimo, se vi accingete a votare per Cuperlo, siete l’autore di questo post, quindi contate uno (non doveva raccogliere l’uno per cento delle preferenze, secondo il sondaggio del giornale della sera?).

Il gioco, tuttavia, non si ferma qui: sì, perché riguardando quella foto da sinistra a destra e ripetendo il nome in ditta della gloriosa prog band, le somiglianze – per così dire – suonano: un discorso di Civati non è forse vulcanico e rutilante come una fuga di tastiere sovrapposte? Non è forse la nuova sinistra moderna, da Marx a Moog?

Al centro del terzetto, mento sollevato, sorriso sornione da playboy, Renzi riecheggia Lake, volti angelici, profluvi di parole appoggiati su melodie barocche. E’ un ragazzo fortunato (“Lucky Man”) ma sa che sul campo di battaglia (“Battlefield”), da subito (“From The Beginning”) dovrà asfaltare i suoi competitors, come un vero Tarkus. Dopotutto, C’est la Vie.

Sguardo perso in avanti ma comunque severo, Cuperlo sfoggia lineamenti squadrati e chioma incanutita, proprio come il metronomico Palmer: preciso e deciso, tiene il tempo pazientemente seduto dietro ai due frontmen, lasciando loro agio e spazio per romantici pizzicati rottamatori e vigorose coltellate di sfiducia al vecchio organo hammond. Tanto.

Tanto, prima o poi, arriva il suo momento, il momento del suo assolo: e tutti in silenzio ad ascoltare il ritmo preciso, incalzante, dei concetti; il battito secco e senza fronzoli del programma; la geometria precisa del rullante valoriale. Sempre lo stesso assolo, magari, ma ogni volta più preciso. Potrebbe anche farcela, a rubare la scena.

Ma i fan preferiscono i cantanti – o così si dice. La critica mediatica s’annoia, con gli assoli di batteria. Ed il congresso, alla fine, sarà solo un Karn Evil PD: “Welcome back my friends to the show that never ends / We’re so glad you could attend / Come inside! Come inside!”

Come inside. Lo show è per l’8 Dicembre. Io porto le bacchette: e suona bene.. chi suona bene.

Buone letture

Ho ascoltato in diretta il discorso di Gianni Cuperlo alla Convenzione Nazionale del PD. Sono già schierato con lui, sono convinto delle sue qualità e capacità da molto tempo; anche da prima di quel congresso di Firenze con il quale i DS scelsero di far parte del progetto Partito Democratico. Il discorso che Cuperlo pronunciò in quella occasione, ascoltato da una platea distratta dall’imminente intervento di un big, fu importante e netto, com’è tipico suo. Quel discorso conteneva l’ormai famosa ed abusata citazione di Umberto Saba, il poeta, ovvero “Gli italiani sono l’unico popolo, credo, che abbiano, alla base della loro storia, o della loro leggenda, un fratricidio. Ed è solo col parricidio, con l’uccisione del vecchio, che si inizia una rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli”, che da sola spiega molte cose della storia, politica e sociale, del nostro paese – e di questo partito. Una citazione che altri, in apparenza insorti con la vocazione al parricidio, non arrivano neppure a sfiorare nella sua superficie. Il discorso di oggi non è arrivato a toccare punte di così feroce polemica intellettuale ma non è stato meno deciso, puntuale, ampio e programmatico. Citando valori, idee, musica (il ‘canone’ come metafora dei valori che mai dobbiamo trascurare e la cui validità non muta con il tempo) e letteratura sportiva (Osvaldo Soriano, filosofo del calcio come metafora della vita) ha stilato l’elenco delle cose da fare come partito, come forza sociale, come sinistra. Non ha negato errori, non si è concesso smargiassate: le riforme servono qui ed ora, non dal 9 dicembre e la rivoluzione, se davvero è questo che abbiamo in mente, non è un lavoro part-time, da alternare ad altri impegni. Detto questo, mi direte che ha letto il discorso (ve lo confermo, è difficile che vada a braccio) e che non lo ha interpretato: niente battute, niente pause (ha perfino interrotto gli applausi in un paio di circostanze), niente intonazioni ad effetto. Vero. La domanda tuttavia è: finalmente è arrivato il momento, in Italia ed a sinistra, di affidarsi a persone serie, responsabili e preparate anche se non brillanti o anche questa volta, in nome dello stramaledetto carisma (forza, fateci una finanziaria con il carisma..) ci affideremo a qualche simpatico improvvisatore?

(Se sono almeno riuscito ad incuriosirVi, il discorso di Cuperlo è sintetizzato qui).

The Walking PDead – stagione 2

Riassuntooh: la nuova stagione di Sbagliate Creanza è già stagionata. 150 anime ufficiali, ovvero uno sparuto drappello di ufficialmente vivi ed un crescente plotone di ufficialmente morti – ma in attività. I morti camminano sulla terra, percorrono le strade, rivendicano i propri diritti. E quindi..

“Si vota!” Un sorriso malizioso si dipinge sul viso del piccolo Matteo, nel momento in cui dà ufficialmente il via alle operazioni di voto. Non sono passati che pochi giorni dall’incontro notturno con l’ex-segretario, ex-tintore, ex-qualsiasi cosa Luca, eppure potrebbero essere passati mesi – anzi, a giudicare dalla qualità dei decadenti corpi che affollano la sede del Partito Progressista, ANNI. “Si vota, Signori!”, ripete, strofinando le paffute manine, osservando all’intorno: la sede non è piccola ma l’affollamento è tale da renderla insufficiente; manca persino l’aria, nonostante porte e finestre spalancate. Certo, il caldo soffocante è un problema solo per i pochi che ancora respirano..

Solo pochi giorni, nei quali Matteo, insieme a Sara, la fedele (ma a che?) vice-segretaria permanente (in quel momento, impegnata al seggio , indossando una maglietta con la dicitura: “Basta con il Governo delle Banche Intese”)  ed a Pier Paolo Dito, l’evoluente skater del Movimento 5 Rotelle (in quel momento, impegnato a spiegare, fuori dal seggio, che  “il nuovo sono io, sono io il nuovo – scusa mi raccogli l’occhio?”), ha convocato, organizzato e normato le votazioni per eleggere il nuovo segretario cittadino. Nuove regole, perché  il Partito Progressista deve essere trasparente ed aperto, aperto a tutta la società

Dalla porta aperta del partito aperto entra, a sorpresa, un pezzo di vecchio partito chiuso (che è chiuso in più d’un senso). Pallido, emaciato ma in buona salute (soprattutto in rapporto alla condizione di buona parte dei presenti), Luca fa il suo ingresso in quella stanza dove, fino ad un mese prima, svolgeva le sue funzioni politiche. E’ uscito dall’ospedale quella stessa mattina, dopo un intervento, riuscito, per riattaccare il braccio. Prima dell’operazione, si è assicurato che moncone e braccio staccato fossero adeguatamente disinfettati. A fuoco. Nessuna conseguenza, salvo il fatto che il braccio riattaccato funziona ma non lo sente; lo sentiva di più quando era staccato. Tuttavia, ha ancora in mente la precisa, serena, diagnosi del professor Aristide Lama, il luminare del taglia-e-cuci.

“Che pretende??  E’  la sinistra,  funziona  così:  ora-e-sempre-un-solo-progetto: rigetto, rigetto, rigetto”.

Lo spettacolo all’interno del circolo sembra offrirgli una chiave pratica di lettura di quello slogan, preferisce soprassedere. La luce del mattino, fredda e tagliente, fa di lui una sagoma rattoppata sulla soglia del partito. E’ questo che fa, la militanza: ti trasforma in una metafora di te stesso. Luca detesta le metafore, quindi parte all’attacco del giovane Matteo.

“Non siamo un po’ troppi, a votare?”. Matteo non dismette il suo sorriso fiducioso e mellifluo: “Niente affatto. Tutti iscritti. Il regolamento ammette le iscrizioni in qualsiasi momento, anche in bagno”.

Luca non demorde: “Da quello che vedo, qui qualcuno è iscritto dal 1870. Forse è il caso di restringere l’arco temporale”. Matteo neppure: “L’arco temporale non deve contraddire l’arco costituzionale. Questo è un paese libero, democratico e partecipativo. Tutti possono partecipare”. Il controluce nasconde il sopracciglio con sdegno sollevato da Luca: “Anche i redivivi?”. La replica del paffuto è fulminea.

“Vuoi mettere l’esperienza? E’ l’inizio di una nuova stagione: lo zombie, è progressista. Ritorna sempre”

(continua)

24:p.d. – Leave Another Day

Precedentemente, in 24:p.d.: l’agente Giacomo (purtroppo per lui detto Jack) Bauer, del Controllo Tenuta Unitaria, riceve l’incarico dal Colonnello pro-tempore Epifani, di sorvegliare i vertici del Partito Democratico durante lo svolgimento delle esercitazioni preliminari alle grandi manovre del Congresso. Bauer indaga con discrezione (soprattutto perché non se lo fila nessuno) ma un evento inaspettato arriva a complicare il suo lavoro..

Quello che segue accade tra le 06:00′ e le 07:00′

La notte non ha portato consiglio né, tanto meno, qualche oretta di sonno ristoratore. Il sorgere dell’alba trova comunque Bauer lavato, sbarbato e con abito stirato – come sempre, in questa serie. Lo stesso dicasi per la sua assoluta mancanza di qualsivoglia necessità fisiologica, impellente o meno – sesso a parte. La giovane proprietaria del piccolo bar appena aperto al quale si sta avvicinando per consumare una rapida colazione sembra risvegliare in lui qualcosa. Qualcosa di sopito ma non domo. Qualcosa che per una persona normale altro non sarebbe che normale desiderio. Non per lui.

E’ dura, lavorare per il PD. Un partito dove vige la più ferrea disciplina. Il più severo rigore. Dove la parola di un segretario è legge, ogni direttiva parole scolpite su pietra. Immerso in queste riflessioni, Bauer si rivolge sorridendo alla ragazza, per ordinare: “Stronzate, buongiorno”.

“Come, scusi?”

“Ho detto ‘un cappuccino, buongiorno”

Mentre la ragazza – alla quale non avrà mai più il coraggio di rivolgere la parola (e poi, è noto che le sue partner non durano mai a lungo. Il tempo di rimediare una pallottola) lo fissa con dubbiosa severità, quasi fosse un’iscritta del PD, Bauer si siede in fretta ad un tavolino, recuperando il cellulare di servizio dalla tasca interna della giacca. Ha ricevuto un messaggio. Osserva il display.

“Congresso del circolo Controllo Tenuta Unitaria, risultati. Votanti ed iscritti: 515. Hanno ottenuto voti: Quagliarulo 224, Peragalli 212, Terenghi 42, Ecumeni 31. Schede bianche: 5 Schede con Paperino: 1”

Con la velocità che gli è propria in queste situazioni, in meno di due frame Bauer raggiunge la sede del CTU, opportunamente celata in un’anonima palazzina a due piani sul lungomare di Ostia Lido. Dietro il muro sbrecciato, la siepe rinsecchita e le persiane storte e corrose dalla salsedine, cinque livelli sotterranei di pura tecnologia acquistata ed installata grazie allo sforzo dei volontari. Quindi, cinque gallerie romaniche altrimenti dette catacombe. In una di queste, arredata da ufficio grazie allo sforzo del circolo “Monta un partito” di una nota multinazionale del mobile, incontra Clodovea detta Cloe, sua preziosa ed inseparabile collaboratrice. E’ preparata, intelligente, dotata di acuto senso critico e spirito d’iniziativa (ora, non pretenderete che sia anche una top-model, vero?). Jack si rivolge a lei con la familiarità consolidata in anni di lavoro fianco a fianco.

“Che cazzo avete combinato?”

“E’ bello anche per me rivederti, Jack”

“Il nostro circolo, tanto per cominciare, è segreto. Da quando, teniamo congressi? E da quando abbiamo 515 iscritti? Siamo in 50 a pieno organico, ovvero MAI! C’è sempre qualcuno morto o ferito!”

“Jack, questo partito non ha segreti. Siamo aperti e trasparenti, per questo suscitiamo interesse. C’è interesse, ovunque. Stiamo crescendo.”

“Ma come fai ad essere così cret.. ehm.. ingenua? Dammi il computer.. dammi il satellite.. trova la scheda dei candidati.. trova i profili professionali.. adesso trova gli indirizzi IP.. entra nei loro database.. preleva i dati… incrocia.. hai fatto??”

“E’ bello sapere che senza di me non ti troveresti neppure la lampo dei pantaloni, Jack”

“Per quello che mi serve. Guarda qui: Quagliarulo fa anche il medico di base, gli iscritti sono tutti suoi pazienti, qualcuno ha persino votato sulla ricetta anziché sulla scheda.. Peragalli è undercover come insegnante, alle superiori.. metà dei suoi iscritti sono studenti, gli altri.. indovini? I genitori. Terenghi ed Ecumeni sono due agenti semplici, hanno fatto iscrivere amici e familiari, più i soci del club “24:p.d. – La serie” che si sono fregati la scheda firmata da me”

“Scusa, Jack ma tu quando hai votato? Sei in missione!”

“Infatti, non ho votato. Io non voto mai, sono fedele al Partito a prescindere dal Segretario. Io eseguo, non decido. Sono l’ultimo della mia specie, sono più dinosauro io della nostra Direzione Nazionale. Adesso, però, una decisione la prendo. Dolorosa”

“Non farlo, Jack. Decidere non è la cosa che ti riesce meglio. Vuoi un consiglio?”

“Da te? Sei una donna intelligente. Sei prepararata, colta e gentile. Hai partorito con dolore, hai fatto carriera con sacrifici inauditi senza far mancare alla tua famiglia il tuo appoggio. ll partito ti deve molto ma anche questa volta la tua candidatura non è andata. Insomma, dovrei accettare il consiglio di una sfigata?”

“Ineccepibile. Fa’ quello che vuoi, stronzetto”

“Certo. Questo congresso è una vergogna. Ora mi presento dal Segretario Epifani e non solo chiedo l’annullamento del congresso del CTU, restituisco anche il mio distintivo”

“No, Jack, questo non te lo meriti!”

“Forse sì. Non sono stato attento. Non sono stato abbastanza vigile. Con queste cose non si scherza: un’apertura qua, un cambio di regole là… ed il partito si trasforma in un luna-park. Addio, Cloe”

Con virile espressione addolorata, Jack esce dalla stanza; con femminile espressione ironica, Cloe lo osserva, meditando sul fatto che sarà forse la centesima volta che Jack le dice addio. Ritornerà. Ritorna sempre.

Che diavolo potrebbe mai fare, fuori dal Partito?

06:59′:57″ … 06:59′:58″ … 06:59′:59″

Nota dell’Autore: mi assumo completamente la responsabilità per il penoso esito del Congresso del CTU, il proliferare di tessere è interamente da attribuirsi alla mia disattenzione artistica e non ai candidati alla Segreteria Nazionale. Me ne scuso con i fan della serie, ai quali consegno le mie dimissioni virtuali. E questo è tutto: se vi aspettate scuse e dimissioni reali ed uno svolgimento corretto del congresso, beh, state davvero seguendo un serial..