APOCALYPSE, ZOMBIE

A giudicare dagli avvenimenti tragici che si susseguono ogni giorno, questo particolare genere letterario è sempre meno da considerarsi “evasione pura” al 100%. Non è un mistero, comunque, che da sempre l’Horror riflette le nostre paure individuali e collettive e si fa metafora dei periodi di crisi.  La mia personale versione della metafora è reperibile qui e (consiglio disinteressato, of course).

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ANIMALI

ANIMALI. ZOMBIE. PREDATORI. DENTRO IL RECINTO E OVUNQUE…

Da quando gli zombie sono sbucati dalla metropolitana, a Stella, Friedrich e Doc è rimasto solo il Rifugio per cani: quella che prima era un’attività volontaria si trasforma nell’unico modo per andare avanti. Non che sia facile, oppressi da necessità primarie, assediati dagli zombie, odiati e perseguitati dagli Altri. E quanto Tobe fugge, tutto si complica…

Dal 15 marzo, il mio nuovo racconto. Formato e-book, leggibile da qualsiasi supporto. Link principali:

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The Tube Exposed – 26 – Animali

 

 

 

THE TALKING DEAD – EP.24: DISCEPOLI E DISCIPLINA

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate,  episodio 24: Discepoli e disciplina.

Tra due ali di cadaveri mormoranti, di fedeli risvegliati insieme a fieri miscredenti, il Santo abbandonò la cappella nella quale era stato deposto ben quindici anni prima.

il sole caldo e abbacinante del mattino, esaltato dal biancore dei muri e dei marmi, rivelò il corpo deforme, rigonfio e mutato dell’uomo che in quei paraggi aveva rappresentato, per tutta la propria vita, l’incarnazione dei valori di umiltà e solidarietà. La missione restava la stessa, cambiava il significato di “incarnazione”.

Non le gambe scheletrite ma lunghi e robusti tentacoli, coperti da migliaia di minuscole bocche dentate, permettevano al Santo di muoversi, scivolando lungo il viale pavimentato con un liquido rumore vischioso; sotto la vecchia tonaca si muovevano muscoli e carni non disegnate dalla natura, non presenti all’origine.

Una parte di quelle carni apparteneva alle vittime del pasto appena consumato: non del tutto divorate, in qualche modo fuse in un corpo nuovo: peccatori e peccato assolti per assorbimento. La forma umana restava, sovrastata e schiacciata dalla tremolante metastasi rossastra, umida e sgocciolante. Percorsa da vene rigonfie nelle quali scorreva sangue nero. Mentre sfilava tra le due ali di barcollanti adoratori (qualcuno tentò d’inginocchiarsi, non tutti vi riuscirono senza danni), il Santo – al secolo Don Carlo – parlò. Non mosse le labbra eppure tutti lo udirono distintamente. Non pronunciò parole di senso compiuto, instillando ugualmente in tutti il medesimo pensiero e scopo.

Educare. Fare pulizia. Osservare leggi e precetti. Obbedire. Disciplina. Disciplina. Portate la parola, portate la testimonianza. Colui che non si assoggetta, portatelo a me.

Non fu detto, neppure pensato ma quel ‘portatelo a me’ aveva un significato preciso e uno solo: lo stesso appena dimostrato al sindaco, a Don Angelo, a Giorgio e alla dottoressa.  Prima che il Santo varcasse il cancello del cimitero, diretto (com’era naturale) al Duomo, i discepoli al suo seguito erano già votati all’obiettivo.

Il Paese doveva essere mondato dai suoi peccati e rifondato sui vecchi valori; la comunità doveva tornare alle origini, abbandonare falsi idoli e false comodità. Niente più tecnologia, niente più falsa tolleranza, nessun ozio – solo il giusto e breve riposo necessario dopo lo svolgimento dei propri doveri. Non tutti sarebbero stati subito d’accordo. Ovvio. A loro, però, avrebbe pensato il Santo.

Dopotutto, restava comunque una scelta: o convinti o consumati.

 

 

THE TALKING DEAD, EP.23: CENACOLO (PRIMI PIATTI)

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate,  episodio 22: Cenacolo (Primi piatti)

Davanti a loro, il portone della cappella sembrò aprirsi come per magia: in realtà, fu il cadavere sfigurato di Aristide ad accoglierli retrocedendo poi per lasciarli entrare. Quando Don Angelo, Giorgio e la dottoressa furono all’interno, il vecchio custode richiuse l’uscio come aveva già fatto per il sindaco. I nuovi arrivati, nel frattempo, persero inconsapevolmente secondi preziosi per abituare lo sguardo alla penombra.

In apparenza, non c’era nulla di strano. Non più strano di una masnada di cadaveri a spasso per il paese; o dell’allampanato custode che nessuno reputava molto sveglio già da vivo.

Fu uno shock, per Giorgio, quando il volto del sindaco comparve davanti a lui. Non in piedi, bensì dall’alto. Solo la testa.

Una maschera di sangue con gli occhi cavati dalle orbite e la bocca spalancata a una ampiezza innaturale; prima che Giorgio potesse scuotersi dalla paralisi indotta dal terrore, la bocca si spalancò ulteriormente e un nugolo di minuscoli tentacoli carnosi ricoprì il volto del funzionario comunale. Nel volgere di pochi istanti, la carne fu divorata fino a scoprire il teschio.

Don Angelo, primo a entrare nella cappella per dirigersi subito alla tomba scoperchiata  dove credeva di osservare le spoglie del suo predecessore, fu attaccato a sua volta da una ragnatela di tentacoli serpentini e trascinato all’interno del sarcofago. Mentre moriva divorato  ebbe tempo di pentirsi amaramente dei propri peccati confessandoli direttamente al volto mummificato del Santo.

La dottoressa ebbe più tempo per reagire; sospinta dall’energia indotta dalla chimica, afferrò un candelabro a stelo utilizzandolo come arma improvvisata di difesa; impedì ai tentacoli calati dal soffitto di afferrarla e si diresse, mulinando il braccio con il candelabro, verso Aristide. Il cadavere, a sorpresa, fu più veloce di lei: mentre il ferro del candelabro scalfiva il legno robusto della porta, il braccio sinistro di Aristide era già teso in aria, la mano stretta attorno al collo della dottoressa. Una stretta doppiamente mortale.

Quando Aristide tornò ad aprire il portone della cappella, tutti gli altri zombie erano già in attesa, disposti in ordinate file ai lati del viale.

Il Santo stava per uscire.

 

THE TALKING DEAD, EP.22: CENACOLO (ANTIPASTO)

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate,  episodio 22: Cenacolo (Antipasto)

Arrivando al cimitero, Giorgio scelse di non ripetere rumorose performance in frenata bensì d’arrestare l’auto dolcemente avendo anche cura di rimanere a distanza di sicurezza dal cancello principale. La luce del giorno appena iniziato disegnava scure sagome esitanti contro le pareti bianche dell’edificio; uomini e donne ridestati dal sonno eterno, corpi violati dal decadimento biologico, energia cosmica richiamata dalle profondità dello spazio.

– Un insulto alle leggi di natura,

bisbigliò Giorgio osservando gli altri due passeggeri dell’auto; Don Angelo, rimasto  a lungo in silenzio durante la notte, decise di fare subito tesoro di quell’osservazione.

– Legge e ordine non sono il tuo campo,  Giorgio. Il vero insulto non è il risveglio dei morti, è il sonno dei vivi.  Entrerai tu per primo?

L’allusione del parroco provocò una smorfia sprezzante da parte del funzionario comunale oltre alla reazione scomposta della dottoressa.

– Io non vengo là dentro. Scordatevelo. Io voglio andare il più lontano possibile da qui!

Con il gesto fluido di un prestigiatore, una bustina bianca apparve nella mano destra di Giorgio.

– Una dose di coraggio per la dottoressa, in arrivo.

Don Angelo scese dalla macchina incamminandosi verso il cimitero; dopo pochi secondi anche gli altri due scesero dal veicolo, affrettando il passo per seguirlo. Il parroco evitò di voltarsi, risparmiandosi la vista della dottoressa Laura Fedeli che si puliva le narici. Contrariamente ai loro timori, i lamentosi errabondi in putrefazione sembrarono ignorarli o comunque evitare di farsi loro incontro: qualcuno sembrò pronunciare qualche parola ma con troppa fatica per essere intelligibile.

Giorgio fu certo d’avere udito la parola “bambino”.

Le urla provenienti dalla cappella distolsero tuttavia la loro attenzione dai viali alberati, attirandoli fatalmente verso quella destinazione.

 

THE TALKING DEAD, EP.21: CEREMONY (PARTE SECONDA)

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate,  episodio 21: Ceremony (parte seconda).

Dopo che ebbe fatto entrare il Sindaco, Aristide richiuse il pesante portone della cappella escludendo luce e aria fresca dall’interno, con la sola eccezione di quanto filtrava da una serie di minuscole feritoie poste lungo le pareti in pietra, appena al di sotto del tetto.

I tagli diagonali ed evanescenti di luce erano più sinistri che suggestivi e s’accompagnavano a meraviglia con l’aria tiepida impregnata d’un lezzo acidulo e inconfondibile. Piuttosto che avvicinarsi al tumulo scoperchiato, Bruno preferì voltarsi per affrontare il defunto custode.

– Il Santo. Santo solo per i devoti baciapile di questo paese di ipocriti, la Chiesa non ha voluto saperne. Il nostro amatissimo parroco, una vita di povertà e umiltà e servizio. La tenne mio padre, l’orazione funebre, fu un discorso molto bello, piangemmo tutti. Credevo che riposasse in pace.

Aristide mosse appena la testa, in un gesto che al Sindaco apparve più  una contrazione involontaria che una risposta. Si sentì ugualmente sollecitato ad avvicinarsi alla tomba.  Mosse le gambe in avanti mentre inarcava la schiena all’indietro, inconsciamente lottando per ritardare il contatto visivo con i resti del vecchio parroco. Si sentì stupido, di cosa aveva paura, poi? Che il parroco uscisse dalla tomba e gli rinfacciasse i suoi peccati?

Quello che vide, alla fine, fu sufficiente a fargli sembrare quel timore una facezia. Anche gli avvenimenti sin lì, i cadaveri a spasso davanti a casa sua, Aristide e gli altri resuscitati del cimitero, tutto all’improvviso gli sembrò quasi ordinaria amministrazione.

Le spoglie del Santo erano cresciute.

Non è lui, pensò Bruno ma fu soltanto un pensiero ingannevole, un tentativo di negare l’evidenza: quello era Don Carlo, il viso rugoso e severo, le mani forti e callose, la sua tonaca. Aveva voluto essere seppellito con quella, logora e segnata dagli anni. C’era tutta una serie di strappi nuovi, però. E c’era…

Carne. 

Filamenti e grumi di carne pulsante e tremula, viscida e rossastra; tentacoli intrecciati, più simili allo sviluppo casuale d’un rampicante che all’ordinata costruzione di una ragnatela. Uscivano da ogni punto del corpo; dalle guance, dal collo, dalle mani. Dallo stomaco. Si aprivano la strada attraverso la stoffa degli abiti, ricoprivano la tomba come muschio insanguinato. Una metastasi in atto nonostante il decesso biologico.

Il Sindaco non ebbe neppure il tempo d’impazzire. Uno sciame di tentacoli violacei si sollevò verso di lui, imprigionandolo. Ebbe solo la possibilità di capire che quelle che gli erano sembrate minuscole bolle distribuite lungo le escrescenze carnose, in effetti, non erano bolle.

Erano bocche.

 

 

THE TALKING DEAD, EP.20: CEREMONY (parte prima)

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate,  episodio 20: Ceremony (parte prima).

All’improvviso, l’istinto del sindaco gli urlò di voltarsi. Bruno non aveva mai dubitato in vita sua dell’istinto, quindi eseguì con prontezza militare. Ci mise un secondo in più del solito per riconoscere Aristide: qualunque cosa gli fosse successa, aveva mezza faccia schiacciata e il cranio fracassato; attraverso la frattura tra le ossa frontali e quelle parietali si riusciva a intravedere il cervello. Quella era forse era la cosa meno fastidiosa.

Tutta la parte sinistra del volto di Aristide, il bel volto serenamente invecchiato che conosceva bene, sembrava avere subito l’impatto di un veicolo o di un maglio. L’occhio era sparito; orbita oculare e zigomo, fracassati, si nascondevano nella poltiglia di pelle, carne e sangue che aveva avuto un tempo dignità di guancia. In quell’ammasso grumoso, i peli bianchi della barba di Aristide spiccavano come disgustose escrescenze.

Bruno si ritrovò a fissare l’unico occhio rimasto, il destro, quello che una cataratta trascurata aveva reso opaco e poco efficiente. Si ricordò che Aristide aveva chiesto un finanziamento per poter affrontare le cure necessarie e che quel finanziamento gli era stato negato. Il suo stipendio di custode cimiteriale era troppo basso. L’affitto, troppo alto. E il funzionario che aveva bocciato la richiesta altri non era che il fratello del sindaco.

In piedi davanti a Bruno, la testa piegata di lato ma non per curiosità, Aristide spalancò la bocca, scoprendo una fila di denti in cattive condizioni già da parecchio tempo.

L’istinto del sindaco urlò: “corri!”. Le gambe del sindaco non ricevettero l’ordine.

– Sseeehgui meeh… seeeeguii meeeh.

Lo sforzo prodotto da Aristide per parlare causò il distacco quasi definitivo della lingua che s’incastrò tra l’interno della guancia ‘sana’ e gli anneriti denti incisivi. Un fiotto di sangue scuro scivolo’ tra le labbra involontariamente spalancate colando sulla divisa del custode, per solito immacolata. Consunta dall’uso magari, in ragione dei continui tagli al bilancio comunale; ma sempre pulita. Incurante di quella che un tempo sarebbe stata per lui una questione di discreta importanza, Aristide s’incammino’ lungo il viale principale; seguito dal sindaco solo quando Bruno fu certo che al passaggio del custode tutti gli altri cadaveri ambulanti si facevano rispettosamente da parte. Addirittura, da un certo punto in avanti furono lasciati soli, proprio mentre raggiungevano il centro di quel quadrilatero ideale: lì giunti, Aristide apri’ con un certo sforzo le  pesanti  porte poste a guardia del riposo d’un compaesano illustre, sepolto nella cappella più imponente e severa di tutto il cimitero.

Merda. Avrei dovuto immaginare che il casino fosse questo.

Mentre Bruno scopriva un nuovo elemento di preoccupazione, Aristide, con un cenno rigido della mano, lo sollecitò a entrare nella tomba dell’uomo che tutti, in paese come nella provincia, conoscevano come il Santo.

 

THE TALKING DEAD – EP.19: IL QUADRILATERO

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate,  episodio 19: Il quadrilatero.

Non occorse molto, al sindaco, per accorgersi di due fatti: innanzitutto, i  cadaveri non sembravano minacciosi, esattamente come quelli radunati davanti a casa sua . Inoltre, quel peregrinare all’interno del cimitero sembrava seguire uno schema: alcuni raggiungevano le uscite e s’avventuravano all’esterno; altri, pur continuando a muoversi, percorrevano una sorta di quadrilatero incrociandosi tra loro e ripassando sempre per i medesimi punti.

Come sentinelle, pensò Bruno e questo gli diede un’idea: forse la spiegazione di quella follia si trovava lì, nascosta nel quadrilatero. Per l’esattezza, sepolta più che nascosta. Esitò: se quello che stava pensando era esatto, avrebbe costituito una spiegazione ma assolutamente NON una regola. Nulla assicurava che l’avrebbero lasciato avvicinare, indisturbato.  Nulla assicurava nulla, in quel momento.

Dibattuto tra allontanarsi per ritornare meglio equipaggiato o restare per agire subito, non s’avvide della figura scivolata in silenzio dietro di lui.

Aristide, il vecchio custode, era tornato.

Nello stesso istante, davanti alla villa del Primo Cittadino, Giorgio sollevò le mani in un segno di resa non privo della consueta strafottenza. La moglie del sindaco lo teneva sotto mira con il fucile e lui sapeva bene perché; tuttavia, a preoccuparlo ben più dei vivi erano i morti. I maledetti morti parlanti.

Da qualche parte c’era un cadavere dalla cui bocca, oltre a qualche colonia d’insetti, stava uscendo il motivo per il quale Mara era preda di manie omicide nei suoi confronti. Una vicenda privata che lei stessa in primis non sarebbe mai stata disposta ad ammettere.

– Non sparare, tanto la dottoressa mi ricuce e Don Angelo non ti assolve. Dimmi solo dov’è il Sindaco e ti lasciamo tranquilla.

Mara non mutò espressione né posa: il vero peccato era la luce dell’alba che avrebbe reso impossibile sostenere la tesi dell’incidente. Sapeva che anche Don Angelo e la dottoressa Fedeli erano ricattati da Giorgio e che non avrebbero testimoniato. Ma c’era troppa luce.

– Non lo so, dove sia. Mi hanno svegliata gli spari ma quando sono scesa, Bruno non c’era. Mi viene solo in mente che da qui si arriva prima al cimitero che al palazzo comunale.

Non appena Mara ebbe pronunciato queste parole, Giorgio si precipitò alla macchina; seguito, sebbene con minor convinzione, dagli altri due passeggeri. Mara attese di vedere l’auto allontanarsi prima di rientrare in casa, dopo un’ultima occhiata ai cadaveri riversi a terra. Rieccoti qui, puttana, pensò, davanti al corpo di quella che sapeva essere stata l’amante di suo marito. Morta per la seconda volta, forse dovrei assicurarmi che tu non possa ritornare per la terza.

Se provò rimorso per quel pensiero, fu soltanto perché in tema di amanti lei non poteva proprio permettersi di salire sul pulpito.

Non dopo quello che aveva combinato con suo fratello.

THE TALKING DEAD – EP.18: LA PRIMA LUCE DELL’ALBA

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Racconto a puntate,  episodio 18: La prima luce dell’alba.

La prima luce dell’alba rischiarò il cielo senza intaccare l’invisibile nube d’oscurità nella quale paese e territorio si sarebbero svegliati. Le strade polverose, i campi pronti per il raccolto, le case isolate o raccolte a grappolo, ogni cosa era al proprio posto, immobile nell’attesa del calore estivo.

Le tenebre, portatrici d’un calore gelido, erano invece in movimento.

Frenando bruscamente, sino a far stridere le gomme senza necessità alcuna, Giorgio fermò l’auto davanti all’abitazione del Sindaco: se la sua intenzione era stata quella di precipitarsi al cancello, la vista dei cadaveri riversi sulla strada gli aveva fatto cambiare opinione. Scese dall’auto, incurante delle proteste dei passeggeri; una veloce ispezione gli permise di ricostruire in fretta l’accaduto.

– Sembra che il Sindaco abbia fatto quello che fa di solito.  Ha fatto di testa sua. Non posso dargli torto, questa volta.

Prima che Don Angelo o la Dottoressa potessero replicare, Mara, la first lady locale, apparve al cancello della villa, vestita soltanto di maglietta, mutandine e fucile da caccia. Quest’ultimo, lo puntò verso Giorgio.

– “Torto” è una parola che non ti puoi permettere, bastardo,

disse, chiudendo l’occhio sinistro per meglio prendere la mira.

Nello stesso istante, dopo quella che lui per primo avrebbe definito, per la stampa e gli elettori,  ‘una salutare corsetta’, Bruno arrivò in vista del cimitero. Dall’esterno  tutto appariva quieto e ordinato: il muro di recinzione in pietra chiara, le fila precise di alberi, i colombari. Linee geometriche decise e rassicuranti. Il cancello spalancato, tuttavia, non rientrava nel quadro.

Ancora ansimando per la corsa, Bruno sostituì il caricatore della pistola, verificando di nuovo l’efficienza dell’arma: la sua prima regola di sempre era non lasciare mai nulla al caso. Appena ebbe varcato il cancello capì che all’opera non s’era messo il caso ma il caos.

Più che la scena familiare d’un cimitero, quello a cui stava assistendo rassomigliava all’ora di meditazione in un convento medioevale. Cadaveri in differente stato di conservazione passeggiavano – a modo loro – per i viali o s’aggiravano con aria quasi curiosa tra i monumenti. Bruno ebbe subito un’intuizione operativa.

Non aveva abbastanza proiettili.