La Lega Dei Gentiluomini Straordinari In Bianco.

 

Potere all'Uomo in ammollo
La Lega Dei Gentiluomini Straordinari In Bianco

L’ultimo post qui pubblicato risale a piu’ di quattro mesi fa. Nel frattempo, non mi sembra che le cose – in generale – siano migliorate gran che. Certo, da ieri, ci sono loro, la Lega Dei Gentiluomini Straordinari In Bianco; da ieri, e’ definitivamente chiaro qual e’ il percorso – e qual’e’ il programma – per risolvere i problemi (politici, economici, sociali) in Europa e in Italia.

Potere all’Uomo in ammollo.

Quando il naso sbatte contro la porta

“Amministrare non è solo proporre la propria idea di politica: è attuare quell’idea. Un’idea che deve essere il più possibile compatibile con la realtà. Amministrare vuol dire rappresentare tutti i cittadini, essere l’istituzione di chi ti ha votato e di chi non ti ha votato, vuol dire non essere il sindaco di una parte, ma essere il sindaco di tutti. Amministrare vuol dire calarsi nella politica reale, lavorare duramente affrontando i problemi, intraprendere con coraggio la strada che si ritiene migliore per la propria città, la più giusta e la più equa. E’ affrontare problemi reali, a volte, vuol dire anche non vincere alcune battaglie. Vero. Ma questo non vuol dire tradire un ideale. Non conta solo il risultato ottenuto per i cittadini, ma anche che l’idea di politica che si vuole lasciare per la propria città”.

Parole che condivido, affermazioni che ho sempre sostenuto. Vecchia battaglia: c’è sempre una differenza tra marciare attorno al Palazzo con un bel cartello colorato e varcarne la soglia, assumersi responsabilità, trasformare la protesta del giorno prima nell’azione concreta del giorno dopo. Come minimo, ti blocca quella cosa noiosa del fund raising, per dirla in modo elegante (meno elegante: trovare i soldi). Principi e parole già scritti e dibattuti, perciò: allora, per quanto repetita juvant, cosa c’è di nuovo?

C’è di nuovo che a scriverle e pubblicarle sulla propria pagina Facebook è il Sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. Ha già i guai suoi, non voglio aggiungere complicazioni. Una domanda per lui, però, ce l’avrei: pensava le stesse cose prima di governare, quando la politica era soltanto gridare ai quattro venti: vado, riformo il mondo e torno? A giocare con il fuoco, si può finire inceneriti (ops).

E’ facile infierire, soprattutto stando comodamente seduti dietro un monitor. A dimostrare la mia serietà – e, soprattutto, quella del Sindaco parmense – aggiungo la seconda parte del Pizzarrotti-pensiero, stessa fonte, paragrafo successivo: “Tutto questo significa amministrare in piena sintonia con i valori del Movimento. Con umiltà, serietà e coraggio, sapendo che solo con l’esempio si possono coinvolgere veramente le persone. Ma fintanto che non si governa tutte queste cose non si possono capire, senza viverle ogni giorno sulla propria pelle non si capiranno mai”.

Gioco, partita e incontro: se sostituisco “Movimento” con “Partito” la frase è perfetta. Pizzarrotti ha scalato la montagna, è approdato ai Principi Universali. Guardate come sottolinea la sua chiosa: “umiltà, serietà e coraggio” e “ogni giorno sulla propria pelle”. Esatto. Giusto a titolo di esempio menzionerò l’atteggiamento politico (?) di taluni che, recentemente, non hanno avuto né l’umiltà, né la serietà, né il coraggio di andare oltre la propria, orgogliosa, attitudine a dire sempre e soltanto ‘no’. Non facciamo nomi, tanto Pizzarotti s’è già inguaiato da solo.

P.s.: sempre senza fare nomi, avreste un esempio recente di Amministratore che propone idee sperando che qualcun’altro le metta in atto? E che non si fa scrupolo di perdere una battaglia perché è impegnato a vincere, sempre e comunque e con ogni mezzo? Se avete la risposta, tenetevela per voi: tanto, Lui se ne farà una ragione.

 

 

 

Renzi, can you hear me?

“Francesco Nicodemo: “Il Pd si sente Rock. A Bruxelles con una playlist. Preferibilmente Indie”

“E il Partito Democratico diventa “rock”. Un’ora prima della direzione in streaming del partito, sul sito Youdem si può ascoltare una playlist proposta dai followers dem che – nella maggior parte dei casi – offre una selezione che ha molto poco a che fare con il tradizionale cantautorato nostrano. (…) Radiohead, Muse, Pearl Jam, questo è il ritmo che batte prima del fatidico incontro al Nazareno. “La playlist ha dei picchi di ascolto molto alti che a volte superano i contatti degli interventi stessi”, ci spiega Francesco Nicodemo, alla guida della comunicazione del Pd, “ abbiamo notato infatti che molti si collegano proprio per sentire la selezione”.

Copiato dal sito Huffington Post di oggi. Appena l’ho visto, sono piombato nell’incubo – è facile per me: sono in questo partito da abbastanza tempo per poter affermare che con la musica Rock non abbiamo mai avuto molto a che fare, se non scimmiottarla nell’intento sin troppo scoperto di ‘avvicinare i giovani’, ‘parlare un linguaggio moderno ed universale’. Insomma, in ultima analisi strappare qualche voto. Intento – sia chiaro – tutt’altro che disprezzabile, a patto (appunto) di applicarsi con onestà e mente aperta.

Il contrario dello scegliere periodicamente questo o quel punto di riferimento, a volte inseguendo troppo la moda del tempo; altre, scegliendo troppo fuori tempo. E sempre con un vago retrogusto di insincerità: alla fine, LA musica rimane quella classica, l’evo moderno, beh, inizia con i Beatles ma solo adesso scopriamo che Rolling Stones, Led Zeppelin e Who sono dei ‘classici’. Avete notato quella citazione? “Radiohead, Muse, Pearl Jam” e poi la generica indicazione ‘Indie’ (c’è un’intera galassia di artisti e di suoni dietro questa definizione, in un universo che si caratterizza innanzitutto per lo stile – dall’impegno minimalista al cantautorato ninnananna – e per l’indipendenza (yeah) dalle major discografiche): sono coordinate vaste e, in larga parte, da classifica tranquilla. Alternativi ma di massa. E negli anni ’90, quando i gruppi summenzionati non avevano ancora smussato le proprie abrasioni sonore, questo partito (nelle sue primeve forme originarie) non se li filava proprio. Il massimo del rock, ai tempi, era “La Canzone Popolare” (maximum respect per Ivano Fossati).

Alla fine, però, la colpa è mia: se ti fai prendere la mano dal rock, scopri che – a differenza dei partiti – è dannatamente mutevole, auto-adattante, sempre nuovo e vecchio insieme. E se eri un ragazzino lì, nei noiosissimi anni ’60 e la prima cosa che avevi sentito alla radio non era “Hey Jude” (ronf) ma “Black Sabbath”; se allora eri classificabile soltanto come ‘proletario’ (e andava già bene) e se il massimo della vita selvaggia era una visita domenicale allo zoo (quando si poteva), allora, allora, ecco che oggi ti ritrovi spiazzato. Il gruppo dirigente percorre la svolta indie mentre tu li vorresti vedere con le magliette dei Black Label Society e degli Slayer: ma ve la immaginate una foto di gruppo della Direzione, tutti truccati come i Mayhem o gli Immortal? Quella si, che sarebbe una bella scossa (#questopaesenondevedormire, più o meno).

E’ soltanto un mio delirio. La politica non si coniuga con la musica, si fa accompagnare. Niente che disturbi. Il Sindaco/Segretario Nazionale/Primo Ministro deve avere ascoltato un solo disco in vita (politica) sua: Tommy, la rock-opera degli Who. Si è immedesimato nel protagonista e adesso, liberato da lunghi anni di monologo interiore, ci conduce felici e spensierati al Renzi Holiday Camp mentre lui, politicamente cieco, sordo e muto, vede soltanto sé stesso, riflesso nello specchio. Sintesi e proposta costruttiva finale?

Cantare a squarciagola: “Do you hear me/or do I smash the mirror”?

P.s.: so di avere praticamente ammesso che per quanto riguarda il mio istinto ribelle, la mia voglia di cambiare sempre tutto, il mio tentativo di restare fedele ai valori cercando di accorgermi che il mondo cambia, ecc., devo molto più a Townshend, Daltrey, Entwhistle e Moon che non a Marx & Engels. Ma questo non mi impedisce di dire che anche Marx & Engels sono un’ottima band. Respect.

 

Progress Is for Losers (Il progresso è per i perdenti)

Ecco una buona occasione per spiegare il nome di questo blog, Progress Is for Losers. Dunque, lo scorso 22 Marzo, Gianni Cuperlo, non più Presidente del PD, indice tramite la propria pagina FB (e non solo, of course) un’assemblea per discutere “sullo spartiacque di questi mesi, ci si apre, si allarga, si ragiona su come una sinistra ripensata e un riformismo radicale possono stare dentro un nuovo inizio. E dove si decide in che modo e con che struttura organizzare il dopo”. La prima sede indicata, rivelatasi esigua rispetto alle intenzioni di partecipazione, viene modificata. La data prescelta, no: sabato, 12 Aprile, inizio ore 10.

Nella giornata del 9/4 u.s. (e correggetemi se la notizia è apparsa in precedenza), con conferma ufficiale pubblicata il giorno successivo sul sito nazionale del PD, il Primo Ministro Matteo Renzi, altresì Segretario Nazionale del partito, convoca la manifestazione di apertura della campagna elettorale delle  elezioni Europee, scegliendo come sede il PalaOlimpico di Torino (in previsione della massiccia partecipazione rituale). La data? Sabato 12 aprile, inizio ore 10:30, copertura web a cura di YouDem.

Se un rischio correva l’iniziativa di Cuperlo, era quello di finire con l’essere una semplice riunione di corrente, a dispetto delle sincere intenzioni trascritte nel virgolettato del primo paragrafo. Non avendo potuto partecipare, non so se il rischio è stato evitato; l’unica cosa che sono sicuro di poter scrivere è quella di Torino, in ogni caso, era una riunione di corrente. Dopodiché, segno dei tempi, il Premier copri-date irride alla riunione della ‘minoranza’; mentre quella parte di partito, piccola o grande, che lo sostiene pur avendo dei dubbi sui suoi mezzi e sulle sue proposte, si affretta – per voce di Gianni Cuperlo – a negare che nella coincidenza di date ci sia, per parte propria, alcun intento polemico. Alla rovescia, proprio.

Anche questo che si potrebbe definire episodio ‘marginale’ o concidenza (forse) non voluta, spiega perché il Progresso è per i Perdenti: in Italia, i vincenti – con le debite eccezioni – non riescono a fare a meno di sfoggiare arroganza e fastidio per tutti quelli che NON li rivestono di preziosi pigiamini di saliva.

E non c’è nessun Martello degli Dei che faccia seccare le lingue.

Bordate Rozze (comunicato nr.1)

“Ce la faranno pagare”, dice Matteo Renzi incontrando gli imprenditori del settore al “Salone del mobile” di Milano. Annuncia “una violenta lotta” contro la burocrazia. “Uso il termine violento – ha spiegato a proposito della burocrazia – perché non abbiamo alternativa”.

Il Luminoso Dirigente ha lanciato la campagna per portare l’attacco al cuore della burocrazia, esaltando nel contempo la geometrica potenza del suo Governo.

(tradotto: ma in questo paese nessuno li rilegge più i discorsi o cerca, quanto meno, di stare attento a quello che dice?)

Kassandra

” (..) non appena Renzi – ciò che è nelle Sacre Scritture, o stolti – assurgerà alla carica di primo ministro.”

Autocitazione. Ho scritto io questa frase, nell’ultima nota affidata a questo blog, il 6 gennaio scorso. Poco più di un mese ed ecco: neppure il tempo di voltare una sola pagina delle Sacre Scritture e la visione s’avvera. Per quanto mi riguarda, una previsione da Cassandra; e dato il generale clima da remake degli anni ’70, scriverei meglio: Kassandra.

Ora tenterei di ripetere l’esercizio, sicuro questa volta di fallire giacché sto per confondere visione con delirio: in questo delirio, il mio vaticinio segue il Presidente della Repubblica che, ascoltate le delegazioni dei partiti (anche quelli presenti solo sotto forma di blog); osservata una domenica di profonda riflessione; varato l’inizio di giornata di lunedì con una buona colazione (è importante a qualsiasi età, maggiormente per chi è costretto dall’inanità della classe politica a raddoppiare mandato e sforzi a 88 anni); fatto tutto questo, il Presidente convoca la stampa ed annuncia: viste le forze in campo, considerato il quadro politico immutato, tenuto presente il perdurare della grave crisi economica ed i segnali, ancora troppo deboli, di ripresa, di conferire mandato per la formazione del nuovo governo all’On.Enrico Letta.

Non sarà così. Per quanto, l’esperienza degli ultimi anni e del candidato Renzi più recentemente dimostri che in Italia, per ottenere quello che si vuole, basta dirlo.. e dirlo.. e dirlo.. e dirlo.

Who Are You?

Chi dice che nel Partito Democratico ci si annoia? Giusto il tempo di commentare l’ultimo exploit del segretario nazionale, la già storica lettera ai “gentilissimi” (detta anche “tre proposte e via”) ed ecco la nuova puntata di questo serial destinato a riservare sempre nuove (e non positive) sorprese: le dimissioni dell’ormai ex-viceministro dell’Economia, un altro giovane, emergente, stratega del rinnovamento: Stefano Fassina. Il quale, avendo ben presente la responsabilità istituzionale da poco assunta, conscio del peso di questa responsabilità ed avvezzo, soprattutto in rappresentanza delle istituzioni, a far prevalere l’interesse del Paese su quelli personali e di partito, ha pensato bene – nelle attuali condizioni di crisi economica e politica – di dare le dimissioni. Motivo? Più d’uno: le continue critiche mosse al governo dal nuovo segretario PD, il forte ricambio impresso dal risultato delle primarie e la cosiddetta gaffe o infelice battuta racchiusa nella domanda “chi“? pronunciata da Renzi nel sentirsi nominare Fassina dai giornalisti.

La domanda vera è: é un gesto utlle? E’ un gesto proficuo? La risposta è sì, utile e proficuo per i due protagonisti della vicenda, utile e proficuo per le rispettive ambizioni e carriere personali: dimenticate le necessità del paese, dimenticate l’urgenza delle riforme, dimenticate l’importanza vitale della stabilita di governo, dimenticate tutto – soprattutto che l’ultima cosa che ci possiamo permettere in questo momento sono i personalismi, gli atteggiamenti da rockstar capricciose. Il leader dei cosiddetti “giovani turchi” (ma esistono ancora?), deluso dal fatto che il mondo PD non sia caduto ai piedi della sua corrente, abbagliato dalla sfolgorante luce riformista emanata, altro obiettivo non persegue se non quello di ergersi a leader di una sinistra interna alternativa a Renzi. Immagino, naturalmente e come sempre, che si tratti della solita “vera sinistra”. Ed intravvedo, come già afferma con voluta malizia una renziana doc quale Debora Serracchiani, la possibilità che Fassina voglia soltanto allinearsi alla meglio per la prossima corsa alla segreteria nazionale, non appena Renzi – ciò che è nelle Sacre Scritture, o stolti – assurgerà alla carica di primo ministro.

Il segretario PD, nel frattempo, incassa il risultato del rimpasto che, a parole, non voleva e non indicava; della messa in ulteriore difficoltà dell’attuale Primo Ministro, l’unico, eventualmente, intitolato a rispondere (e non con le dimissioni) al fuoco amico che quotidianamente arriva dalla sponda democratica. Incassa l’effetto della battuta, forse involontaria, che da sola non spiega e non giustifica nulla ma fa di lui, in questa circostanza e con il solito aiutino dei media, un simpatico, irresistibile gaffeur. Con un precedente illustre che appare, ogni giorno di più, come il vero modello mediatico del sindaco di Firenze: l’uomo che abitualmente saltava le domande scomode facendo finta di non sentire, portandosi una mano all’orecchio, indicando gli elicotteri, mimando con le labbra “I can’t hear you”. Lui. Il campione USA della deregulation (una forma avanzata di riformismo, no?), il super-Presidente muscolare dalle molteplici gaffes. Ronald Regan.

E nel frattempo, Renzi conferma che la sua strategia è chiaramente quella di parlare non al partito ma al di fuori del partito: non ci sono interlocutori interni, ci sono (secondo lui) i tre milioni di votanti delle primarie (che erano aperte proprio come richiesto dal medesimo personaggio) che gli hanno (tutti) conferito un mandato. E che sono altro dalla struttura del partito, struttura il cui ruolo, d’ora innanzi, sarà soltanto quello di ratificare e dettagliare le iniziative del segretario. E’ il passaggio dal Partito Democratico al Partito Dislocato.

(mah, quello che avevo da scrivere, l’ho scritto. Se adesso volete dire – o scrivere – “Andrea, chiii?”,  fate pure. Tanto, non vi sento: ho il tinnito. A destra)

Go To The Mirror, Boy

Avrete senz’altro letto la versione finale della lettera indirizzata dal nuovo segretario del PD, Matteo Renzi a “tutte le forze politiche che siedono in Parlamento”. Come d’uso, trattandosi del riformatore della politica italiana, è frutto di un lungo, complesso, difficile percorso di elaborazione, della quale il testo qui sopra linkato è soltanto il punto di approdo. Questo blog è in grado di offrirVi, per gentile concessione del cestino della carta straccia, una delle prime versioni del medesimo documento, in forma più semplice ed immediata, per soli motivi di studio. Buona lettura.

“Genericissimi,

qui metto quella cosa che tre milioni di italiani mi hanno votato, non è vero perché in tutto hanno votato duemilioniessette e io ho fatto unmilioneennove quasi – ma, insomma, ho fatto il pieno, concentratevi su questo. Le politiche sono andate da schifo e le primarie no, quindi, di nuovo, concentratevi su questo. C’è lo schifo della politica, i cittadini che girano con la scorta di sacchetti per vomitare, e vogliono un sacco di cose e insomma se si fa presto, si fa presto. E’ il 2014, ma ci pensate?

Qui invece faccio finta che non sia la milionesima volta che il PD tenta di prendere in mano la situazione senza mandare tutto in vacca per un motivo o per un altro. E faccio anche finta che non sia la milionesima volta che diciamo 1) che ci vuole una legge elettorale che sia buona (come il prosciutto,’ mi dia due etti di quello bono’); 2) che si cambia anche il bicameralismo, si fanno le Autonomie Locali e si tolgono le indennità ai senatori (non so se metto anche che non vengono più eletti ma diventano tali sulla base dei loro ruoli nei Comuni e nelle Regioni.” Non fa figo come “tolgo le indennità ai senatori”, poi vedo; 3) poi c’è quella cosa delle competenze dalle Regioni allo Stato e riduco le indennità dei consiglieri regionali, al livello di quelle dei sindaci delle città capoluogo. Oh, che Firenze è capoluogo?

E qui faccio il grande gesto; siccome il PD c’ha la responsabilità, c’ha il mandato, e bla bla bla, ma non ha uno straccio d’idea decisa, senti qua, dico “Pur essendo il primo partito non imponiamo le nostre idee, ma siamo pronti a chiudere su un modello tra quelli qui sommariamente esposti” e vado con l’elenchino delle solite tre, diconsi tre, proposte di riforma elettorare, la spagnola (che pare un’epidemia), il Mattarellum revisited con il premio di maggioranza al 15% che sembra una tassa e il doppio turno di coalizione dei sindaci. Fosse per me, chi vince con il 60% dei voti, passa automaticamente all’elezione diretta del Primo Ministro, eliminatoria diretta su Sky. Ma siccome sono bonino, faccio una grande apertura “Il PD è pronto a recepire suggerimenti, stimoli, critiche su ciascuna di queste tre proposte. Ma chiediamo certezza dei tempi e trasparenza nel percorso: la politica non può più fare passi falsi.”, strepitosa, non ho schemi, non ho punte ma butto la palla nell’area avversaria, vediamo se qualcuno la prende. Dopo di che, bisogna fare presto, perciò facciamo gli incontri bilaterali con chi ci sta. Se ci state tutti, col cavolo che si fa presto. Se non ci state e basta, ci riuniamo da soli e (no, così non va bene. Non è democratico, progressista e non c’abbiamo una sola idea chiara, l’ho detto).

Qui concludo, faccio i soliti auguri d’inizio anno, compratevi l’oroscopo di Branko che vede più cose di me e metto un altro punto fermo. “un accordo alla luce del sole, il più rapido e vasto possibile, sulla legge elettorale sarebbe un segnale semplice ma chiaro che iniziamo l’anno nel migliore dei modi.”. Quel ‘che iniziamo’ mi stride un po’ in grammatica ma è chiaro e friendly. Poi torno marziale e proclamo che il PD è pronto ad accettare la sfida – e anche così, anche questa volta, ho detto tutto, senza dire niente.

Un saluto cordiale anche dai Ramones (che sono come me: tre proposte, no pardon, tre note – e via!). Nota: ricordarsi di proporre “We’re An Happy Family” come inno del PD.”

 

1.895.332

1.895.332. Sono i voti (fonte: sito nazionale PD) ottenuti da Matteo Renzi alle primarie per l’elezione del segretario nazionale PD. E’ il dato ufficiale, così come quello dei votanti: 2.797.938 che, aggiungendo i connazionali all’estero, diventano 2.814.881. Accade, tuttavia, da qualche tempo, un fenomeno curioso: qualsiasi riserva o domanda si rivolga al nuovo segretario PD o a qualcuno dei suoi collaboratori, la risposta inizia con il ricordare l’esito delle votazioni primarie, a guisa di argomento definitivo e tranchant e magari, per dare maggior peso al concetto, aumentandone le dimensioni. E’ già accaduto di sentir attribuire all’indiscusso vincitore delle primarie la cifra di duemilionisettecentomila preferenze (cioè, quasi il totale dei votanti); nell’intervista pubblicata questa mattina da La Stampa, Renzi fa addirittura l’en plein: “(..) io ho ricevuto un mandato popolare, tre milioni di persone che mi hanno votato perché hanno condiviso quel che ho promesso che avrei poi fatto.”

L’intera cifra dei votanti, più, evidentemente, quelli che hanno mandato la giustificazione dei genitori ma, se non avessero avuto l’influenza, avrebbero votato per lui. Sto scherzando e magari la cifra è venuta fuori così, per la foga dell’argomento o un’errata trascrizione del testo dell’intervista. Oppure no, questo tormentone del “ho preso una valanga di voti quindi ho ragione io” è il segno vero di questo self-proclaimed rinnovamento, fatto solo di prepotenza e di idee appena abbozzate perché “Renzi non si cura dei dettagli” (rileggetevi l’intervista di Gutgeld, qualche post fa). Come un pessimo gruppo metal, il segretario-sindaco non si premura di suonare seriamente e di avere almeno un chitarrista degno di questo nome ma soltanto di alzare il livello degli amplificatori. Rumore politico.

Da ultimo, se avrete la pazienza di leggere l’intervista, fate un piccolo esercizio: rilevate, a vostro giudizio, qual’è l’affermazione più forte, più netta e decisa. Per me, é questa: “(..) Lui, Enrico (Letta), è stato portato al governo anni fa da D’Alema, che io ho combattuto e combatto in modo trasparente”. Questo è l’uomo che vorrebbe accreditarsi come segretario di tutto il PD, come l’uomo del plebiscito. Lui combatte D’Alema – che non ha incarichi, che ha di molto ridotto l’attività all’interno del partito e che, in ogni caso, non dovrebbe rappresentare un gran pericolo per qualcuno che ha davvero ottenuto 1.895.332 voti – ed ha preso tre milioni di voti, quindi ha ragione lui, su qualsiasi cosa.

Prima che arriviamo alle folle oceaniche ed al consenso obbligato, ribadisco che io non l’ho votato e che sto bene, anche dalla parte del torto.

La versione di McKinsey

[banner network=”altervista” size=”300X250″]Un amico mi segnala questa intervista a  Itzhak Yoram Gutgeld, consigliere economico del neo-eletto segretario nazionale PD, Matteo Renzi. Ricordato che, in precedenza, Gutgeld è stato senior partner e direttore di McKinsey & Company fino al Marzo 2013, Vi raccomando la lettura di questo intervento, soprattutto prima di addentrarVi nei commenti che posterò qui di seguito, rispettando l’ordine degli argomenti presentati nell’intervista. Buona lettura.

“(..) un mercato del lavoro duale, composto, da un lato, da una fascia di iper-protetti e, dall’altra, da giovani condannati a una precarietà assoluta.”. Perché usare il suffisso ‘iper’ che identifica dimensioni superiori al necessario? Non è così, stiamo parlando di conquiste maturate in anni, attraverso sacrifici e lotte; conquiste che cercano di realizzare l’ideale stato di garanzia, di sicurezza e di dignità che deve essere riconosciuto ad ogni singolo lavoratore. O pensiamo che i lavoratori della Thyssen, regolarmente assunti, fossero “iper”-garantiti?

“(..) non si tratta di abolire il contratto a tempo indeterminato, né di porre fine alle tutele di chi ce l’ha, in quanto questo nuovo contratto «indeterminato flessibile» varrebbe soltanto per i giovani.”. Gutgeld non vuole abolire l’art.18, lo vuole ‘soltanto’ sterilizzare, stabilendo fin dall’inizio un indennizzo in caso di licenziamento. Il principio della giusta causa e il deterrente del reintegro nel posto dal quale si è stati allontanati sono le uniche barriere avverso la ‘mano libera’ delle aziende nei licenziamenti. Inutile girarci attorno: sappiamo come le aziende interpretano il tema del licenziamento: a rimetterci, sarebbero i dipendenti ‘scomodi’, ovvero quelli che non aderiscono all’ideologia aziendale o che denunciano condizioni di lavoro difformi dalla norma;

“(..) garantire alla persona che perde il posto di lavoro sia un sussidio di disoccupazione adeguato sia la possibilità di riqualificazione professionale.”. Un po’ di flexicurity non guasta, anzi ci mette tutti d’accordo: il guaio – a parte non menzionare quel noioso problemuccio della copertura di spesa – è la differente tempistica: per realizzare un mercato del lavoro flessibile ed aperto che consenta non solo di recuperare in fretta il posto perduto ma anche, attraverso una formazione mirata, di acquisire una professionalità del tutto differente, richiede tempo ed impegno. Nel frattempo, ‘sterilizzato’ l’art.18 con la proposta di cui sopra, partirebbero i licenziamenti. Subito.

“(..) non si tratta di abolire il contratto a tempo indeterminato, né di porre fine alle tutele di chi ce l’ha, in quanto questo nuovo contratto «indeterminato flessibile» varrebbe soltanto per i giovani.” La domanda è naturale – ed infatti, l’intervistatore la pone: sì, ma fino a quale età? Attenzione alla risposta: “Renzi non si è mai addentrato in dettagli di questo tipo, il suo scopo è lanciare un’idea e poi lasciare che la politica ne discuta.”. Scherziamo? E’ logico, naturale e doveroso che la politica tutta ne discuta MA l’onere di dettagliare la proposta, di sostanziarla con cifre e fatti, è IN PRIMIS di chi la lancia. Che succede, nel manuale della McKinsey manca la pagina “età per essere indeterminati ma flessibili”? Provate su Wikipedia..

“(..) Occorre inoltre intervenire sul sistema complessivo di formazione professionale, che oggi spesso lavora più per i formatori che per gli studenti.”. I dati, gli stessi citati da Gutgeld, ci dicono che occorre riformare e rilanciare i Centri di Lavoro. Tuttavia in questa frase finale l’accento non sembra cadere sulla riforma strutturale, quanto su una questione di produttività: insomma, sono i formatori che non rispettano il budget. Magari, con un bel contratto “indeterminato flessibile”, si possono licenziare. Sempre in attesa di un mercato del lavoro che assorba e perdoni i nostri esperimenti a tavolino.

Solo un’intervista? No. Un passaggio del discorso di Matteo Renzi all’odierna assemblea nazionale del PD: “Non si può discutere per 10 anni sull’articolo 18, mentre si dimezza l’attrattività degli investimenti esteri. Noi dobbiamo dire che tutti coloro che perdono il posto di lavoro, hanno diritto a un sussidio universale. O il Pd torna ad essere il partito del lavoro, o perdiamo la nostra identità. Secondo i sondaggi siamo il terzo partito tra gli operai, tra i precari e i disoccupati, non solo tra le partite Iva. Dobbiamo ragionare su questo punto. Dobbiamo entro un mese presentare un progetto di legge per semplificare le regole del lavoro e degli ammortizzatori sociali.”

Indeterminato e flessibile nelle argomentazioni, come la sua proposta: dove attingere per coprire l’onere del sussidio universale? Ma certo, lo dirà qualcun altro; il Segretario Nazionale nonché Sindaco si limita a “lanciare le idee”.

Le lancia in aria e poi grida “pool!”