THE TALKING DEAD – Ep.15: La villa

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate,  episodio 15: La villa davanti al parco.

Il sonno già interrotto da un pessimo episodio di reflusso gastrico, Bruno scivolò fuori dalle coperte in silenzio attento a non svegliare Mara, sua moglie. L’ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento sarebbe stata dover riprendere la discussione riguardo ai suoi crescenti problemi di salute. Quella donna ama preoccuparsi, questa era la verità, pensò Bruno, insieme a: per tua fortuna, non conosci neppure un centesimo delle ragioni che mi tengono sveglio o che stanno mandando in malora il mio stomaco.

S’accorse del rumore mentre sorseggiava un bicchiere d’acqua naturale in cucina. Proveniva dall’esterno, dal parco comunale, forse. Una vera stronzata comprare quella villa proprio davanti a un posto già noto ufficiosamente come meta notturna di perditempo, fornicatori, alcolisti e tossicodipendenti; all’epoca gli era parso così appropriato, invece, traslocare in un edificio adeguato all’importanza del suo nuovo ruolo di Sindaco. Per di più, confinante con il grazioso e appena riqualificato parco,  uno dei luoghi caratteristici del paese, il punto d’incontro della comunità.

Il rumore era troppo vicino e non era neppure un rumore: era un bisbiglio a più voci,  sommesso e lamentoso. Non sembrava una lite ma neppure una chiacchierata tra amici. In ogni caso, era tardi; a quell’ora il parco non aveva mai frequentatori rassicuranti.

Si ricordò d’avere lasciato il cellulare sotto carica, nello studio, al piano superiore; risalire le scale avrebbe richiesto meno d’un minuto e il numero del comando di polizia era nella rubrica delle chiamate rapide. Bruno conosceva un metodo più rapido. Passando dal retro, dai box, avrebbe recuperato tuta da lavoro e scarpe da tennis. Soprattutto, avrebbe recuperato la pistola.

Lui era un sindaco al quale non dispiaceva, ogni tanto, fare anche lo sceriffo. Dopo avere controllato che l’arma fosse carica e in piena efficienza, uscì dal cancello posteriore della villa; tenendosi addossato alla recinzione, ripercorse i propri passi per tornare sul davanti. Per un pelo non tradì la propria presenza sporgendosi troppo: non meno di dieci persone erano radunate in mezzo alla strada, nello spiazzo tra la villa e il parco. Aveva tutta l’aria di una riunione.

E Bruno sapeva di non averne autorizzata nessuna.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 14

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Episodio 14

La reazione di Giorgio fu rapida e non del tutto imprevista: tanto Don Angelo quanto la Dottoressa potevano dire di conoscerlo a fondo, sebbene per motivi assai differenti. Il funzionario comunale fece con rapidità dietro-front, diretto al bagagliaio dell’auto dal quale prelevò un vecchio crick, impugnandolo come una clava.

– Ha ragione, Dottoressa. Non sono suoi pazienti, ora sono i miei!

Sorridendo in quel modo maligno che ne tradiva la vera natura, Giorgio si avventò sui cinque zombie ignorando le proteste degli altri due componenti la squadra dei vivi. Colpì all’impazzata, con la forza generata dalla paura sempre presente in lui: almeno due li aveva riconosciuti, dei loro casi di malasanità s’era occupata anche la giunta comunale.

– E’ l’ora del silenzio, bastardi!,

urlò calando a ripetizione quell’arma micidiale; le urla della Dottoressa e i tentativi, deboli, di Don Angelo per trattenerlo non poterono fermare la mattanza: crani scoperchiati, spruzzi di materia cerebrale e sangue, occhi strappati alle orbite.  Non pago di quanto la decomposizione prima e il metallo poi avevano già fatto, Giorgio infierì anche sui corpi a terra fino a quando un calcio al costato, sferratogli dalla Dottoressa, non gli fece mancare il respiro.

– Sei un pazzo criminale, dovresti stare in galera!!

Tossendo e sputando, Giorgio si rimise in piedi, rispondendo al medico.

– Claudia, se non sto in galera è perché conosco la merda di tutti. E se non avessi il naso al posto del cervello, avresti già capito che questa è… la notte dei testimoni viventi.

La Dottoressa tacque, arretrando davanti all’uomo che ancora impugnava il crick grondante sangue e brandelli di carne; Don Angelo, sconvolto, s’inginocchiò a pregare. Rivolgendosi a tutt’e due insieme, Giorgio tirò le conclusioni.

– Abbiamo del lavoro da fare. I morti non dovrebbero camminare e ancora meno parlare ma sembra che riescano a farlo senza dire bugie. Vanno fermati. Direi che è ora di svegliare quel coglione del Sindaco, no?

Due cose gli vennero in mente, a quel punto: la prima, che il Sindaco poteva essere già sveglio e stare ascoltando storie interessanti. La seconda, che aveva ucciso Aristide senza che fosse già morto prima.

 

Poteva davvero sentirsi sicuro che non ritornasse?

THE TALKING DEAD – EPISODIO 13

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Episodio 13

Raggiungere l’ospedale a piedi era fuori discussione, per almeno DUE motivi: la distanza dagli uffici comunali e, soprattutto, il fatto che  tanto Giorgio quanto Don Angelo non avessero la benché minima voglia di percorrere a piedi una qualsiasi strada. Giorgio fu rapido a risolvere l’empasse.

– Usiamo l’auto di servizio, le chiavi sono nella bacheca.

Don Angelo esitò a seguirlo, pur sollecitato dall’impegno assunto con la Dottoressa Fedeli; d’altronde, il tono di voce stridulo e spaventato del medico aveva peggiorato le condizioni del suo sistema nervoso. E l’improvvisa sicurezza ostentata da Giorgio era ancora meno rassicurante.

Per sfuggire ai morti viventi stava per affrontare un viaggio in auto con un probabile assassino, nonché comprovato truffatore.  Al termine del tragitto, nuovi orrori da affrontare. Più la Dottoressa. Una professionista stimata e riconosciuta in tutta la regione, medico di rara competenza e capacità. Giusto con un paio di piccoli difetti.

Stimolanti chimici e sesso estremo.

Un bel cocktail che l’avrebbe fregata per benino, prima o poi. Al riguardo, aprendo bocca per la prima e unica volta mentre guidava, Giorgio chiarì il proprio pensiero con l’arroganza e la cattiveria tipiche degli esclusi dalla beneficenza.

– Non vedo l’ora di salvare il culo a quella troia. Poi vedremo se farà ancora tanto la difficile. Eh, Reverendo? Ah, ma non è il suo genere, vero?

Don Angelo sapeva di meritare tutto il castigo che gli veniva inviato, tuttavia non riuscì a reprimere la segreta speranza che divorato dagli zombi ci finisse proprio Giorgio. Una fantasia alla quale dovette rinunciare non appena l’auto fece irruzione nel piazzale riservato al parcheggio del personale e dei familiari dei pazienti.

Gli zombie erano tanti ma nessuno sembrava volersi avvicinare alla Dottoressa con intenzioni carnivore. Piuttosto, vista dalla macchina, la scena somigliava molto a un consulto collettivo. Altrettanto sorprendente fu quello che la dottoressa urlò ai due ‘soccorritori’ mentre scendevano dalla macchina.

– Non sono pazienti miei. Non sono pazienti MIEI, capite?

 

THE TALKING DEAD – EPISODIO 12

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Racconto a puntate

Episodio 12

– Sì, è vero, due o tre anni fa… il corpo fu trovato lì ma era stato ucciso altrove. Non si scoprì nulla. Ma… cosa avrebbe a che fare con noi?

Giorgio soppesò la domanda di Don Angelo pur avendo la risposta già in tasca. Cominciava a intravvedere una sorta di schema nel delirio di quella che era iniziata come una qualsiasi giornata estiva. Laura non aveva nulla a che fare con la vicenda del direttore delle Poste (per quanto ne potesse sapere, ovvio); lui e Don Angelo non avevano nulla a che fare con i due personaggi che l’accusavano d’infanticidio. Aristide, il custode del cimitero, era l’unico che poteva avere a che fare con tutti,  vivi e defunti, proprio in virtù dell’incarico ricoperto.  Ma Laura non riposava nel cimitero del paese.

In effetti, l’eventuale schema era delirante tanto quanto l’idea di morti che camminano per le strade. Prima che Giorgio potesse condividere quella che a lui stesso appariva più come un costrutto della paura che come un’intuizione, la suoneria d’un cellulare fece irruzione con la propria incongrua allegria facendoli trasalire.

Don Angelo rispose ma solo dopo avere letto il nome dell’interlocutore sul display. Ed essere ulteriormente impallidito.

– Dottoressa. Cosa…? Per favore, si calmi! Come… Le credo, certo che le credo. Non… No, mi ascolti: resti dov’è,  sto arrivando.

Mentre chiudeva la conversazione, il prete sollevò lo sguardo fissandolo in quello del tecnico comunale. Giorgio stava sorridendo, il sorriso acido e velenoso che Don Angelo conosceva bene. Giorgio non era un buon parrocchiano; anzi, per dirla tutta, Giorgio era un vero criminale, travestito da irreprensibile funzionario. Se soltanto avesse potuto denunciarlo.

Se soltanto non fosse stato suo complice.

– Era la Dottoressa Fedeli. Mentre lasciava l’ospedale ha notato alcuni… cadaveri… che… camminavano verso di lei.

Il sorriso di Giorgio stava per raggiungere le orecchie, quella era per lui quasi una buona notizia. Lo schema. Forse c’era davvero. Non riuscì a trattenere la domanda.

– E cos’avevano da dire i morti,  alla nostra illustre scienziata cocainomane?

 

THE TALKING DEAD – EPISODIO 11

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Racconto a puntate

Episodio 11

Don Angelo si agitò sulla sedia quasi che, all’improvviso si fosse arroventata; la visione del cadavere sfigurato, corroso dai vermi che strisciavano tra la carne marcita e il prezioso abito fasciante con cui era stata sepolta,  non aveva più abbandonato la sua mente dal momento in cui aveva ascoltato quei passi strascicati lungo il corridoio della navata. Trasalendo, l’aveva subito riconosciuta nonostante la penombra debolmente rischiarata dalle candele. Non poteva essere diversamente, ogni colpa trova il proprio castigo.

– E’ venuta per noi, Giorgio. Per quello che abbiamo fatto. Mi devi credere, non sono impazzito. Laura era lì, in piedi davanti a me. Non sono pazzo.

Giorgio sollevò  una mano per interrompere il parroco: da un lato, era ansioso di sapere;  dall’altro,  ascoltare anche solo le poche parole pronunciate sino a quel momento dal religioso aveva accentuato il gelido morso della paura dentro di lui.

– No, nessuno è impazzito.  Sta accadendo qualcosa. Laura non è l’unico cadavere a spasso per le strade. Comunque… ha detto qualcosa?

– Come lo sai? Anche tu… l’hai incontrata?

– Non Laura. Ho avuto la mia parte di cadaveri, questa sera. E parlavano. Del bambino.

Giorgio si rese conto d’averlo detto solo dopo averlo detto: cosa gli stava capitando, non aveva neppure bisogno di nominare il bambino, il prete sapeva. Eccome, se sapeva. L’inferno aspettava tutti e due e non era da escludere che il diavolo si fosse stancato d’aspettare.

– Avanti, cosa ha detto mia moglie? COSA?!

Nonostante l’impeto violento con il quale Giorgio l’aveva incalzato, Don Angelo non rispose subito: dunque, quella di Laura non era stata l’unica apparizione. Qualunque mistero o forza fosse all’opera, era molto, molto più grande di quanto non avesse immaginato fino a pochi attimi prima; si diede mentalmente dello stupido per essere letteralmente fuggito dalla chiesa senza ascoltare altro.

Ma era difficile sostenere lo sguardo di due orbite cave affollate da insetti.

– Non ha detto molto.  Ha ripetuto tre o quattro volte le stesse due parole:  “il ponte”.

Giorgio premette la fronte contro il vetro della finestra, freddo e appannato. Nessuno, tranne lui, sapeva che quello di Laura non era stato un incidente ma un suicidio e comunque non c’entrava nessun ponte, perché mai un ponte avrebbe dovuto…

Si girò di scatto, colto da un’intuizione.

– Il direttore delle Poste. Non fu trovato morto sul ponte vecchio?

 

 



 

THE TALKING DEAD – EPISODIO 9

THE TALKING DEAD

Racconto a puntate

Episodio 9

Il vento era calato già nel pomeriggio e in ogni caso i suoi colleghi avevano una paura fobica in argomento furti e atti vandalici: dopo l’ultimo episodio, la consegna era sbarrare porte e finestre prima di lasciare gli uffici, in qualunque stagione. Per questo motivo, il rumore che lo aveva appena fatto trasalire aveva una e una sola spiegazione.

Qualcun altro si stava aggirando all’interno della palazzina. L’uomo deglutì a fatica, la saliva all’improvviso trasformata in sabbia appiccicosa; comunque meglio delle gambe tremolanti come gelatina e pesanti come piombo, frutto della paura dalla quale era assalito. Certo, poteva trattarsi di un collega, come no. A quell’ora? Comunque, nessuno faceva gli straordinari da quelle parti e poi le casse comunali non potevano permettersi ore extra. Forse un intruso, un vandalo, un altro furto di documenti come quello dell’anno precedente: muri imbrattati di scritte incomprensibili, sedie rovesciate, mobili rovinati e alcuni faldoni spariti.

Pratiche insignificanti, in apparenza. Ufficialmente.

L’uomo si sentiva certo di poter escludere un visitatore a caccia di souvenir, quindi restava soltanto un’altra ipotesi. LO avevano seguito. LORO, lo avevano seguito: la coppia di cadaveri incontrati lungo la strada, quella scheggia di impossibile conficcata dal caso nella realtà del suo pomeriggio. O forse…

Forse il maledetto custode cimiteriale non era morto, non abbastanza morto e i passi che l’uomo distintamente avvertiva provenire dalle scale erano i suoi. Stava salendo l’ultima rampa, dieci gradini in tutto; poi, sei passi e sarebbe stato alla porta. L’uomo, come d’abitudine, l’aveva accostata anche se non era necessario; l’avesse lasciata aperta, avrebbe potuto vedere di chi si trattava. Non che fosse così ansioso di saperlo.

Se solo fosse riuscito a muoversi, se le gambe avessero smesso di tremare, se lo stomaco non fosse stato un buco nero impegnato a risucchiare ogni sua energia e razionalità, avrebbe potuto arrivare per primo alla porta della stanza e girare la chiave. Sì. Avrebbe potuto. Se solo fosse riuscito a muoversi. Passi in corridoio.

Tre. Quattro. CINQUE.

Un’onda di sudore gelido e salato traspirò da ogni poro della sua fronte e della schiena mentre il lamentoso cigolio dei cardini arrugginiti annunciava la presenza del visitatore dietro l’uscio in legno. Non aveva fretta, l’intruso; spinse la porta con quella che all’uomo sembrò sadica lentezza, il raffinato piacere del predatore che trattiene l’attimo fatale. Centimetro dopo centimetro, fino a quando non fu spalancata e la figura del visitatore, stagliata sulla soglia, divenne visibile alla debole luce della lampada da tavolo. Per poco, all’uomo non sfuggì una bestemmia che sarebbe stata doppiamente inopportuna.

Era il maledetto prete.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 8

THE TALKING DEAD

racconto a puntate

episodio 8

Quando arrivò a destinazione, la vetusta e isolata palazzina che ospitava gli uffici tecnici del Comune era completamente avvolta nell’oscurità: il Sindaco faceva campagna sul risparmio energetico spegnendo l’illuminazione stradale nei pressi degli uffici periferici ma non del Municipio, in centro paese. Quello, era sempre illuminato a giorno. Per una volta, l’uomo ritenne di approvare le scelte dell’Amministrazione.

Muoversi al buio, ad ogni modo, non lo faceva sentire a suo agio: qualsiasi rumore, fosse il verso d’un animale o il motore distante di un’auto, lo faceva trasalire dandogli i brividi. Arrivare alla porta posteriore della palazzina a due piani fu un sollievo.

Di breve durata.

All’interno, il silenzio notturno era ancora più pesante e percorso da voci fastidiose: lo scricchiolio dei vecchi, vecchi mobili in legno; i rubinetti dei bagni al piano terra, il cui ritmato sgocciolare era refrattario a qualsiasi intervento idraulico; persino il rumore dei suoi stessi passi, la gomma delle suole fischiava contro il levigato pavimento marmoreo.

Raggiunse in fretta il proprio ufficio, salendo i gradini delle scale a due a due, ansimando, il cuore in gola non soltanto per quello sforzo. Per prima cosa, andò alla scrivania, dalla scatola delle graffette nel primo cassetto recuperò la chiave che apriva lo schedario metallico. Non teneva soltanto pratiche vecchie e nuove, lì dentro: nascosta tra i faldoni del cassetto più basso si trovava una bottiglia di buon whisky d’annata. Un lungo sorso scivolò nella gola dell’uomo, un torrente tiepido e bruciante. Staccò di colpo la bottiglia dalle labbra per respirare come un naufrago riemerso dopo essere stato travolto dalla tempesta. Andava meglio, ora.

Il tonfo della porta che si richiudeva al piano di sotto sbriciolò quella ritrovata calma.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 6

THE TALKING DEAD

racconto a puntate

episodio 6

 

Scattò a sua volta, lesto e meccanico quanto la lama del coltello. Per il custode del cimitero non vi fu scampo, troppo sorpreso, troppo in là con gli anni: un colpo solo, dritto al cuore. La placidità del tramonto nella campagna spezzata dal rumore del metallo che perforava la carne, dal sordo battito finale – quasi un grido – del muscolo cardiaco.

Il corpo di Aristide crollò a terra, inanimato. Alle spalle dell’uomo, i due cadaveri viventi si mossero, con rallentata goffaggine, lamentandosi.

Gggghhhhaaaahhhssassiiiinoohhh… Mmmghhaaahhsssasss…

Assassino. Sì, il concetto era quello. All’improvviso, fu tutto chiaro e una calma irreale (tanto irreale quanto quella situazione) calò nell’uomo; all’improvviso, sapeva cosa fare. Non avevano neppure tentato di morderlo ed erano maledettamente lenti.

Si guardò attorno. Per fortuna, i dintorni non erano avari in materia di sassi; ne cercò uno grande e appuntito a sufficienza quindi si preparò alla mattanza. Erano cadaveri, dovevano restare cadaveri. Con veemenza ancora maggiore di quella impiegata per uccidere il custode, l’uomo si scagliò contro la coppia barcollante facendo ruotare il braccio destro dal basso per ottenere il massimo effetto.

Per prima, scelse la donna: del resto, aveva parlato per prima, no? L’impatto non fu preciso, alla tempia sinistra anziché in mezzo al cranio ma l’effetto fu comunque devastante. Le ossa del cranio si spezzarono; un liquido nero,  denso e maleodorante si riversò attraverso l’improvvisa apertura colando anche sulla mano dell’aggressore. Questi la ritrasse di scatto, vuoi per pulirsi vuoi per colpire ancora. Al secondo tentativo, la testa della sventurata venne aperta a metà, in un’esplosione di schegge d’osso, carne putrefatta e parassiti.

Per poco non si mise a ridere quando l’altro cadavere tentò di morderlo. Prima gli fece saltare tutti i denti, insieme alla mandibola; poi lo colpì al cranio. In meno di quanto avrebbe mai pensato, tre cadaveri giacevano a terra, immobili.

Per non sbagliare, prima di allontanarsi sfondò anche il cranio di Aristide.

THE TALKING DEAD – EPISODIO 5

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racconto a puntate

episodio 5

 

– Si allontani. Per favore, vada via.

Non aveva certo bisogno di un invito scritto, quindi quell’esortazione pronunciata con voce resa incerta dal rapido ansimare di Aristide ottenne sull’uomo l’effetto contrario a quello desiderato.  Interruppe il proprio retrocedere, rivolgendosi al custode del cimitero senza staccare gli occhi dalle due mostruosità ancora ferme a lato della strada.

– Cosa diavolo sono? Cosa.. cosa pensi di fare, ucciderli con la pompa della bicicletta?,

esclamò, cercando di sublimare almeno una parte della gelida paura che l’attanagliava in rabbia; rabbia scagliata contro il custode, sicuramente colpevole d’essersi fatto sfuggire quella simpatica coppia di cadaveri parlanti. L’idea appariva perfettamente logica all’uomo, salvo trovarla al tempo stesso perfettamente stupida.

– Vada via. Io.. li riporto indietro. Ma vada via.

Una parte di lui aveva tutta l’intenzione di seguire quel saggio consiglio, una parte di lui voleva voltarsi e correre a perdifiato verso il paese, verso il bar più vicino. MA. C’era un grosso ‘ma’.

Una parte di lui non voleva che anche Aristide potesse ascoltare le parole smozzicate ma chiare che la cosa in apparenza donna avrebbe potuto pronunciare: lui conosceva Aristide, ovvio ma Aristide non conosceva lui, come avrebbe potuto? Il custode conosceva molto di più le lapidi che spolverava dei vivi che, di quando in quando, vi sostavano accanto. Comunque, andare a trovare il bambino era stato un errore. “Bambino” e “ucciso” potevano far scattare qualcosa anche nelle sinapsi placide del vecchio impiegato cimiteriale. L’uomo aveva una decisione da prendere e da prendere in fretta.

Fu il cadavere in apparenza uomo ad aiutarlo: all’improvviso, come rivolgendosi ad Aristide, sollevò un braccio indicando nella sua direzione. Pronunciando  di nuovo l’accusa.

…ggghllui… mgglluilui.. uhccisooh… ggghbbahmbinoooh..

Mentre Aristide lo fissava, l’uomo mise mano alla tasca posteriore dei pantaloni, prendendo il coltello a serramanico.

THE TALKING DEAD – Episodio 4

THE TALKING DEAD

racconto a puntate

episodio 4

 

Sì, non c’erano dubbi: aveva detto “bambino”. Quella cosa orrenda aveva pronunciato una parola, male e gorgogliando ma l’aveva pronunciata. Proprio quella parola. Un caso. Doveva essere un caso. O forse no. O forse sì. Magari la sua immaginazione: l’uomo s’accorse all’improvviso d’essersi bloccato sulle gambe, le braccia abbandonate lungo il corpo, la catenina penzoloni nella mano. Il crocefisso cullato lievemente dalla brezza serale.

L’orrore lo osservava da meno di due metri di distanza, sempre con quella testa decomposta e infestata da larve e insetti curiosamente piegata di lato. Anche l’altro orrore, quello maschile, con quel ridicolo e consunto doppiopetto nero, lo stava osservando; con occhi fissi e vitrei, divorati dalla cataratta e dalle larve. Di colpo, l’uomo si rese conto che entrambe quelle cose indossavano abiti che ricordava d’aver visto solo in qualche vecchia foto di famiglia. I suoi genitori, si vestivano in quel modo.

Quelli non erano i suoi genitori ma la donna-cadavere aveva detto “bambino”, come se sapesse. Lo stavano fissando come se tutt’e due sapessero; peggio ancora, sembravano aspettare che lui dicesse qualcosa. Contro ogni logica e persino contro la sua stessa volontà, l’uomo parlò.

– Chi siete? Cosa volete? Che ne sapete del bambino?

Nuovamente, fu la donna a parlare, muovendo la testa come se i tendini marciti del collo avessero sostituito le corde vocali. Più che pronunciare parole, le esalò, accompagnandole con gesti spastici delle mani che sembravano voler sottolineare la sua defunta disapprovazione.

– gggmmbbhh.. biinoh.. bbbaahm.. biinooh.. ggh.. uhh.. uccisooh.

Ho bevuto, si disse l’uomo. Ho bevuto prima, senza rendermi conto di quanto possa avere ingurgitato e adesso vedo cose che sono soltanto nella mia testa, pensò trovando improvviso sostegno in quella così precisa e ampia spiegazione.  Un vero conforto. Spazzato dal rumore afono dei freni da bicicletta.

Si girò, già avvertendo il raggelante flusso della paura diffondersi nel sangue, antidoto malato alla sicurezza della presunta allucinazione: quel suono era troppo, troppo reale;  e non era tutto: riconosceva la persona dal respiro affannato appena smontata dal sellino, comprendeva perfino il motivo assolutamente logico per il quale si trovava lì.

Era il vecchio Aristide, il guardiano del cimitero.