Diario di viaggio, grazie, sì.

Renzi diario di viaggio USA

Ascoltate il diario di viaggio USA del Premier Renzi. E’ probabile che, come me, a 0:55′ non ne possiate già più – e dura 4:05′. Ne vale la pena, comunque: il Premier traccia un bilancio del suo viaggio negli Stati Uniti; un viaggio che, solo l’altro ieri, quando il centrosinistra ancora ragionava e si poneva dubbi, sarebbe stato accolto da una valanga di critiche. La visita ai sancta sanctorum della tecnologia e dell’industria USA (alle cui fortune, chissà, contribuisce in qualche modo la storica mortificazione del meglio della nostra industria informatica e automobilistica); il riferimento all’operazione “Mare Nostrum” e ancora più quello alle Nazioni Unite come se l’una e l’altra fossero, in questo momento, risposte sufficienti ed esaurienti ai problemi che sono chiamate ad affrontare. E la beatificazione di Sergio Marchionne, la cui biografia aggiornata, oramai, contiene soltanto il capitolo Fiat-Chrysler: e anche quello, depurato di tutte le ombre.

Non mancano i momenti cult, cominciando dalla pronuncia di “Yahoo” che diventa quasi il marchio di una nota casa produttrice di yoghurt; e le due citazioni “doc” per arricchire il discorso. Della prima, la sola nota d’interesse è che appartiene a Giorgio La Pira, storico sindaco di Firenze: per carità, siamo italiani, non facciamoci mai mancare un po’ d’aria di casa (non si sarà anche portato la pasta, negli States?) . La seconda, che vorrebbe essere la summa non soltanto del viaggio ma di tutti il Renzi-pensiero nonché manifesto dell’azione di governo, una frase di Dag Hammarskjold, segretario generale dell’Onu dal 1953 al 1961, quando morì in un incidente aereo mentre si recava in Congo per risolvere la grave crisi politica in corso (mi tengo la dietrologia per un’altra volta):

“Al  passato, grazie. Al futuro, sì”.

Detta dal defunto segretario Onu, ha un senso preciso e profondo. Detta dall’uomo del cronoprogramma, dei cento giorni che diventano mille, delle segreterie alle sette del mattino, beh, suscita un dubbio: e per il presente?

YAKU’!

Paranoid

Dunque, vediamo: durante le ultime presidenziali americane, uno dei più forti argomenti impugnati dall’ala repubblicana e dagli ambienti industriali e finanziari ad essa vicini avverso Barack Obama suonava più o meno così: Obama porterà l’America alla rovina, in quanto non ha intenzione di abbandonare l’Europa al suo destino. Seguiva profluvio di analisi tecniche tutte volte a dimostrare incontrovertibilmente quanto il vecchio continente fosse prossimo al collasso socio-economico. Ora, Obama ha vinto, nonostante questo argomento, nel cuore di molti good guys a stelle e strisce avesse un non indifferente appeal; ha vinto, ed ha mantenuto il punto: l’America non uscirà dalla crisi senza l’Europa.

Detto questo, che succede in questi giorni? Succede che un bravo ragazzo arruolato dalla più famosa agenzia del mondo in qualità di spia, abbia una profonda crisi di coscienza e decida di rivelare al mondo intero l’acqua calda: gli Stati Uniti spiano tutti – ma proprio tutti e lo fanno da anni. Boom. Conquistati i media in ogni ordine, grado e forma, la spia pentita (avete presente cosa deve saper fare meglio di tutto una spia, vero?) si rende invisibile in un terminal che, con buona probabilità, è frequentato più da spie di ogni paese che da comuni passeggeri. Mentre tutti trepidano per la sorte di qualcuno che, forse, lo scrivo giusto perché è un mondo paranoico, sta ancora prendendo ordini, buona ultima in ordine cronologico, l’Europa si adombra e chiede spiegazioni e riparazioni agli Stati Uniti.

Ora, la domandona: (e subito l’aiutino: esclusi i terroristi internazionali, ovvero il motivo ufficiale di cotanto spiare) a chi giova, dunque, se America ed Europa litigano e, magari, i solidi legami globalizzati si allentano un pochino – o decisamente – e la vecchia Europa viene lasciata in balia degli speculatori/sciacalli finanziari più potenti, il cui gotha si trova proprio negli Stati Uniti?

Tranquilli, avete tempo per rispondere. Ma solo se siete paranoici, of course.