THE S.H.I.T. CONSPIRACY (Un Thriller)

Come ogni mattina, il Dottor Robertetti attraversò a passo di carica lo spazio critico tra l’ascensore e la porta del locale bagno. Rosso in volto, già sudato nonostante la temperatura invernale e il non perfetto funzionamento dell’impianto di riscaldamento, spalancò la porta con una mano unticcia mentre con l’altra reggeva in precario equilibrio ombrello portatile, tre quotidiani e un contenitore termico per il pranzo. Facendo irruzione con la stessa grazia di un quarterback con le emorroidi, il “Dottore” (tutti, in quel palazzo, si facevano chiamare così, per default) evitò per poco di travolgere Ahmed, l’addetto alle pulizie: per la precisione fu Ahmed (il cui vero nome non era Ahmed ma tutti, in quel palazzo, lo chiamavano così, per default) a scansarsi con agilità agevolata dalla pratica. Si trattava di un situazione ripetitiva, ampiamente collaudata; la semplice coincidenza tra l’orario abituale di arrivo del funzionario di dodicesimo livello e l’orario di svolgimento pulizie per i locali del primo piano. Ahmed sapeva bene quale fosse l’esigenza primaria del Dottore quindi non si limitò a schivare la porta ma fece addirittura due passi all’indietro pur dovendo spostare anche il carrello con stracci, panni, secchio già colmo d’acqua annerita e spazzolone; con la consueta e innata gentilezza – dopotutto, era laureato e di buona famiglia prima che la guerra nel paese d’origine facesse di lui un profugo – salutò l’arrembante funzionario.

– Buongiorno, Dottor Robertetti!

– Levati dalle palle, devo CAGARE!

Ridacchiando nella sua imitazione di Eddy Murphy quando recita la parte del semi-deficiente, Ahmed lasciò il locale bagno; dentro di sé sapendo che in pochi minuti tutta la fatica per lucidare pavimento e sanitari sarebbe andata perduta. Robertetti non era un normale essere umano con una normale peristalsi, era un tornado F5 la cui potenza rivaleggiava con le peggiori catastrofi climatiche degli ultimi anni; in effetti si sarebbe potuto dire che se esisteva un ‘effetto farfalla’ nell’emisfero occidentale industrializzato, quello era Robertetti. Ahmed fu contento di sentire la porta basculante del bagno richiudersi con un solido “klaa-ak” dietro di lui.

Nel medesimo istante il Dottore fece sbattere in chiusura la porta del bagno maschile, accelerando le operazioni di rilascio cintura e pantalone: con un deciso strattone alle mutande eliminò l’ultimo ostacolo alla partenza del vettore M, giusto in tempo per il fatale comando “ignition” del proprio countdown. L’asse in plastica bianca vibrò ai limiti della propria, limitata, elasticità mentre l’imponente stazza di centotrenta chili per un metro e settanta centimetri scarsi – avvolti come da copione aziendale in giacca e cravatta dell’unica sfumatura di grigio autorizzata, quella più insignificante – s’incastrava nell’ovale come un’astronave alla stazione madre. L’apertura del portello di scarico fu immediata. Dall’esterno, dagli uffici circostanti e persino dal locale di servizio, all’altro capo del corridoio, dove Ahmed stava facendo rifornimento di detersivi, il rumore prodotto dal tornado risultò perfettamente udibile così come il lamento sofferente della farfalla che ne era all’origine.

Come ogni mattina, il Dottor Robertetti si chiese cosa mai avessero fatto di male i suoi genitori per dotarlo di una motilità così precisa e devastante, soprattutto di prima mattina. Dopotutto, erano ferventi cattolici; quel tipo di coppia votata alla fedeltà assoluta e al totale rispetto dei valori. Insomma, come amava dire per sollecitare il facile divertimento dei colleghi (soprattutto dei superiori, ai quali era votato molto più di quanto i suoi genitori non lo fossero a Dio), lui era la prova che mamma e papà almeno una volta nella vita avevano scopato. E siccome non aveva fratelli, il resto veniva automatico. Come il fatto che il DNA familiare non dovesse essere di primissima qualità: insomma, la colpa (se una colpa c’era) non poteva essere sua né, tantomeno, della sobria e salutista colazione che amava ingurgitare al mattino. Caffelatte, marmellata, burro, doppia fetta di pane integrale, quattro biscotti al cioccolato, due bicchieri di succo d’arancia. Tutta roba naturale, tutto bio.

Come bio era il risultato dei suoi sforzi, disposto con bio casualità nel contenitore in ceramica. Ripulendosi con una buona metà del rotolo di carta disponibile, una mano impegnata nella manovra e l’altra sempre, miracolosamente, impegnata a salvare giornali, ombrello e contenitore termico, Robertetti lanciò uno sguardo preoccupato alla cospicua produzione rilasciata: “Merda, qua s’intasa” rifletté armoniosamente, ignaro d’avere concepito un pensiero girevole, funzionante anche al contrario. La riflessione successiva, distintiva del suo carattere, fu “Chissenefrega. Tanto pulisce quel negro di merda, coso, come si chiama… Ahmed. O Abdallah. Fanculo”.

Soddisfatto della propria capacità e velocità di problem solving, schiacciò il tasto basculante dello scarico.

E quello fu l’inizio della tragedia.

(continua dopo lo scarico)

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Nato a Milano nel 1960, diploma di Ragioniere, dal 1981 dipendente di quello che attualmente è uno dei principali gruppi bancari europei - questo, per la superficie. Al di sotto (o di lato), prova a scrivere e disegnare fumetti, sceneggiature per corto e lungometraggi, fino a quando la (quasi per gioco) partecipazione ad un concorso letterario estero per racconti brevi si conclude con un successo: primo premio al 1° Concorso Internazionale di Letteratura Fantastica della Repubblica di San Marino (1997), successo ripetuto nella terza edizione (1999). Più difficile essere profeti in Patria ma dopo debita serie di tentativi a vuoto pubblica il primo full-lenght (romanzo, insomma) nel 2004, "Extreme Defence" cui fa seguito, a maggio 2012 un prequel: "Extreme Defence: Sandriders" (Caosfera Editore). A luglio 2012 ripubblica "Extreme Defence" in versione e-book - e non solo perchè possiede già da anni un Kindle.