Evolvendo

Giuliano Poletti

Non c’è dubbio: il nostro paese sta cambiando, si sta evolvendo. E’ un’evoluzione talmente rapida e concitata da produrre in più d’uno un curioso “effetto giostra”, una vertigine – insomma: un momento di confusione. Si spiega, quindi, perché oggi Sua Eccellenza il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, On.Giuliano Poletti, già presidente di Legacoop Nazionale, a margine del suo mancato intervento al XVI Congresso nazionale della U.I.L., abbia ritenuto di esprimere il proprio giudizio sull’indizione di uno sciopero generale in questi termini:

«Ho già detto in generale, rispetto alle motivazioni portate che sui temi della legge di stabilità e del Jobs act ritengo non ci siano le motivazioni per una decisione così importante come lo sciopero generale. Le organizzazioni si prendono la responsabilità di ciò che decidono» (fonte).

Fermo fotogramma: opinione legittima e rispettabile, interlocutore autorevole, puntualizzazione decisa e chiara. Troppo decisa e chiara: nello slancio, forse provato – ancorché da spettatore – dall’ennesimo rollercoaster assembleare del Patimento Duodenale, S.E. il Ministro si fa sfuggire quel “ritengo..” COME SE fosse mai spettato – o spettasse da oggi, dopotutto il nostro paese si evolve, va veloce – al Governo valutare la sussistenza di opportune e gravi ragioni per indire uno sciopero. In un Paese Democratico, ove si tratti di difesa dei Lavoratori e dei diritti, spetta alle Organizzazioni Sindacali, questa valutazione: dissentire dalle ragioni non deve far perdere di vista questo punto formale e sostanziale. Per capirci meglio: S.E. il Ministro troverebbe corretto se un sindacato (o, orrore!, un partito, fosse anche il Perpetuo Dibattere) stabilisse per Lui i criteri guida del suo Ministero? Lo considererebbe spirito di servizio o una plateale invasione di campo?

Il paese. intanto, evolve. Rapidamente. Non sarà dunque lontano il giorno felice in cui, per convocare uno sciopero, occorrerà prima ascoltare il parere della Protezione Civile, trattandosi infatti di masse in movimento incontrollato. La Democrazia è importante.

Ma, hai visto mai che esondi?

NO FAIR-PLAY

Domattina, gli sportelli bancari riapriranno secondo il consueto orario. Lo sciopero dello scorso 31/10, secondo i dati pubblicati dalle organizzazioni sindacali, è pienamente riuscito, con una percentuale di adesione che oscilla tra l’85 ed il 90%. Domattina, tuttavia, non sarà il caso di riprendere come se nulla fosse o come se il peggio fosse passato. Una citazione illuminante, da un articolo comparso sul tri-quotidiano “Nazione/Carlino/Giorno” lo scorso 27/10:

“Inoltre il totale delle ‘sofferenze’ bancarie, sempre a Giugno, ammonta a quasi 133 miliardi di euro. Si tratta di numeri giganteschi, davvero impressionanti, che rendono molto evidente un fenomeno ormai di massa, sociale, e che rischia, se non arginato con misure urgenti e strutturali, di schiacciare l’economia produttiva italiana di ogni genere, dalle imprese manifatturiere, alle famiglie, alle banche che sono più che mai strettamente connesse in questa grave crisi”.

Affermazione precisa, documentata, condivisibile. MA. Chi ha scritto questo inciso? Un economista liberale pentito? Un sindacalista di base? Un pensoso editorialista progressista? Chi parla di “fenomeno ormai di massa, sociale” che può schiacciare l’economia del paese? Risposta: il Dott.Antonio Patuelli, editorialista del giornale MA ANCHE Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (ed in tale veste, firma l’articolo).

Peccato che, nella stessa veste di Presidente dell’ABI, voglia aggiungere 19.000 unità familiari al numero già alto che compone un terzo delle vittime della crisi (gli altri due terzi, come enunciato sono imprese e banche). 19.000 unità familiari il cui costo ABI vorrebbe scaricare magari interamente sullo Stato, attraverso il ricorso alla cassa integrazione. Come se poco più di un anno fa non si stesse discutendo della cifra di 1.500.000 euro necessaria (ma introvabile) per confermare la CIG dei successivi sei mesi..

Una contraddizione davvero originale, focalizzare il problema da un lato ed aggravarlo dall’altro. Certo, l’articolo è di quattro giorni antecedente allo sciopero; è facile tuttavia prevedere che anche con il 92% di filiali chiuse, ABI voglia proseguire su questa ecumenica strada di smantellamento del settore, mostrando pubblicamente la faccia seria e quasi rattristata al pensiero della grave crisi sociale mentre, sul fronte interno, procede a colpi di machete, sempre sociale, per recuperare liquidità.

Per questo, domattina, si riaprirà secondo i consueti orari MA con la consapevolezza che la discussione è appena iniziata e di iniziative di sciopero ne dovranno seguire altre – e non solo: urge chiamare in causa il terzo, indispensabile attore, l’arbitro. Il Governo. O il Ministero dell’Economia e delle Finanze è già lietamente disposto ad accollarsi un altro grave costo? Peraltro, pur invocando l’intervento dell’arbitro, sia chiara una cosa: insieme al contratto, è disdetto anche il fair-play. Solo entrate a gamba tesa: se prendiamo palla, è meglio.

Il come della Rosa

E’ possibile che nei presidi organizzati già da domani dalle rappresentanze sindacali dei bancari, a sostegno della giornata di sciopero del 31/10, venga offerta ai passanti, oltre al volantino esplicativo delle ragioni della protesta, anche una rosa.

Un omaggio floreale che i media hanno già ribattezzato “operazione simpatia”, senza sapere, forse, di cogliere un nervo scoperto delle nostre organizzazioni di categoria: sì, perché per quanto brutta s’andasse facendo, negli ultimi venti anni, la situazione all’interno, parlarne al di fuori, spiegare non solo le nostre ragioni ma la progressiva involuzione del settore e del lavoro, era un tabù. Proibito. Sbagliato. Ed infatti. Il nostro contratto sta per essere definitivamente sepolto grazie anche all’assordante silenzio dei grandi comandanti succedutisi via via nelle rispettive plance nazionali.

E non soltanto il loro. Perché, in effetti, proprio così impermeabili e invisibili non siamo: c’è chi ci vede ogni giorno, chi vede in quali condizioni siamo chiamati ad operare e quali responsabilità gravano sulle nostre spalle – a cominciare da quella sacrosanta normativa antiriciclaggio che piace a tutti finché non bisogna firmare un questionario. Sono gli utenti, è la comunità, il territorio. Forse che questo ha cambiato, in quegli stessi maledetti venti anni, l’immagine sprezzante e pregiudiziale con la quale veniamo descritti? No, noi siamo sempre quelli che non fanno un k@##o tutto il giorno, che escono alle cinque dopo essere arrivati in ritardo, che se ne fregano dei problemi del popolo – e via declinando lo sciocchezzaio comodo e strumentale.

Anche questo, ci ha portati qui: deboli all’interno e deboli all’esterno. Malvisti all’interno delle grandi confederazioni sindacali (vuoi mettere quante tessere portano i pensionati? Vuoi vedere che è per questo che i sindacati sono tanto favorevoli agli esodi?); malgiudicati, per pigrizia mentale, da quel territorio che pure da noi pretende quell’impegno che non è disposto a riconoscerci. Così, per ennesimo misunderstanding, le OO.SS. reputano, senza arrossire, che dobbiamo rifarci un’immagine e che per questo basti, galantemente, offrire una rosa. Vorrei dissentire, non tanto sull’eleganza di un omaggio, sul come; quanto sulla scelta, il cosa.

Più che le rose, troverei appropriati i carciofi.

Alcune piccole differenze

Il testo qui allegato sintetizza con efficacia gli scopi che ABI si è prefissa con la disdetta anticipata del Contratto Nazionale dei bancari: un autentico colpo di mano, la più totale dequalificazione di una professione che richiede etica, esperienza, competenza e qualità umane. Nelle intenzioni di ABI, invece, solo chiacchiere e distintivo.

E’ una vera e propria dichiarazione di guerra; se non sapremo rispondere come lavoratori e come categoria, sarà la nostra Pearl Harbour. Solo che non ci daranno tutto quel tempo per riprenderci.Contratto si – Contratto no – cosacambia

CHI OSA LA CHIOSA

“I lavoratori bancari vogliono partecipare al risanamento del Paese. E i banchieri?

Quali comportamenti credibili intende proporre ABI per modificare un sistema che
ha impoverito le famiglie, non sostiene le imprese, il territorio e che,
contemporaneamente, arricchisce personaggi di dubbia eticità, generando crediti
divenuti inesigibili che, in troppi casi, stanno affondando nelle sofferenze gli stessi
istituti di credito?”

E’ la conclusione del volantino che verrà distribuito nelle giornate del 30 e del 31 p.v. durante i presidi organizzati a sostegno dello sciopero nazionale dei bancari; nel testo che precede vengono illustrati in sintesi gli obiettivi, durissimi, che ABI si propone di raggiungere con questo attacco frontale a ciò che resta di un sistema di diritti e garanzie acquisiti. La conclusione, tuttavia, non conclude – anzi, contraddice; dimostrando altresì il ritardo conflittuale, la difficoltà strategica e la subalternità culturale delle rappresentanze sindacali. Perchè? Punto per punto:

– “I lavoratori bancari vogliono partecipare al risanamento del Paese”: correzione, i lavoratori bancari HANNO GIA’ partecipato al risanamento del Paese; la grave crisi finanziaria del 2008 avrebbe avuto effetti ben peggiori, sulle famiglie come sulle aziende, senza il senso di responsabilità e l’etica (la propria, non quelle delle aziende) di migliaia di colleghi che hanno fatto tutto il possibile con i mezzi dati. Lo riscrivo: tutto il possibile con i mezzi dati. In queste circostanze, quando ci si fa in quattro per salvare il rispetto delle normative, estendere le opportunità di accesso al credito e salvare chi non arriva alla terza settimana o chi non riesce a pagare i fornitori, il prezzo da pagare è l’esaurimento nervoso. Chi scrive che i lavoratori “vogliono partecipare” come se fosse un’impeto nuovo, non mette piede in agenzia da troppo tempo e non legge neppure le statistiche ufficiali sulle malattie;

-“(..) modificare un sistema che ha impoverito le famiglie”, etc. Idem come sopra, con l’aggravante della disattenzione: all’interno del “sistema” ci sono migliaia di lavoratori che quel “sistema” non condividono, cercando, pur nel rispetto delle regole, di attenuarne le storture. Insistere nel parlare di “sistema” delle banche non è soltanto un’involontaria (spero) contraddizione ed indifferenziazione, è anche l’anticamera dell’accettazione di tutto lo stupidario demagogico e populista – di gran voga, ormai, soprattutto in rete – contro il quale da sempre ci battiamo proprio con la nostra serietà e responsabilità di lavoratori;

– “(..) generando crediti divenuti inesigibili”, etc. Ancora in tema di distinguo e di criteri fondamentali: non sono le banche a prendere decisioni in materia macroeconomica, questo è e deve restare compito primario della politica; dove la politica latiti o non persegua gli interessi del Paese o riveli manifesta incapacità, non possono che conseguire storture e comportamenti aberranti. Questo non significa giustificare ma assegnare a ciascuno le proprie responsabilità: la tesi secondo la quale i “banchieri” hanno fatto tutto da soli è falsa e fuorviante. La Storia (politica, sociale ed economica) non può essere ridotta al Bilderberg.

Conclusione della conclusione: così come è tempo di dimostrare quella compattezza, e quella capacità di lotta e di antagonismo che sono spesso mancate in passato (e sovrapporre un giorno di ferie al giorno dello sciopero NON E’ utile, ai fini di una sacrosanta rivendicazione), parimenti è tempo di liberarci da vecchi e stupidi pregiudizi e rivendicare con forza il nostro ruolo attivo, i sacrifici di anni, l’attenzione e la cura che abbiamo sempre riservato alla nostra clientela. La perfezione non esiste, le mele marce ci sono in ogni cesto: ma questo non deve significare consegnare il nostro lavoro e la nostra professionalità alla cieca furia del pregiudizio – altrimenti nota come alibi di chi nasconde le proprie responsabilità ed interessi nella difesa aprioristica e acritica del “povero utente”.

L’Impero colpisce ancora

L’Associazione Bancaria Italiana ha disdetto unilateralmente il contratto nazionale di categoria, ratificato nello scorso gennaio 2012. Una prima precisazione: il contratto non aveva scadenza 30 giugno 2014 come riportato dai media;  quella data fa riferimento alla scadenza tecnica di due anni che le parti si sono date da quando la durata effettiva del contratto stesso è stata elevata da tre a quattro anni. A quel termine prestabilito si ridiscute, ove necessario, solo la componente economica dell’accordo (insomma, in parole povere, l’adeguamento delle retribuzioni alle mutate condizioni economiche generali). Dunque, non sussiste, come sostenuto da ABI, il rispetto dei termini previsti per la disdetta contrattuale, se non, per l’appunto, con un cavillo tecnico: in realtà, è una precisa scelta politica, basata su una tempistica ai limiti dell’incoscienza. Difatti, l’ultima cosa che serve all’attuale Governo è un ulteriore fronte di malcontento sociale; per non parlare dell’eventualità (che certo non io auspico) che venga a mancare il Governo stesso, interlocutore di fondamentale importanza nell’eventuale trattativa (nonché probabile destinatario della richiesta ABI di intervento per coprire i costi sociali di nuove, pesanti “uscite” dalla categoria).

Di particolare durezza le parole di Francesco Micheli, presidente del comitato affari sindacali dell’ABI (riporto testualmente dal Corriere della Sera di oggi): “Il punto non sono le voci del Tfr ma un sistema che non è più sostenibile. Solo un esempio: Internet ha ridotto le transazioni del 50%. Dobbiamo trovare il coraggio di innovare introducendo nuovi mestieri. La consulenza va portata al cliente  fino a casa. Bisogna creare un maggior legame tra retribuzioni e risultati. E sempre più sarà necessaria flessibilità sugli orari di lavoro”.

Più che una dichiarazione, una piattaforma; alla quale mi auguro che la categoria e le rappresentanze sindacali sappiano dare adeguata ed altrettanto dura risposta. Basata magari su questi, concreti argomenti, nello stesso ordine di quelli enunciati dal presidente Micheli: 1) se il sistema non è più sostenibile, non lo si deve certo alle retribuzioni; 2) Internet non ha ridotto l’affluenza agli sportelli del 50%, l’affluenza é ridotta (dove è ridotta) perché l’utenza non ha liquidità da investire né altri motivi attraenti (vedi facilità di accesso alle forme di finanziamento o sostegno alle situazioni di difficoltà, che pure ci sono) per presentarsi ai nostri sportelli. Magari sarebbero da evitare costosi e fuorvianti spot pubblicitari, per una comunicazione meno penosamente ”simpatizzante” e più concreta; 3) Nuovi mestieri – e quali? I call center in videoconferenza  non sembrano proprio  “nuovi”  e se  comunque è questa  la  scelta  delle Banche che venga almeno normata  decentemente; 4)  La consulenza  viene già portata a casa del Cliente,sin dagli anni ’80;  5) Retribuzioni  e  risultati? Intende forse legare gli appannaggi di presidenti, a.d. e dirigenti di alto livello esclusivamente al risultato d”esercizio?;  6) Gli  orari sono  già  stati flessibilizzati nei  precedenti contratti: abbiamo le  notti, l’orario continuato, l’apertura  fino  alle  20  ed  al sabato. What  else??