Message In A Bubble

Unità_De Mattia_Bancari_26042014

Messaggio in una bolla, una bolla scoppiata già da molto tempo: come recita il titolo dell’eccellente articolo che allego, “Crisi e tagli, come cambia lo ‘status’ del bancario”, è ora di lasciar perdere le vecchie, comode ed irrimediabilmente ingiallite fotografie di 30 anni fa ed accorgersi, ad occhi ben aperti, di quanto e come è cambiato il settore bancario. Di quanto e come (ed in peggio) è mutato lo ‘status’ del bancario. Non aggiungo altro perché condivido parola per parola l’articolo a firma Angelo De Mattia, pubblicato da L’Unità: per una volta, un’analisi scevra da pregiudizi e luoghi comuni; uno sguardo a 360° a tutte le problematiche del settore; e una serie di importanti osservazioni che smontano i facili alibi con cui le Banche vorrebbero in questo momento assestare ai lavoratori l’equivalente di un vero e proprio colpo di grazia normativo e salariale.

P.s.: l’accuratezza dell’articolo e l’evidente conoscenza della materia mi hanno incuriosito. Mi sono posto il dubbio se l’estensore sia un giornalista professionista o un ‘addetto ai lavori’. Ho provato a fare un paio di ricerche in rete e l’unico Angelo De Mattia nel quale mi sono per ora imbattuto è nientemeno che l’ex-Direttore Centrale della Banca d’Italia ai tempi di Antonio Fazio, nonché segretario particolare del Governatore stesso. Se è lui, non provateci neppure a dire che non sa quel che dice: è stato anche Segretario Generale aggiunto della Fisac-CGIL. Reggatta De Bank.

Non vogliamo farci fregare di nuovo (Won’t get fooled again)

“Come un flash di agenzia ecco la notizia: a Roma ABI e le Organizzazioni Sindacali hanno formato l’accordo sul nuovo Fondo di Solidarietà , meglio conosciuto come Fondo Esuberi. Contemporaneamente ABI ha ritirato la disdetta del contratto , che certamente ricorderete aveva dichiarato negando la ultrattività del medesimo il 16 settembre. In quella data si aprì la fase conflittuale in categoria, culminata nel riuscitissimo sciopero del 31 ottobre scorso, che ora, è evidente, ha prodotto i propri frutti. Il 28 febbraio 2014 è già fissato il primo incontro tra ABI e OO.SS sul contratto nazionale. Buone feste a tutti e a tutte”.
Questo, uno dei primi comunicati di ieri: un risultato importante ma, tutto sommato, anche un bel brodino tiepido. La disdetta del contratto è soltanto rimandata in senso temporale e c’è da supporre che richieste ed intenzioni di ABI rimarranno invariate; l’accordo sul Fondo Esuberi altro non è che la riconduzione alla Legge Fornero – una legge dello Stato – come doveva essere. Ancora rimandata, anche all’interno delle OO.SS., una riflessione sulla reale necessità ed opportunità di continuare sul binario delle continue uscite.
Nel frattempo, osservando il rimando al (o entro) 28/02/14, le condizioni di lavoro continuano a peggiorare QUOTIDIAMENTE. Non soltanto perché la misura è colma; soprattutto, perché le risorse (di buona volontà, di resistenza, di intraprendenza) sono oramai depauperate. La pazienza è finita, le energie sono prosciugate e non è il massimo alzarsi ogni mattina con l’obiettivo di farsi il minor male possibile. Tutto questo si riflette nella qualità del lavoro – mentre la quantità continua ad aumentare – e nel rapporto con una clientela che scarica su di noi, ovviamente, anche quanto non ci compete. Il “credit crunch” non è responsabilità di chi lavora per consentire a questo paese di arrivare almeno alla terza settimana; viceversa, è l’eredità lasciata (ma è una ricorrenza storica) da chi, nel mondo politico in primis, ha pensato soltanto a truccare i conti, ad abolire il falso in bilancio, a scambiare il principio contabile di “competenza” per quello di “cassa” ed a “indebitare il sistema” per far “ripartire i consumi”: distribuire fondi a pioggia, indiscriminatamente, facendo credere che la cornucopia sarà sempre piena, è proprio il miglior modo per preparare una crisi, pesante e duratura. Ma tant’è. Quando lo dici, nessuno ti crede – finché il denaro gira.
Una conclusione? L’allarme deve restare alto, la mobilitazione forte, la partecipazione attiva e le teste sulle spalle. Dobbiamo incalzare i sindacati di categoria perché non si accontentino di questa semplice stretta di mano, perché occorre più che mai invertire la rotta. Se qualcuno deve uscire da questo settore, che siano i vertici collusi, inerti e – ciò che è davvero imperdonabile – inefficienti.
Per quanto mi riguarda, la musica è ancora la stessa, questa:
http://youtu.be/LjA_RtsBfAo

La versione di McKinsey

[banner network=”altervista” size=”300X250″]Un amico mi segnala questa intervista a  Itzhak Yoram Gutgeld, consigliere economico del neo-eletto segretario nazionale PD, Matteo Renzi. Ricordato che, in precedenza, Gutgeld è stato senior partner e direttore di McKinsey & Company fino al Marzo 2013, Vi raccomando la lettura di questo intervento, soprattutto prima di addentrarVi nei commenti che posterò qui di seguito, rispettando l’ordine degli argomenti presentati nell’intervista. Buona lettura.

“(..) un mercato del lavoro duale, composto, da un lato, da una fascia di iper-protetti e, dall’altra, da giovani condannati a una precarietà assoluta.”. Perché usare il suffisso ‘iper’ che identifica dimensioni superiori al necessario? Non è così, stiamo parlando di conquiste maturate in anni, attraverso sacrifici e lotte; conquiste che cercano di realizzare l’ideale stato di garanzia, di sicurezza e di dignità che deve essere riconosciuto ad ogni singolo lavoratore. O pensiamo che i lavoratori della Thyssen, regolarmente assunti, fossero “iper”-garantiti?

“(..) non si tratta di abolire il contratto a tempo indeterminato, né di porre fine alle tutele di chi ce l’ha, in quanto questo nuovo contratto «indeterminato flessibile» varrebbe soltanto per i giovani.”. Gutgeld non vuole abolire l’art.18, lo vuole ‘soltanto’ sterilizzare, stabilendo fin dall’inizio un indennizzo in caso di licenziamento. Il principio della giusta causa e il deterrente del reintegro nel posto dal quale si è stati allontanati sono le uniche barriere avverso la ‘mano libera’ delle aziende nei licenziamenti. Inutile girarci attorno: sappiamo come le aziende interpretano il tema del licenziamento: a rimetterci, sarebbero i dipendenti ‘scomodi’, ovvero quelli che non aderiscono all’ideologia aziendale o che denunciano condizioni di lavoro difformi dalla norma;

“(..) garantire alla persona che perde il posto di lavoro sia un sussidio di disoccupazione adeguato sia la possibilità di riqualificazione professionale.”. Un po’ di flexicurity non guasta, anzi ci mette tutti d’accordo: il guaio – a parte non menzionare quel noioso problemuccio della copertura di spesa – è la differente tempistica: per realizzare un mercato del lavoro flessibile ed aperto che consenta non solo di recuperare in fretta il posto perduto ma anche, attraverso una formazione mirata, di acquisire una professionalità del tutto differente, richiede tempo ed impegno. Nel frattempo, ‘sterilizzato’ l’art.18 con la proposta di cui sopra, partirebbero i licenziamenti. Subito.

“(..) non si tratta di abolire il contratto a tempo indeterminato, né di porre fine alle tutele di chi ce l’ha, in quanto questo nuovo contratto «indeterminato flessibile» varrebbe soltanto per i giovani.” La domanda è naturale – ed infatti, l’intervistatore la pone: sì, ma fino a quale età? Attenzione alla risposta: “Renzi non si è mai addentrato in dettagli di questo tipo, il suo scopo è lanciare un’idea e poi lasciare che la politica ne discuta.”. Scherziamo? E’ logico, naturale e doveroso che la politica tutta ne discuta MA l’onere di dettagliare la proposta, di sostanziarla con cifre e fatti, è IN PRIMIS di chi la lancia. Che succede, nel manuale della McKinsey manca la pagina “età per essere indeterminati ma flessibili”? Provate su Wikipedia..

“(..) Occorre inoltre intervenire sul sistema complessivo di formazione professionale, che oggi spesso lavora più per i formatori che per gli studenti.”. I dati, gli stessi citati da Gutgeld, ci dicono che occorre riformare e rilanciare i Centri di Lavoro. Tuttavia in questa frase finale l’accento non sembra cadere sulla riforma strutturale, quanto su una questione di produttività: insomma, sono i formatori che non rispettano il budget. Magari, con un bel contratto “indeterminato flessibile”, si possono licenziare. Sempre in attesa di un mercato del lavoro che assorba e perdoni i nostri esperimenti a tavolino.

Solo un’intervista? No. Un passaggio del discorso di Matteo Renzi all’odierna assemblea nazionale del PD: “Non si può discutere per 10 anni sull’articolo 18, mentre si dimezza l’attrattività degli investimenti esteri. Noi dobbiamo dire che tutti coloro che perdono il posto di lavoro, hanno diritto a un sussidio universale. O il Pd torna ad essere il partito del lavoro, o perdiamo la nostra identità. Secondo i sondaggi siamo il terzo partito tra gli operai, tra i precari e i disoccupati, non solo tra le partite Iva. Dobbiamo ragionare su questo punto. Dobbiamo entro un mese presentare un progetto di legge per semplificare le regole del lavoro e degli ammortizzatori sociali.”

Indeterminato e flessibile nelle argomentazioni, come la sua proposta: dove attingere per coprire l’onere del sussidio universale? Ma certo, lo dirà qualcun altro; il Segretario Nazionale nonché Sindaco si limita a “lanciare le idee”.

Le lancia in aria e poi grida “pool!”

 

 

 

Aoxomoxoa

A volte, proprio non capisco. Ad esempio, la frase seguente – tratta da un comunicato della Direzione Nazionale dell’Importante Sindacato al Quale Sono iscritto (minuscolo, l’iscritto non è sostantivo) – è sicuramente pregna di significati ma non riesco a coglierli:

“Una piattaforma (..) che abbia al centro le tematiche e le contraddizioni che la fase propone: • la difesa dell’occupazione con al centro la stabilità del lavoro, anche in rapporto all’allungamento degli orari di lavoro ed all’affermarsi delle nuove reti di distribuzione. Su questo versante diventa importante la definizione di un percorso preferenziale per le nuove assunzioni, che dia la precedenza a tutti i lavoratori e le lavoratrici bancari che hanno perso o perderanno il posto di lavoro, con particolare attenzione alle piccole-medie aziende (..)”

Dice, destruttura che è tutto più chiaro. Ed io destrutturo:

1) “la difesa dell’occupazione con al centro la stabilità del lavoro”, frase palindroma: se scrivete “la stabilità del lavoro con al centro la difesa dell’occupazione”, è lo stesso. Ad ogni modo, tenetela lì un attimo;

2) “un percorso preferenziale”, ecc. – Frena, frena: grande preferenza per le nuove assunzioni ma se diamo la precedenza ai bancari (‘tori o ‘trici che siano) che facciamo, riassumiamo gli stessi? Ma soprattutto:

3) non avevamo detto “la difesa dell’occupazione con al centro la stabilità del lavoro”? (eccola!). Se difendo e stabilizzo, chi è che perde il posto di lavoro? O sono io che mi sono perso qualcosa? Dopo di che:

4) “particolare attenzione alle piccole-medie aziende”, bancarie, I suppose: perché se sono le PMI siamo fuori argomento e fuori contratto. Tanto, non c’è più il contratto che però, quando c’era, valeva per tutti a prescindere dalle dimensioni: e qui, capisco. Se fanno sparire me, che lavoro in una grande-grandissima azienda, mi si nota di meno – anzi, non mi si nota. Però, io sto nei guai lo stesso, come un collega PMI.

Destrutturato, è destrutturato. Il periodo (inteso come frase), tuttavia, continua a restarmi oscuro, proprio come il periodo (inteso come momento storico) rimane da Medio Evo; con l’unica prospettiva, saltando qualche fase storica, d’approdare subito alla Guillotine dei tagli ai posti di lavoro: discuti discuti comunica comunica, stiamo sempre a parlare di esuberi. Di esodati. Di uscite. Com’é possibile?

Perché “la difesa dell’occupazione con al centro la stabilità del lavoro”, per quanto palindroma, è aritmica con tutti quanti “hanno perso o perderanno il posto di lavoro” e, peggio ancora, proprio non si coniuga con la difesa della sanità, mentale e fisica, di chi – eventualmente – resterebbe, aggrappato ai remi, a cercare di mantenere la nave a galla. Non parliamo di tenere la rotta.

Ma sarò soltanto io, che non capisco.

(n.b.: se scrivete invece “cercare di mantenere la rotta. Non parliamo di tenere la nave a galla”, beh, SEMBRA palindromo. Ma sembra solo).

PUNTI DI CADUTA

Riporto da una recente intervista di Agostino Megale, segretario nazionale Fisac-CGIL, a La Repubblica:

Perché è così urgente l’accordo sul Fondo?
“Perché la disdetta del contratto dell’Abi ha impedito di raggiungere l’accordo e ora c’è tempo solo fino al 31 dicembre, altrimenti salterà per sempre quell’ammortizzatore sociale che ha permesso finora di affrontare gli esuberi e i momenti di difficoltà del settore, che non sono certo destinate a rientrare”.
Quali numeri si aspetta per il futuro?
“Tra il 2011 e il 2012 sono stati fatti accordi per l’uscita di 19 mila lavoratori entro il 2015 e ulteriori 5 mila se ne potrebbero aggiungere nel 2013, con il nuovo piano Mps”.

Accidenti. Avevo capito male, credevo che l’uscita dei 19.000 fosse una richiesta di ABI; sembra invece, leggendo questa dichiarazione, che si tratti invece del consuntivo degli accordi raggiunti, poco a poco, negli ultimi anni. Quindi, comunque, 19.000 (forse, 24.000) usciranno. Perciò, le organizzazioni sindacali si preparano a dare battaglia su un argomento e forse uno solo: il Fondo di Sostegno, unica giustificazione per il via libera alle uscite. Ecco il punto di caduta: siamo pronti ad anticipare il pensionamento di una classe di lavoratori ancora perfettamente in grado di dare il proprio contributo (che poi lo vogliano o meno, questo è altro. E comunque, non è in discussione..), in cambio del giusto sostegno economico, magari in parte (congrua) a carico dello Stato.

Non trovo giusto pensare che questa sia l’unica battaglia. Non trovo giusto, da molti anni, lasciare che il manovratore guidi indisturbato in quanto così ci è garantito un percorso confortevole. Preferisco qualche curva brusca e magari qualche ripida salita ma voglio disturbare il manovratore e fermare questa corsa allo smantellamento del lavoro bancario: ciò che è stato ampiamente sperimentato nell’industria, viene ora perfezionato nel nostro settore. Riflettiamo un attimo: altri 19.000 esodi – e chi resta? Quali scenari si aprono con meno addetti e carichi di lavoro (e responsabilità) che già oggi sono soverchianti? Quale qualità del lavoro, posizionamento sul mercato, presidio del territorio con sempre meno agenzie aperte? E chi coprirà, e come, i nuovi, prolungati, orari, senza assunzioni?

E’ tempo che anche le OO.SS. si scuotano da questo torpore relazionale, da questa subalternità formale: basta attendere piani aziendali (già messi in pratica ben prima di essere presentati), basta attendere consuntivi di ristrettezze al netto dei pingui bonus riservati alle alte – e meno – dirigenze. Questa è la battaglia finale, questo è l’ultimo fronte: lasciare, ancora una volta, il palco alla ABI-band sarebbe la nostra linea Maginot. E’ in gioco il futuro del settore, del nostro lavoro – il nostro futuro tout court, che si resti in produzione o che si venga, graziosamente, accompagnati all’uscita.

E’ in gioco, infine, il futuro del sindacato: se non sapremo interpretare il momento e recuperare forza e strategie adatte al passaggio, il declino degli ultimi venti anni arriverà al suo punto finale, consegnandoci  – magari, nero su bianco – al ruolo cui ci siamo candidati per delicatezza: quello dei semplici osservatori. Magari critici (senza alzare i toni, per carità) ma sempre osservatori.

Del vuoto che resta quando (salva)guardi il posto di lavoro dalla platea.

NO FAIR-PLAY

Domattina, gli sportelli bancari riapriranno secondo il consueto orario. Lo sciopero dello scorso 31/10, secondo i dati pubblicati dalle organizzazioni sindacali, è pienamente riuscito, con una percentuale di adesione che oscilla tra l’85 ed il 90%. Domattina, tuttavia, non sarà il caso di riprendere come se nulla fosse o come se il peggio fosse passato. Una citazione illuminante, da un articolo comparso sul tri-quotidiano “Nazione/Carlino/Giorno” lo scorso 27/10:

“Inoltre il totale delle ‘sofferenze’ bancarie, sempre a Giugno, ammonta a quasi 133 miliardi di euro. Si tratta di numeri giganteschi, davvero impressionanti, che rendono molto evidente un fenomeno ormai di massa, sociale, e che rischia, se non arginato con misure urgenti e strutturali, di schiacciare l’economia produttiva italiana di ogni genere, dalle imprese manifatturiere, alle famiglie, alle banche che sono più che mai strettamente connesse in questa grave crisi”.

Affermazione precisa, documentata, condivisibile. MA. Chi ha scritto questo inciso? Un economista liberale pentito? Un sindacalista di base? Un pensoso editorialista progressista? Chi parla di “fenomeno ormai di massa, sociale” che può schiacciare l’economia del paese? Risposta: il Dott.Antonio Patuelli, editorialista del giornale MA ANCHE Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (ed in tale veste, firma l’articolo).

Peccato che, nella stessa veste di Presidente dell’ABI, voglia aggiungere 19.000 unità familiari al numero già alto che compone un terzo delle vittime della crisi (gli altri due terzi, come enunciato sono imprese e banche). 19.000 unità familiari il cui costo ABI vorrebbe scaricare magari interamente sullo Stato, attraverso il ricorso alla cassa integrazione. Come se poco più di un anno fa non si stesse discutendo della cifra di 1.500.000 euro necessaria (ma introvabile) per confermare la CIG dei successivi sei mesi..

Una contraddizione davvero originale, focalizzare il problema da un lato ed aggravarlo dall’altro. Certo, l’articolo è di quattro giorni antecedente allo sciopero; è facile tuttavia prevedere che anche con il 92% di filiali chiuse, ABI voglia proseguire su questa ecumenica strada di smantellamento del settore, mostrando pubblicamente la faccia seria e quasi rattristata al pensiero della grave crisi sociale mentre, sul fronte interno, procede a colpi di machete, sempre sociale, per recuperare liquidità.

Per questo, domattina, si riaprirà secondo i consueti orari MA con la consapevolezza che la discussione è appena iniziata e di iniziative di sciopero ne dovranno seguire altre – e non solo: urge chiamare in causa il terzo, indispensabile attore, l’arbitro. Il Governo. O il Ministero dell’Economia e delle Finanze è già lietamente disposto ad accollarsi un altro grave costo? Peraltro, pur invocando l’intervento dell’arbitro, sia chiara una cosa: insieme al contratto, è disdetto anche il fair-play. Solo entrate a gamba tesa: se prendiamo palla, è meglio.

Il come della Rosa

E’ possibile che nei presidi organizzati già da domani dalle rappresentanze sindacali dei bancari, a sostegno della giornata di sciopero del 31/10, venga offerta ai passanti, oltre al volantino esplicativo delle ragioni della protesta, anche una rosa.

Un omaggio floreale che i media hanno già ribattezzato “operazione simpatia”, senza sapere, forse, di cogliere un nervo scoperto delle nostre organizzazioni di categoria: sì, perché per quanto brutta s’andasse facendo, negli ultimi venti anni, la situazione all’interno, parlarne al di fuori, spiegare non solo le nostre ragioni ma la progressiva involuzione del settore e del lavoro, era un tabù. Proibito. Sbagliato. Ed infatti. Il nostro contratto sta per essere definitivamente sepolto grazie anche all’assordante silenzio dei grandi comandanti succedutisi via via nelle rispettive plance nazionali.

E non soltanto il loro. Perché, in effetti, proprio così impermeabili e invisibili non siamo: c’è chi ci vede ogni giorno, chi vede in quali condizioni siamo chiamati ad operare e quali responsabilità gravano sulle nostre spalle – a cominciare da quella sacrosanta normativa antiriciclaggio che piace a tutti finché non bisogna firmare un questionario. Sono gli utenti, è la comunità, il territorio. Forse che questo ha cambiato, in quegli stessi maledetti venti anni, l’immagine sprezzante e pregiudiziale con la quale veniamo descritti? No, noi siamo sempre quelli che non fanno un k@##o tutto il giorno, che escono alle cinque dopo essere arrivati in ritardo, che se ne fregano dei problemi del popolo – e via declinando lo sciocchezzaio comodo e strumentale.

Anche questo, ci ha portati qui: deboli all’interno e deboli all’esterno. Malvisti all’interno delle grandi confederazioni sindacali (vuoi mettere quante tessere portano i pensionati? Vuoi vedere che è per questo che i sindacati sono tanto favorevoli agli esodi?); malgiudicati, per pigrizia mentale, da quel territorio che pure da noi pretende quell’impegno che non è disposto a riconoscerci. Così, per ennesimo misunderstanding, le OO.SS. reputano, senza arrossire, che dobbiamo rifarci un’immagine e che per questo basti, galantemente, offrire una rosa. Vorrei dissentire, non tanto sull’eleganza di un omaggio, sul come; quanto sulla scelta, il cosa.

Più che le rose, troverei appropriati i carciofi.

Alcune piccole differenze

Il testo qui allegato sintetizza con efficacia gli scopi che ABI si è prefissa con la disdetta anticipata del Contratto Nazionale dei bancari: un autentico colpo di mano, la più totale dequalificazione di una professione che richiede etica, esperienza, competenza e qualità umane. Nelle intenzioni di ABI, invece, solo chiacchiere e distintivo.

E’ una vera e propria dichiarazione di guerra; se non sapremo rispondere come lavoratori e come categoria, sarà la nostra Pearl Harbour. Solo che non ci daranno tutto quel tempo per riprenderci.Contratto si – Contratto no – cosacambia

CHI OSA LA CHIOSA

“I lavoratori bancari vogliono partecipare al risanamento del Paese. E i banchieri?

Quali comportamenti credibili intende proporre ABI per modificare un sistema che
ha impoverito le famiglie, non sostiene le imprese, il territorio e che,
contemporaneamente, arricchisce personaggi di dubbia eticità, generando crediti
divenuti inesigibili che, in troppi casi, stanno affondando nelle sofferenze gli stessi
istituti di credito?”

E’ la conclusione del volantino che verrà distribuito nelle giornate del 30 e del 31 p.v. durante i presidi organizzati a sostegno dello sciopero nazionale dei bancari; nel testo che precede vengono illustrati in sintesi gli obiettivi, durissimi, che ABI si propone di raggiungere con questo attacco frontale a ciò che resta di un sistema di diritti e garanzie acquisiti. La conclusione, tuttavia, non conclude – anzi, contraddice; dimostrando altresì il ritardo conflittuale, la difficoltà strategica e la subalternità culturale delle rappresentanze sindacali. Perchè? Punto per punto:

– “I lavoratori bancari vogliono partecipare al risanamento del Paese”: correzione, i lavoratori bancari HANNO GIA’ partecipato al risanamento del Paese; la grave crisi finanziaria del 2008 avrebbe avuto effetti ben peggiori, sulle famiglie come sulle aziende, senza il senso di responsabilità e l’etica (la propria, non quelle delle aziende) di migliaia di colleghi che hanno fatto tutto il possibile con i mezzi dati. Lo riscrivo: tutto il possibile con i mezzi dati. In queste circostanze, quando ci si fa in quattro per salvare il rispetto delle normative, estendere le opportunità di accesso al credito e salvare chi non arriva alla terza settimana o chi non riesce a pagare i fornitori, il prezzo da pagare è l’esaurimento nervoso. Chi scrive che i lavoratori “vogliono partecipare” come se fosse un’impeto nuovo, non mette piede in agenzia da troppo tempo e non legge neppure le statistiche ufficiali sulle malattie;

-“(..) modificare un sistema che ha impoverito le famiglie”, etc. Idem come sopra, con l’aggravante della disattenzione: all’interno del “sistema” ci sono migliaia di lavoratori che quel “sistema” non condividono, cercando, pur nel rispetto delle regole, di attenuarne le storture. Insistere nel parlare di “sistema” delle banche non è soltanto un’involontaria (spero) contraddizione ed indifferenziazione, è anche l’anticamera dell’accettazione di tutto lo stupidario demagogico e populista – di gran voga, ormai, soprattutto in rete – contro il quale da sempre ci battiamo proprio con la nostra serietà e responsabilità di lavoratori;

– “(..) generando crediti divenuti inesigibili”, etc. Ancora in tema di distinguo e di criteri fondamentali: non sono le banche a prendere decisioni in materia macroeconomica, questo è e deve restare compito primario della politica; dove la politica latiti o non persegua gli interessi del Paese o riveli manifesta incapacità, non possono che conseguire storture e comportamenti aberranti. Questo non significa giustificare ma assegnare a ciascuno le proprie responsabilità: la tesi secondo la quale i “banchieri” hanno fatto tutto da soli è falsa e fuorviante. La Storia (politica, sociale ed economica) non può essere ridotta al Bilderberg.

Conclusione della conclusione: così come è tempo di dimostrare quella compattezza, e quella capacità di lotta e di antagonismo che sono spesso mancate in passato (e sovrapporre un giorno di ferie al giorno dello sciopero NON E’ utile, ai fini di una sacrosanta rivendicazione), parimenti è tempo di liberarci da vecchi e stupidi pregiudizi e rivendicare con forza il nostro ruolo attivo, i sacrifici di anni, l’attenzione e la cura che abbiamo sempre riservato alla nostra clientela. La perfezione non esiste, le mele marce ci sono in ogni cesto: ma questo non deve significare consegnare il nostro lavoro e la nostra professionalità alla cieca furia del pregiudizio – altrimenti nota come alibi di chi nasconde le proprie responsabilità ed interessi nella difesa aprioristica e acritica del “povero utente”.

L’Impero colpisce ancora

L’Associazione Bancaria Italiana ha disdetto unilateralmente il contratto nazionale di categoria, ratificato nello scorso gennaio 2012. Una prima precisazione: il contratto non aveva scadenza 30 giugno 2014 come riportato dai media;  quella data fa riferimento alla scadenza tecnica di due anni che le parti si sono date da quando la durata effettiva del contratto stesso è stata elevata da tre a quattro anni. A quel termine prestabilito si ridiscute, ove necessario, solo la componente economica dell’accordo (insomma, in parole povere, l’adeguamento delle retribuzioni alle mutate condizioni economiche generali). Dunque, non sussiste, come sostenuto da ABI, il rispetto dei termini previsti per la disdetta contrattuale, se non, per l’appunto, con un cavillo tecnico: in realtà, è una precisa scelta politica, basata su una tempistica ai limiti dell’incoscienza. Difatti, l’ultima cosa che serve all’attuale Governo è un ulteriore fronte di malcontento sociale; per non parlare dell’eventualità (che certo non io auspico) che venga a mancare il Governo stesso, interlocutore di fondamentale importanza nell’eventuale trattativa (nonché probabile destinatario della richiesta ABI di intervento per coprire i costi sociali di nuove, pesanti “uscite” dalla categoria).

Di particolare durezza le parole di Francesco Micheli, presidente del comitato affari sindacali dell’ABI (riporto testualmente dal Corriere della Sera di oggi): “Il punto non sono le voci del Tfr ma un sistema che non è più sostenibile. Solo un esempio: Internet ha ridotto le transazioni del 50%. Dobbiamo trovare il coraggio di innovare introducendo nuovi mestieri. La consulenza va portata al cliente  fino a casa. Bisogna creare un maggior legame tra retribuzioni e risultati. E sempre più sarà necessaria flessibilità sugli orari di lavoro”.

Più che una dichiarazione, una piattaforma; alla quale mi auguro che la categoria e le rappresentanze sindacali sappiano dare adeguata ed altrettanto dura risposta. Basata magari su questi, concreti argomenti, nello stesso ordine di quelli enunciati dal presidente Micheli: 1) se il sistema non è più sostenibile, non lo si deve certo alle retribuzioni; 2) Internet non ha ridotto l’affluenza agli sportelli del 50%, l’affluenza é ridotta (dove è ridotta) perché l’utenza non ha liquidità da investire né altri motivi attraenti (vedi facilità di accesso alle forme di finanziamento o sostegno alle situazioni di difficoltà, che pure ci sono) per presentarsi ai nostri sportelli. Magari sarebbero da evitare costosi e fuorvianti spot pubblicitari, per una comunicazione meno penosamente ”simpatizzante” e più concreta; 3) Nuovi mestieri – e quali? I call center in videoconferenza  non sembrano proprio  “nuovi”  e se  comunque è questa  la  scelta  delle Banche che venga almeno normata  decentemente; 4)  La consulenza  viene già portata a casa del Cliente,sin dagli anni ’80;  5) Retribuzioni  e  risultati? Intende forse legare gli appannaggi di presidenti, a.d. e dirigenti di alto livello esclusivamente al risultato d”esercizio?;  6) Gli  orari sono  già  stati flessibilizzati nei  precedenti contratti: abbiamo le  notti, l’orario continuato, l’apertura  fino  alle  20  ed  al sabato. What  else??