Nel merito del merito

http://www.youdem.tv/doc/276858/renzi-cambieremo-litalia-posso-perdere-le-elezioni-non-la-faccia.htm

Condivido per NON condividere: agli studenti della Georgetown University è stata propinata una lezione di meritocrazia da parte di un Premier il cui principale merito non è quello di essere stato eletto con un voto (e anche il voto elettorale è una misura di merito) bensì quello di essere entrato nel merito di uno statuto di partito per modificarlo a proprio esclusivo vantaggio: senza queste modifiche, non avrebbe potuto partecipare alle primarie (dato che ricopriva già una carica pubblica dalla quale avrebbe prima dovuto dimettersi) né far partecipare alle votazioni i non iscritti, quando solo gli iscritti avrebbero titolo di merito per eleggere un segretario nazionale di partito (è come se per eleggere l’amministratore delegato di un’azienda, il consiglio di amministrazione facesse votare anche l’omologo organismo delle aziende concorrenti). Con quale merito, quindi, il Premier discetta di merito ai meritevoli studenti della Georgetown? Facile: per meriti acquisiti, come le riforme. A tirar fuori documenti dai cassetti e far finta che siano idee sue, è bravissimo: di questo, bisogna dargli merito.

Vae Victis

Orfini Corsera 26112014

 

“Vae Victis”, ‘guai ai vinti’, sembra proclamare, nelle dichiarazioni riportare dal Corriere della Sera di questa mattina, il Presidente PD Matteo Orfini, rivolgendosi ai reprobi della minoranza del partito, rei di non avere fatto convergere un voto (possibilmente, entusiastico) sul Jobs Act di S.E. il Presidente del Consiglio. Meno pacato e sereno dell’intervista video di poche ore prima ma comunque ispirato, il Presidente ha voluto commentare le vicende politiche ultime con queste alate parole:

“Sono vittime di protagonismo a fini di posizionamento interno. Ma alla fine si sono autoisolati. E poi quanti sono, 30? Il dieci per cento del gruppo PD bel risultato: vi ricordo che contro Renzi all’inizio c’era la maggioranza dei deputati. E poi questa è tutta gente che ha ingoiato senza dar cenni di sofferenza il voto sul pareggio di bilancio in Costituzione e la legge Fornero”.

Che eleganza, che squisitezza di pensiero. Si aggiunga che, sempre secondo il Corriere, Orfini avrebbe anche liquidato i dissidenti alla stregua di “primedonne”, tout court. Quindi, ‘primedonne’ ‘vittime di protagonismo’, ‘gente che ha ingoiato’. Sì sa, il Presidente è giovane; e quando il testosterone politico incalza, si rischia sempre un filo di misoginia dialettica. E’ normale. Quello che sorprende, viceversa, nella trasformazione da Giovane Turco a Giovane Gallo (quello del “Vae Victis” era Brenno, il nonno di Asterix) è il ricorso neppure tanto celato a una tattica molto, molto più vecchia di lui.

Si chiama “demonizzazione dell’avversario” e, piaccia o no quest’affermazione, è una strategia da vecchi comunisti, da stalinisti (per la precisione): è l’estrema difesa (perché è sempre l’attacco la migliore forma di difesa così come la politica è la continuazione della guerra senza indossare divise) a cui ricorrere quanto non si hanno solidi argomenti e quando, soprattutto, gli argomenti dei competitors appaiono non del tutto privi di concretezza. Demonizzare l’avversario rivela un tratto ideologico, diciamo.

Probabilmente, esperto di stile politico e di musica metallica com’é, il Presidente Ispirato ha voluto concedersi una pausa retrò dall’impegno incessante alla ricerca del nuovo e del progressivo; vogliamo qui aiutarlo a riprendere la rincorsa con qualcosa di assolutamente attuale, tanto nell’edizione quanto nel testo. Soltanto, ognuno di noi, queste parole, le ascolterà con un orecchio differente: eppure, l’ispirazione è la stessa.

“Let new life be, Old life goodbye, and now we die/For we are One/Forever young/And with this now we die/Are you ready, standing at the edge of the world”

 

Ispirazione

 

Matteo Orfini

Ispirazione, questa è la parola chiave: secondo il giovane – ma non più turco – Presidente del PD, Matteo Orfini, rivoltosi in una dichiarazione odierna a quanti ancora si ostinano a non condividere il processo di riforme presentato dal Governo (minoranza Pd e organizzazioni sindacali, per cominciare), “si può non essere d’accordo su un provvedimento, però l’ispirazione è la stessa” e anche chi non ha votato oggi in aula “nel tempo (…) si renderà conto che questo è un provvedimento che fa bene al mondo del lavoro”.

Nel tempo di questa intervista, il Presidente PD mantiene lo sguardo, ispirato sebbene lievemente accigliato, fisso sugli interlocutori; sembra più parlare a sé stesso che alla platea, pur esprimendo concetti precisi e pensati. Di più, ispirati: l’ispirazione è la stessa, come non vederlo? Renzi e Cuperlo non sono d’accordo neppure sull’ora (l’orologio di Renzi infatti va avanti mentre quello di Cuperlo, si sa, segna le ore in numeri romani) ma l’ispirazione è la stessa. Il Governo e le Organizzazioni Sindacali non riescono a sedersi allo stesso tavolo neppure al ristorante ma l’ispirazione è la stessa (tutti hanno delle crepes nelle proprie teorie, infatti). Se ci penso bene, io stesso dissento dal Cavalier Silvio Berlusconi anche sull’aria che respiriamo, tuttavia l’ispirazione (calcistica) è la stessa: rossonera. Per inciso, sembrerebbe la stessa anche del Presidente PD, d’ora in avanti il Presidente ispiratore.

E poiché i toni pacati, sereni e affabili di Matteo Orfini finiscono con l’essere contagiosi, colgo l’ispirazione al balzo e intravedo la nuova evoluzione del PD, formale e importante: la chiave è nel passaggio in cui il Presidente pronuncia le parole “nel tempo”. Certo, nel tempo: si sa, il tempo sana tutti i mali, fastidiose minoranze incluse. Senza perder tempo, però, è pronto il passo in avanti della struttura. Da Partito Democratico a Passate Domani.

Domani, è un altro giorno.

Evolvendo

Giuliano Poletti

Non c’è dubbio: il nostro paese sta cambiando, si sta evolvendo. E’ un’evoluzione talmente rapida e concitata da produrre in più d’uno un curioso “effetto giostra”, una vertigine – insomma: un momento di confusione. Si spiega, quindi, perché oggi Sua Eccellenza il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, On.Giuliano Poletti, già presidente di Legacoop Nazionale, a margine del suo mancato intervento al XVI Congresso nazionale della U.I.L., abbia ritenuto di esprimere il proprio giudizio sull’indizione di uno sciopero generale in questi termini:

«Ho già detto in generale, rispetto alle motivazioni portate che sui temi della legge di stabilità e del Jobs act ritengo non ci siano le motivazioni per una decisione così importante come lo sciopero generale. Le organizzazioni si prendono la responsabilità di ciò che decidono» (fonte).

Fermo fotogramma: opinione legittima e rispettabile, interlocutore autorevole, puntualizzazione decisa e chiara. Troppo decisa e chiara: nello slancio, forse provato – ancorché da spettatore – dall’ennesimo rollercoaster assembleare del Patimento Duodenale, S.E. il Ministro si fa sfuggire quel “ritengo..” COME SE fosse mai spettato – o spettasse da oggi, dopotutto il nostro paese si evolve, va veloce – al Governo valutare la sussistenza di opportune e gravi ragioni per indire uno sciopero. In un Paese Democratico, ove si tratti di difesa dei Lavoratori e dei diritti, spetta alle Organizzazioni Sindacali, questa valutazione: dissentire dalle ragioni non deve far perdere di vista questo punto formale e sostanziale. Per capirci meglio: S.E. il Ministro troverebbe corretto se un sindacato (o, orrore!, un partito, fosse anche il Perpetuo Dibattere) stabilisse per Lui i criteri guida del suo Ministero? Lo considererebbe spirito di servizio o una plateale invasione di campo?

Il paese. intanto, evolve. Rapidamente. Non sarà dunque lontano il giorno felice in cui, per convocare uno sciopero, occorrerà prima ascoltare il parere della Protezione Civile, trattandosi infatti di masse in movimento incontrollato. La Democrazia è importante.

Ma, hai visto mai che esondi?

Assoggetta alla critica

Davide Serra
Davide Serra

 

“La sede in un paradiso fiscale non è un illecito, ma è un fatto che si assoggetta alla critica di appartenere a una legislazione non trasparente”. Queste le conclusioni del sostituto procuratore di Milano, Luigi Orsi, nella causa intentata dal finanziere Davide Serra avverso l’ex-segretario nazionale del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, reo d’essersi riferito a lui con l’ormai celebre frase “Direi che qualcuno che ha la base alle Cayman non può permettersi di dare giudizi”. La vicenda traeva origine dalle critiche, non certo lievi, che Serra aveva rivolto a Bersani in tema di politica economica, critiche altresì accompagnate dal pubblico sostegno di Serra a Matteo Renzi, all’epoca ‘solo’ sindaco di Firenze e membro non-frequentante della direzione nazionale (una più estesa ricostruzione in questo articolo dell’Espresso). Chi di spada ferisce di spada perisce, soprattutto in politica ma Serra non aveva ritenuto di limitarsi a incassare la risposta tranchant di Bersani, per cui – non senza grancassa mediatica – aveva scelto di portare la questione in tribunale.

Chissà se il finanziere si rende conto d’avere peraltro contribuito a un ulteriore ingolfamento e rallentamento di quell’apparato giudiziario che di sovrabbondanza d’incartamenti e discussioni inutili già sta soffocando; speriamo che almeno si renda conto della durezza (magari anche della pesantezza) insita nell’elegante frase con la quale il Pm ha chiuso la questione: quel “è un fatto che si assoggetta alla critica” vale più d’un intero discorso e tracima dagli argini della questione in sé come un fiume in piena. A differenza tuttavia dei danni che l’umanità s’infligge con il dissesto idrogeologico, questa definizione danneggia soltanto l’arroganza, la pienezza di sé, la pretenziosità di tutti quanti, in Italia e non solo, pretendono di disattendere le regole della comunità, vantarsene e per di più risultare immuni alle critiche.

Insomma, Andersen revisited: l’Imperatore non è più soltanto nudo, non si “assoggetta alla critica” per l’esposizione delle sue nudità e cita in giudizio il bambino, colpevole d’avere descritto la sua palese condizione. La quale, guarda un po’ che s’inventa il Pm, non è un illecito ma “un fatto”. E i fatti, nella loro concretezza, si possono osservare, considerare, condividere e, qualche volta, persino criticare.

P.s.: sentitevi liberi di NON condividere quanto ho appena scritto: questo blog si assoggetta alla critica ben volentieri, senza far perdere tempo alla magistratura – e soldi alla collettività: triviale ma è un fatto. Vediamo se questi due semplici concetti entrano in testa a qualcuno, cominciando da una certa classe politica che si assoggetta soltanto agli applausi degli amichetti.

 

Non dire falso tesseramento

 

DeGasperi_U2_Renzi

“Dopo le discussioni in Direzione, ci sono stati grandi scontri mediatici dentro il Pd per la questione tesseramento. In soldoni: nei primi mesi dell’anno abbiamo avuto un crollo degli iscritti (pare che solo 1/5 abbia rifatto la tessera). Qualcuno ha detto che il Pd ha questo crollo perché non è in salute. A me pare che un partito che arriva dove non arrivava nessuno dal 1958, vince tutte le Regionali in trasferta (Piemonte, Abruzzo, Sardegna), stravince nei Comuni è un partito che gode di buona salute. Ma non possiamo girarci intorno: il tema tesseramento esiste. Poi io posso dire che preferisco avere una tessera finta in meno e un’idea in più“. Lo scrive sulla sua Enews il presidente del Consiglio Matteo Renzi e segretario del Pd Matteo Renzi. (fonte: AdnKronos)

Che cosa vuole dire il Premier/Segretario/Rottamatore, quando parla di tessere ‘finte’? A chi si rivolge, e con quale idea di partito e di storia in mente? Di sicuro, tradisce la sua limitata visione da piccolo integralista cattolico mediterraneo: lui è il vero e in verità, in verità ci dice che chi dissente da lui è falso. Chi mette in discussione – secondo regole democratiche che esistono e sono rispettate da millenni e comunque da prima che il Premier venisse alla luce – le sue affermazioni, e ancora più le sue proposte, commette eresia. E guai a fargli notare un triviale calo numerico, a tesseramento ancora in corso, sul numero degli iscritti. “Meglio una tessera finta in meno”.

Poiché, per la prima volta dal 1991 (anno di fondazione del Partito Democratico della Sinistra), non ho ancora deciso di rinnovare la mia iscrizione all’attuale Partito Democratico, devo ritenere di essere stato per ben 24 anni titolare di una tessera falsa, pur avendo (nel mio infimo) portato, nel corso del tempo, il mio contributo di idee (almeno, io le spaccio per tali). Ho provato, a portare un’idea in più, senza mai pormi il dubbio di custodire in tasca una tessera farisaica: non mi sarebbe mai venuto in mente, né per me né per chi, di volta in volta, ha condiviso o meno (molto meno) le mie idee. In un Partito Democratico normale, diciamo, si dovrebbero rispettare regole democratiche senza pretendere d’essere in assoluto nel giusto e nel vero. A meno di non considerare il Partito come il proprio tempio e avere deciso di scacciare i mercanti – ma solo quelli della concorrenza.

P.s.: nell’immagine vedete riprodotta un’opera del futuro Segretario/Premier, ecc. Ognuno ha i suoi punti di riferimento. Io, senza pretesa alcuna di rappresentare la mia generazione, sto tra D’Alema e gli Emperor. Insomma, metallico e orgoglioso di esserlo – ma soprattutto: metallo buono, mica moneta falsa. Volete darmi un morso?

(Come On) Let’s Tweet Again

Il Presidente del Consiglio, On.Matteo Renzi comunica  con 5  lapidari tweet  il proprio pensiero su altrettante, importanti, questioni all’ordine del giorno:

image

 

Fonti apocrife riferiscono tuttavia che la prima versione dei tweet avesse i seguenti testi: 1) Noi rispettiamo il 3%, soprattutto se Europa ci favorisce questi miseri 300 mld di invstm. #cappelloinmanoforever; 2) Revisione della spesa non significa tagliare la sanità.  Ma le Regioni prima di fare proclami chiedessero soldi a Europa come fanno tutti; 3) Collaborazione con la giustizia indiana e stima per il premier Modi e il suo Governo. Lavoreremo insieme su tanti fronti, soprattutto il fronte del porto; 4) I candidati del Pd li scelgono i cittadini con le primarie, non soggetti esterni. Basta versare due euro  e modificare lo Statuto; 5) Signori, non si può  giocare con il petrolio senza impastarsi un pochetto le ali. #cormoranolibero

Si noti che ho scritto fonti apocrife. E ora, un vecchio successo di un rottamato rock: Lou Reed con “Tweet Jane”

La Lega Dei Gentiluomini Straordinari In Bianco.

 

Potere all'Uomo in ammollo
La Lega Dei Gentiluomini Straordinari In Bianco

L’ultimo post qui pubblicato risale a piu’ di quattro mesi fa. Nel frattempo, non mi sembra che le cose – in generale – siano migliorate gran che. Certo, da ieri, ci sono loro, la Lega Dei Gentiluomini Straordinari In Bianco; da ieri, e’ definitivamente chiaro qual e’ il percorso – e qual’e’ il programma – per risolvere i problemi (politici, economici, sociali) in Europa e in Italia.

Potere all’Uomo in ammollo.

Quando il naso sbatte contro la porta

“Amministrare non è solo proporre la propria idea di politica: è attuare quell’idea. Un’idea che deve essere il più possibile compatibile con la realtà. Amministrare vuol dire rappresentare tutti i cittadini, essere l’istituzione di chi ti ha votato e di chi non ti ha votato, vuol dire non essere il sindaco di una parte, ma essere il sindaco di tutti. Amministrare vuol dire calarsi nella politica reale, lavorare duramente affrontando i problemi, intraprendere con coraggio la strada che si ritiene migliore per la propria città, la più giusta e la più equa. E’ affrontare problemi reali, a volte, vuol dire anche non vincere alcune battaglie. Vero. Ma questo non vuol dire tradire un ideale. Non conta solo il risultato ottenuto per i cittadini, ma anche che l’idea di politica che si vuole lasciare per la propria città”.

Parole che condivido, affermazioni che ho sempre sostenuto. Vecchia battaglia: c’è sempre una differenza tra marciare attorno al Palazzo con un bel cartello colorato e varcarne la soglia, assumersi responsabilità, trasformare la protesta del giorno prima nell’azione concreta del giorno dopo. Come minimo, ti blocca quella cosa noiosa del fund raising, per dirla in modo elegante (meno elegante: trovare i soldi). Principi e parole già scritti e dibattuti, perciò: allora, per quanto repetita juvant, cosa c’è di nuovo?

C’è di nuovo che a scriverle e pubblicarle sulla propria pagina Facebook è il Sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. Ha già i guai suoi, non voglio aggiungere complicazioni. Una domanda per lui, però, ce l’avrei: pensava le stesse cose prima di governare, quando la politica era soltanto gridare ai quattro venti: vado, riformo il mondo e torno? A giocare con il fuoco, si può finire inceneriti (ops).

E’ facile infierire, soprattutto stando comodamente seduti dietro un monitor. A dimostrare la mia serietà – e, soprattutto, quella del Sindaco parmense – aggiungo la seconda parte del Pizzarrotti-pensiero, stessa fonte, paragrafo successivo: “Tutto questo significa amministrare in piena sintonia con i valori del Movimento. Con umiltà, serietà e coraggio, sapendo che solo con l’esempio si possono coinvolgere veramente le persone. Ma fintanto che non si governa tutte queste cose non si possono capire, senza viverle ogni giorno sulla propria pelle non si capiranno mai”.

Gioco, partita e incontro: se sostituisco “Movimento” con “Partito” la frase è perfetta. Pizzarrotti ha scalato la montagna, è approdato ai Principi Universali. Guardate come sottolinea la sua chiosa: “umiltà, serietà e coraggio” e “ogni giorno sulla propria pelle”. Esatto. Giusto a titolo di esempio menzionerò l’atteggiamento politico (?) di taluni che, recentemente, non hanno avuto né l’umiltà, né la serietà, né il coraggio di andare oltre la propria, orgogliosa, attitudine a dire sempre e soltanto ‘no’. Non facciamo nomi, tanto Pizzarotti s’è già inguaiato da solo.

P.s.: sempre senza fare nomi, avreste un esempio recente di Amministratore che propone idee sperando che qualcun’altro le metta in atto? E che non si fa scrupolo di perdere una battaglia perché è impegnato a vincere, sempre e comunque e con ogni mezzo? Se avete la risposta, tenetevela per voi: tanto, Lui se ne farà una ragione.

 

 

 

Renzi, can you hear me?

“Francesco Nicodemo: “Il Pd si sente Rock. A Bruxelles con una playlist. Preferibilmente Indie”

“E il Partito Democratico diventa “rock”. Un’ora prima della direzione in streaming del partito, sul sito Youdem si può ascoltare una playlist proposta dai followers dem che – nella maggior parte dei casi – offre una selezione che ha molto poco a che fare con il tradizionale cantautorato nostrano. (…) Radiohead, Muse, Pearl Jam, questo è il ritmo che batte prima del fatidico incontro al Nazareno. “La playlist ha dei picchi di ascolto molto alti che a volte superano i contatti degli interventi stessi”, ci spiega Francesco Nicodemo, alla guida della comunicazione del Pd, “ abbiamo notato infatti che molti si collegano proprio per sentire la selezione”.

Copiato dal sito Huffington Post di oggi. Appena l’ho visto, sono piombato nell’incubo – è facile per me: sono in questo partito da abbastanza tempo per poter affermare che con la musica Rock non abbiamo mai avuto molto a che fare, se non scimmiottarla nell’intento sin troppo scoperto di ‘avvicinare i giovani’, ‘parlare un linguaggio moderno ed universale’. Insomma, in ultima analisi strappare qualche voto. Intento – sia chiaro – tutt’altro che disprezzabile, a patto (appunto) di applicarsi con onestà e mente aperta.

Il contrario dello scegliere periodicamente questo o quel punto di riferimento, a volte inseguendo troppo la moda del tempo; altre, scegliendo troppo fuori tempo. E sempre con un vago retrogusto di insincerità: alla fine, LA musica rimane quella classica, l’evo moderno, beh, inizia con i Beatles ma solo adesso scopriamo che Rolling Stones, Led Zeppelin e Who sono dei ‘classici’. Avete notato quella citazione? “Radiohead, Muse, Pearl Jam” e poi la generica indicazione ‘Indie’ (c’è un’intera galassia di artisti e di suoni dietro questa definizione, in un universo che si caratterizza innanzitutto per lo stile – dall’impegno minimalista al cantautorato ninnananna – e per l’indipendenza (yeah) dalle major discografiche): sono coordinate vaste e, in larga parte, da classifica tranquilla. Alternativi ma di massa. E negli anni ’90, quando i gruppi summenzionati non avevano ancora smussato le proprie abrasioni sonore, questo partito (nelle sue primeve forme originarie) non se li filava proprio. Il massimo del rock, ai tempi, era “La Canzone Popolare” (maximum respect per Ivano Fossati).

Alla fine, però, la colpa è mia: se ti fai prendere la mano dal rock, scopri che – a differenza dei partiti – è dannatamente mutevole, auto-adattante, sempre nuovo e vecchio insieme. E se eri un ragazzino lì, nei noiosissimi anni ’60 e la prima cosa che avevi sentito alla radio non era “Hey Jude” (ronf) ma “Black Sabbath”; se allora eri classificabile soltanto come ‘proletario’ (e andava già bene) e se il massimo della vita selvaggia era una visita domenicale allo zoo (quando si poteva), allora, allora, ecco che oggi ti ritrovi spiazzato. Il gruppo dirigente percorre la svolta indie mentre tu li vorresti vedere con le magliette dei Black Label Society e degli Slayer: ma ve la immaginate una foto di gruppo della Direzione, tutti truccati come i Mayhem o gli Immortal? Quella si, che sarebbe una bella scossa (#questopaesenondevedormire, più o meno).

E’ soltanto un mio delirio. La politica non si coniuga con la musica, si fa accompagnare. Niente che disturbi. Il Sindaco/Segretario Nazionale/Primo Ministro deve avere ascoltato un solo disco in vita (politica) sua: Tommy, la rock-opera degli Who. Si è immedesimato nel protagonista e adesso, liberato da lunghi anni di monologo interiore, ci conduce felici e spensierati al Renzi Holiday Camp mentre lui, politicamente cieco, sordo e muto, vede soltanto sé stesso, riflesso nello specchio. Sintesi e proposta costruttiva finale?

Cantare a squarciagola: “Do you hear me/or do I smash the mirror”?

P.s.: so di avere praticamente ammesso che per quanto riguarda il mio istinto ribelle, la mia voglia di cambiare sempre tutto, il mio tentativo di restare fedele ai valori cercando di accorgermi che il mondo cambia, ecc., devo molto più a Townshend, Daltrey, Entwhistle e Moon che non a Marx & Engels. Ma questo non mi impedisce di dire che anche Marx & Engels sono un’ottima band. Respect.