Buone letture

[banner]Gianni Cuperlo, candidato sottovoce alla segreteria del Partito Democratico, è intervistato da Vittorio Zincone sull’ultimo numero di “Sette” (magazine del Corriere della Sera). Parla di partito, FGCI, modelli, sinistra, idee, film (il preferito? “Barry Lindon o un altro qualsiasi di Stanley Kubrick” – già questa risposta vale un programma). L’intervistatore lo ritrae come capace di citare “con disinvoltura politologi americani e filosofi tedeschi,romanzieri russi e storici assortiti”. Poi, si arriva alla domanda: “Il governo Letta potrebbe resistere ad una vittoria di Renzi al congresso?”. Risposta: “Renzi ha detto che non lavora contro il governo. E Renzi è un uomo d’onore”.

A quanto pare, ha letto anche Shakespeare. La domanda, allora, è: sapendo chi è Bruto, chi fa Giulio Cesare e chi Antonio?

24:p.d. – Leave Another Day

[banner network=”altervista” size=”300X250″]Quello che segue accade tra le 05:00′ e le 06:00′

Roma, nei pressi del Colosseo. L’agente Giacomo “Jack” Bauer, del Controllo Tenuta Unitaria scivola nelle ultime ombre della notte (che sono in realtà le prime luci dell’alba, ma non se n’è accorto: ha gli occhiali scuri), guidato da una segnalazione. Dal satellite del Partito, in orbita attorno a Ostia Lido – è un satellite sostenuto dallo sforzo dei volontari e dei militanti, di più non si poteva – è stato informato di una presenza imprevista tra gli spalti dell’antica arena.

Un giovane gladiatore turco.

Quindi, un gladiatore sveglio e attento: prima che Bauer riesca a scivolare tra le ombre delle arcate (che non fanno ombra, infatti erano riservate al pubblico vulgaris), lo apostrofa con voce solo leggermente annoiata: “Bauer. Ancora quella vecchia solfa del CTU. Lo sa che il vero guaio di questo partito è proprio la rimozione del conflitto?”

“Rimozione, Signore? Credo non mi siano state ancora rimosse le ultime pallottole che ho preso per il partito, Signore. Intendeva questo?”, ribatte, in tono afflitto, l’agente. Orfini solleva il mento e si gratta con delicatezza la barba, più folta di quanto l’iconografia del luogo consiglierebbe. Riflette. Nel frattempo, lancia due tweet. Alla fine, riprende, con aria assorta (simile allo scivolare nelle ombre di Bauer): “Agente, nel modo in cui stiamo nel governo abbiamo cancellato l`idea del conflitto: non si sa cosa ci stiamo a fare, per rappresentare chi. I nostri ministri, dal presidente del consiglio al capodelegazione Franceschini, sembrano ministri tecnici. Non fanno un`iniziativa che porti nell`agenda di governo il nostro punto di vista. L’ho dichiarato al Manifesto”

“Lo sappiamo, Signore. Seguiamo con attenzione i suoi movimenti, Lei pensa che nel partito ci siano professionisti del conflitto?”. Orfini si volta, osservando l’agente con malcelata contrarietà: “Ma mi ascoltate, oltre a seguirmi? Se c`è una cosa che abbiamo pagato in questi anni è la rimozione del conflitto, che è la fisiologia della democrazia. Teorizzare la fine del conflitto ha prodotto enormi vantaggi per i più forti. È una delle ragioni per cui sono aumentate le diseguaglianze. E per cui la sinistra ha tradito se stessa. Negare l`esistenza di contrapposizioni di interessi nella società significa smettere di rappresentare i più deboli e, per la sinistra, perdere di senso: quello che ci è accaduto. Ce ne fossero, di professionisti del conflitto, non saremmo ridotti così».

“Con tutto il rispetto, Signore ho sempre creduto che ci fossimo ridotti così per il nostro dna divisionista. La sinistra non esiste, se non si frantuma – sempre con tutto il rispetto, Signore. Non mi sembra un modo sereno di prepararsi al congresso”

Orfini sbuffa, senza darlo a vedere, mentre lancia un post su Facebook e due sms: Bauer è vecchio, come personaggio e come serie. Gli ascolti calano, inutile perdere tempo con lui. Comunque, già che c’è, risponde. “Se non c`è la crisi di governo, il congresso va fatto. Non capisco il gruppo dirigente asserragliato al Nazareno che cerca di ritardarne in tutti i modi la convocazione. E visto che molti agiscono in nome di Bersani, spero che Bersani prenda le distanze e dia una mano a convocare rapidamente la data. Lo riferisca ai suoi superiori, Bauer”. Si gratta ancora la barba, quindi, con plastico movimento aggraziato, si appoggia alla balaustra, contemplando l’arena. “Dovremmo tenerlo qui il congresso, un’assemblea di gladiatori della politica che lottano per la primazìa inter pares delle idee. Com’era, questa, Jack? Ho un’altra intervista, stamattina”

Bauer è ancora fermo al conflitto ma non rimuove il suo imbarazzo. “Buona, Signore. Pensa anche di sfilare davanti al reggente Epifani declamando ‘Ave Guglielmo MoriTURCHI Te Salutant’?”. A questa battuta, Orfini si porta una mano allo stomaco (con l’altra risponde ad un messaggio da WhatsApp), simulando un’improvvisa fitta: “Vede, Bauer, questa è proprio una battuta idiota, degna di quel rottamato che gliel’ha scritta. Riferisca anche questo”. A questo punto, il giovane dirigente volta le spalle all’agente del CTU, ignorandolo. Riprende ad accarezzarsi la barba, pensoso. Nel medesimo istante, posta un nuovo intervento, senza accorgersi che sta usando l’orologio.

Bauer lo osserva, pensoso a sua volta, solo per un attimo, mentre si allontana, ombra tra le ombre (eddai). Prima di abbandonare gli spalti, osserva ancora: c’è qualcosa.. nell’aria.. Si accorge che Orfini sta vistosamente annusando. E prima che Bauer possa fare domande, Orfini posta a voce alta.

“Mi piace, l’odore del conflitto di prima mattina. Profuma di.. segreteria”

05:59′:57″ … 05:59′:58 …  05:59′:59″

N.B.: quelle in grassetto, sono dichiarazioni testuali, dalla citata intervista. Tutto il resto, as usual, è mio: e mi assumo la responsabilità solo della mia parte. Così. Senza rimuovere.

THE WALKING PDEAD – Seconda Stagione

Memo: Sbagliate Creanza, 150 anime in cerca di corpo non tumefatto. L’ex-Sindaco Luca vaga nottambulo e auto-mutilato per le strade di paese, cercando di ritrovare il senso della vita (politica, quella biologica sembra molto più compromessa). L’oscurità gli riserva un incontro inaspettato, un vivace bambino che gli intima di procedere a congresso: ha fretta di diventare segretario e sindaco. E la notte è ancora lunga..

“Allora, hai deciso?”

“Che cosa?”

“La data del congresso”

“L’unica cosa che ho deciso è quella di riaccompagnarti a casa e chiedere ai tuoi genitori cosa ci fai in giro per il paese a quest’ora”

Luca accompagna l’ultima risposta con un gemito, è incredibile quanto male possa fare un braccio staccato, soprattutto se è il sinistro. Tra sè, Luca considera anche quanto facile sia stato staccarselo, quel braccio, quasi che volesse staccarsi. Immerso in queste considerazioni, si lascia sorprendere dalla replica del piccolo Matteo.

“Giro quanto mi pare, visto che ho il permesso. I miei genitori stavano litigando ed io ho avuto l’autorizzazione a maggioranza dall’assemblea”

“Quale assemblea?”

“Quella dei miei amici. Li ho chiamati su Facebook”

“Sublime. Un voto su Facebook non è valido”

A questa risposta, il volto di Matteo si fa livido, la bocca stretta e le sopracciglia aggrottate: “Con questo dimostri la tua arretratezza, nonché la tua inadeguatezza a guidare questo partito. I tuoi strumenti sono vecchi e superati, è ora che tu ti ritiri e lasci il partito in mani giovani e moderne. Quando si fa il congresso?”

Vorrebbe rispondere, Luca, avrebbe argomenti da vendere. Eppure, non riesce – manca in lui la convinzione che quello della data sia davvero un problema più urgente ed importante degli altri. Il braccio sinistro ancora sanguina, dal moncherino attaccato alla spalla e dal braccio stesso, saldamente in mano alla destra. Al diavolo, pensa l’ex-sindaco.

“La vita NON E’ una metafora, ragazzo. La realtà è quella che abbiamo attorno, non quella che vogliamo che sia: e la realtà è che qui, prima di una data, ci serve un’idea. E ci servono persone. Vedi molte persone ATTIVE, intorno a te?” L’espressione di Matteo torna a farsi corrucciata, decisamente infantile – ma è subito trasfigurata da un malizioso lampo nello sguardo: “Attorno a me vedo un sacco di elettori delusi, è arrivato il momento di parlare con loro, di riavvicinarci a loro. Continueremo a perdere, a forza di avere la puzza sotto il naso”.

A quelle parole, la reazione di Luca non è solo spontanea, è chimica: “Non è puzza, è DECOMPOSIZIONE, qui sta tutto andando in malora e noi ce ne stiamo qui, al buio, in piena notte, a discutere di date, di sindaco e segretario e.. puzza! Voi sapere a me, cosa mi puzza??”. Matteo fa un passo indietro, spaventato dalla reazione: “Oh, oh, buono! Ricordati che sono un bambino”. Luca, però, è irrefrenabile. Una mente ed un braccio COMUNQUE collegati.

“Quello che mi puzza è che qui è pieno di stronzetti come te che lasciano fare tutto agli imbecilli come me, lasciano che mi prenda le palate di fango di tutti, lasciano che rischi in prima persona, che finisca con lo sbagliare – e poi saltano fuori, con queste belle faccine e tengono lezione, e ti spiegano quanto sei inadeguato e le cose meravigliose che avrebbero fatto al tuo posto.. nel frattempo, si tengono bene ai margini, hai visto mai che tocchi sudare in prima persona! Tu ti senti pronto, vuoi fare il sindaco, il segretario e magari vuoi anche la mia tintoria? Beh, sentiamo: qual’è il tuo programma?”. Quasi non si accorge d’avere sventolato in aria il braccio amputato, con la mano stretta a pugno.

“Ah, beh, il programma.. ci ho un amico che lo sta preparando per bene, è uno ganzo, uno scozzese, sai?”. Luca lo interrompe, di nuovo sventolando il braccio. “No. Fammi indovinare. Joshua McKinsey”. La sorpresa di Matteo è sincera.”Oh bella, lo conosci?”

Con calma, con lentezza secolare (da vecchio, insomma), Luca si appoggia alla parete dietro di lui, lasciandosi scivolare fino a terra; tiene lo sguardo fisso sul ragazzo ma è come se vedesse attraverso di lui. Come se vedesse quello che al ragazzo forse sfugge: il quadro completo. “Lo conosco. Conosco lui e conosco la sua famiglia, una famiglia numerosa, tutta in giro per il mondo e tutti con lo stesso curioso hobby”. Sospira.

“Spiegare a chiunque il suo programma”

(McContinua..)

24:p.d. – Leave Another Day

Quello che segue accade tra le 04:00′ e le 05:00′

Roma, Fontana di Trevi. L’Agente Giacomo Bauer, responsabile del Controllo Tenuta Unitaria del PD consulta sul proprio tablet (un Ai-pd schermo 7 pollici ed un indice, risoluzione a tre colori bianco-rosso-verde e sistema operativo Pd-droid a dialettica alternata) gli appunti dei primi due incontri della missione. Non è per questo che rabbrividisce, nell’afosa notte della Capitale. Bensì perché un sottile brivido gelato ha raggiunto la sua nuca, come un fosco presentimento. In realtà, più come un improvviso alito di brezza gelida. Ancora prima di voltarsi, riconosce l’uomo che si sta avvicinando.

Riconosce la figura magra, sofferente, dallo sguardo chiaro ed indecifrabile (non per chi ha, sul proprio tablet, l’apposita app decritta-sguardi). Ad ogni passo, l’atmosfera intorno all’uomo e vicino a Bauer sembra farsi via via sempre più fredda. Bauer finge di non accorgersi che l’acqua, nella celeberrima fontana, si sta ghiacciando.

“Segretario Kuperlov, Signore”, pronuncia in tono che vorrebbe essere opportunamente gelido. L’uomo lo osserva con sguardo indecifrabile (l’app era una versione di prova ed è scaduta), quindi risponde al saluto, con un mesto sorriso indecifrabile. “Bauer. Veramente, non sono Segretario e non sono russo. Il mio nome è Cuperlo, sono di Trieste. Ha presente la bora?”

Jack-Giacomo non ha il tempo di rispondere, un’improvvisa raffica a 154 km.orari gli strappa di mano il tablet, mandandolo ad adornare la Fontana dei Ghiaccioli di Trevi. “Mi scusi, Signore, solo un gioco di parole che circola nel Partito”. Cuperlo annuisce con lentezza sveviana (ovvero, ci vorrebbero dieci pagine per descriverla, altro che post), poi sussurra: “Giochi di parole. Sono l’unica cosa che circola nel Partito, di questi tempi. Io ricordo altri tempi”

E’ un’improvvisa apertura personale, Bauer tenta di approfittarne per meglio decrittare il personaggio: “Come Firenze, Signore? Ricorda l’ultimo congresso dei DS? Lei citò quella frase di Saba, ‘Siamo l’unico popolo che abbia alla base della propria storia (o della propria leggenda) un fratricidio. Mentre è solo col parricidio (l’uccisione, o il superamento, dell’autorità che c’era prima) che si inizia una rivoluzione’ – più o meno, insomma. Ricorda?”.

Alcuni fiocchi di neve danzano sul bavero dell’austero cappotto di Cuperlo, lui sembra non accorgersene. “Perfettamente. E’ così. In quella frase c’è la storia del Paese, la nostra storia, la sintesi della nostra incapacità di rinnovarci, di cambiare. Siamo bloccati. Mi guardi: sono bloccato da sempre nelle posizioni di rincalzo, i vecchi leader mi dicono ‘bravo, bravo, bel compitino’ – e poi mi mandano a sedere in fondo all’aula. Sa, faccio parte di una generazione che si è bevuta quella sciocchezza di chiedere sempre permesso ed aspettare il proprio turno”.

Sorride, allargando le mani, è un sorriso radiosamente malinconico (due uccellini cadono stecchiti dal freddo mentre una coppia di eschimesi scatta fotografie alla fontana). Bauer rompe il ghiaccio con un proprio ricordo personale, in aperta violazione alle regole d’ingaggio: “C’ero anch’io a Firenze, Signore. I DS si scioglievano nel PD, c’era un bel clima, era la vigilia di un grande cambiamento”.

“Il clima si è raffreddato, Bauer, il Partito è in una fase di riscaldamento globale infantile. Non siamo riusciti a rinnovare noi stessi ed ora mi ritrovo a competere per la Segreteria nella posizione del candidato del Vecchio Assetto. Combatterò contro i giovani, io che sono stato segretario della federazione giovanile. Ironico, no? Sembra che Saba voglia beffarsi di me”

Tace, voltandosi verso la fontana; con un gesto automatico, rialza il bavero del cappotto, proteggendosi il volto. “Non importa”, prosegue, “sa, faccio parte di una generazione che si è bevuta quell’altra sciocchezza riguardo al finire sempre quello che si è cominciato. Lo farò. Si chiama spirito di servizio, se tutti lo capissero, avremmo già fatto la rivoluzione”. Bauer sente che un’ultima domanda, a questo punto, s’impone, una domanda precisa, un chiarimento cruciale – ma, prima che possa aprire bocca, il suo interlocutore si allontana di scatto, agilmente, dalla fontana. Pattinando.

“Arrivederci, Bauer. Lasci perdere i giochi di parole, faccia circolare le idee. E aspetti il suo turnooo”.

Svanisce, lesto come un campione sovietico ai mondiali. Bauer si ritrova solo, nella nuovamente afosa imminenza dell’alba, con un AI-pd annegato in acqua. Lo recupera, mezzo sacchetto di riso cinese (in realtà, fatto a Vercelli e fintamente importato) basterà per farlo asciugare. Mentre si allontana sgocciolando, dalla direzione nella quale Cuperlo si è allontanato arrivano le note di una canzone, lontane eppure perfettamente distinguibili.

“una vita da mediano.. finché ce n’hai stai lì.. stai lì.. sempre lì.. lì nel mezzo.. finché ce n’hai stai lì..”

04:59′:57″ .. 04:59′:58″ .. 04:59′:59″

24:p.d. – Leave Another Day

Quello che segue accade tra le 03:00′ e le 04:00′

Roma, nei pressi di Palazzo Madama. Giacomo (detto “Jack”) Bauer, ritrovato agente del Controllo Tenuta Unitaria del Partito Democratico, osserva le severe linee architettoniche del palazzo, sede del Senato della Repubblica. Data l’ora, nessuno dovrebbe trovarsi all’interno, salvo forse qualche turista smarritosi durante l’orario di visite. Bauer ha notato qualcosa, tuttavia, quindi attiva il proprio cellulare in modalità “Traccia-senatori”, grazie ad una nuova ‘app’ appena scaricata illegalmente. Pochi secondi ed ecco, un puntino verde s’illumina sul display che riproduce in computer graphic il vetusto palazzo. Se l’aspettava. Non significa soltanto che il suo prossimo interlocutore si trova ancora nel proprio ufficio.

Significa anche una bella passeggiata per fogne e condotti d’aria. Non importa. Per quanto  antigienica possa essere la situazione, in questa serie le giacche non sono mai sporche.

Scoperchia il tombino accanto a lui, s’immerge. Destinazione: l’ufficio del Capogruppo del PD al Senato, On.Luigi Zanda. Dopo un percorso acrobatico che lo lascia più olezzante che spossato, Bauer si cala dal soffitto della stanza, di colpo, cadendo in piedi davanti alla scrivania del Capogruppo. Il quale, tuttavia, più che sorpreso appare seccato.

“E’ lei Bauer? Che diamine ci fa qui? Non ha qualcun altro da spiare, un terrorista, un frazionista, un giovane turco o un vecchio pirla? Non vede che sto lavorando?”. Giackomo lo osserva con espressione indecifrabile (la stessa di quando si guarda allo specchio, ormai non si decifra più nemmeno lui), spazzolandosi nel frattempo il completo blu immacolato. (E i liquami di fogna? Ve l’avevamo detto).

“Con tutto il rispetto, lei conosce la mia missione, Signore. La tenuta dell’Uli.. union.. dell’Unitarietà è un superiore interesse. Questo significa che ognuno di noi deve superare la verifica dei necessari requisiti: posso chiederle cosa sta facendo qui, a quest’ora?”. Il Capogruppo lo fissa aggrottando le sopracciglia (e ha già un aspetto minaccioso al naturale): “Non lo vede? Osservi questa pila di carte, questi documenti, anche questi qui ingialliti e spiegazzati.. sto lavorando alla nostra strategia di disorientamento”

“Signore?” domanda Bauer con la faccina compunta, domanda e faccina a lungo provate per circostanze di questo tipo (del tipo “non-ci-capisco-un-beato-cip”). “Diamine, Bauer, ma non ha colto gli indizi? I sintomi? Ma non vede come tutti ci danno addosso, a causa di disegni di legge che non abbiamo presentato ieri e nemmeno la settimana scorsa ma mimino – minimo!! – un mese fa?”. D’improvviso, l’intuito soccorre l’ancora olezzante agente Unificante: “Intende.. il disegno di legge per sostituire il principio di ineleggibilità con quello di incompatibilità, Signore?”. “Ma certo! E NON SOLO!”, di colpo alzando il tono di voce, il Capogruppo Zanda scavalca la scrivania con un balzo insospettabilmente agile, sostituendo il principio di gravità con quello di levità.

“Nessuno se ne è accorto.. sono anni che depositiamo disegni di legge a rilascio graduale.. ad ogni scadenza legislativa si ripropongono, come un virus informatico.. abbiamo un disegno di legge per sostituire il principio di incostituzionalità con quello di incomunicabilità.. il principio di solidarietà con quello di solidità.. un disegno di legge per abolire le leggi finanziarie e sostituirle con le leggi forfettarie.. l’intero Parlamento è disseminato del nostro disegno.. ahahahah”. Bauer trasale. Ora che si trovano l’uno di fronte all’altro, faccia a faccia, non può non notare lo sguardo determinato e lucido del Capogruppo. Non un semplice Capogruppo. Un Capogruppo con un piano.

“Capisco, Signore. L’idea è quella di portare a spasso i competitors, di stordirli e sfiancarli con inutili e vane discussioni polemiche”. Zanda lo abbraccia, commosso: “Esatto, ragazzo mio! Questa è l’idea! Soltanto che.. deve esserci un difetto nel piano..”. Il viso del Capogruppo perde di colpo tutta la giovialità mostrata negli ultimi secondi, per assumere un’espressione ancora più mesta e severa del solito (e qui, ci vogliono i tecnici degli effetti speciali).

“Signore? Quale difetto, Signore?”

“Il difetto, ragazzo.. è che ci cascano SOLTANTO I NOSTRI!! Ma si rende conto?? Continuiamo a litigare tra di noi, MALEDIZIONE”.

Tace. Si rende conto d’avere, in effetti, alzato troppo i toni – questo nuoce all’unitarietà. Sempre servizievole, Bauer raccoglie alcuni fogli caduti e li restituisce al Capogruppo, impietrito, lo sguardo fisso nel vuoto. Saluta con un virile e silente cenno del capo. Quando è già sulla porta (almeno uscire, vuole uscire normale), Zanda lo richiama.

“Bauer. Che ne dice di un disegno di legge per sostituire il porcellum con il procellosum?”

“Signore. E com’è il procellosum, signore?”

“Doppio turno all’italiana, sbarramento variabile, quota inversamente proporzionale ed formazione dirette delle liste con il televoto!! Premete uno per candidare Zanda, premete due per candidare Bauer, premete tre.. e così via! Certo, anche qui c’é una difficoltà..”. Bauer, in effetti, comincia a subire gli effetti del disorientamento. “Vede Bauer, per farlo, serve un telecomando ministeriale. Un telecomando unificato, uguale per tutti. Altrimenti, potrebbero esserci interferenze”.

Il Capogruppo fa ritorno alla scrivania, con un carpiato all’indietro degno d’un tuffatore. “Preparo subito un disegno di legge per l’istituzione del telecomando unico attivabile attraverso l’inserimento del tesserino sanitario nazionale, con presa USB per collegarsi direttamente al cervellone del Viminale. Che ne dice, Bauer?”

Bauer esita, prima di rispondere: ancora una volta, deve spingersi oltre i suoi limiti.

“Non lo so, Signore. Ma dato lo scopo, credo che il Ministero dovrebbe anche fornire le batterie”

03:59′:57″.. 03:59′:58″.. 03:59′:59″

24:p.d. – Leave Another Day

Quello che segue accade tra le 02:00′ e le 03:00′

Roma, vicinanze Eur, un’elegante quanto anonima palazzina a tre piani, chiusa da un’alta recinzione di mattoni. Telecamere ai quattro lati del perimetro ed agli ingressi. All’interno, silenzio e luci spente, tranne che all’ultimo piano: è l’ufficio del Direttore del riformato Controllo Tenuta Unitaria, l’ex-sindacalista Generale Epifani. A dispetto dell’ora tarda e della notte afosa è sveglio ed impeccabile nel suo completo giacca-e-cravatta; è solo, seduto ad una scrivania molto più design che praticità e sta rileggendo degli appunti. Si interrompe, sollevando la testa, quasi annusasse qualcosa – un problema, ad esempio.

“Ben arrivato, Jack”, pronuncia a voce alta, in apparenza rivolgendosi alle tende, chiuse a metà, della parete-finestra davanti a lui. E’ la zona della stanza più in ombra e non sarebbe così facile arrivare sino lì scalando la facciata della palazzina, eppure.. La tenda si muove appena, rivelando l’agente Giacomo Bauer, detto Jack. Ha l’aria disfatta, un vistoso cerotto che copre un brutto taglio sulla guancia sinistra, le nocche delle mani spellate e sanguinanti. Tuttavia è perfettamente rasato e non ha il benché minimo bisogno di andare in bagno: è normale, in questa serie.

“Signore, il nome è Giacomo, signore”, risponde. “Ah, davvero? Giacomo. Non suona bene come Jack, quindi ti chiamerò Jack. Dobbiamo imparare a comunicare meglio, dobbiamo recuperare il dialogo con il paese reale. Jack è più reale, Jack. So che sei di Trieste.. sei con il gruppo di Kuperlov? Anche lui è di Trieste ma con quel nome.. potrebbe benissimo essere una spia sovietica”, replica il Generale Epifani, aggiustandosi la cravatta e ravviandosi i capelli accuratamente pettinati.

“Signore, lei sa che la mia lealtà è per il Partito, non faccio parte di nessun gruppo. Ho fatto cose per questo partito delle quali non sono orgoglioso – ma le ho fatte per il bene del Partito. Non credevo che avremmo riaperto il CTU ma ne sono felice. L’Ulivo è in pericolo”, dice Giacomo/Jack sfiorandosi la guancia ferita con la canna della pistola, saldamente impugnata con la sinistra. “Jack, Jack.. l’Ulivo non c’è più, ragazzo”, risponde con aria mesta il Direttore. “Mi scusi, signore. Avevo dimenticato l’Unione”

“Quella la vorremmo dimenticare tutti, Jack.. ma non siamo più il Controllo Tenuta Unione. Ora c’è il Partito Democratico, quello che dobbiamo garantire è la tenuta Unitaria. Mai come ora, è necessario mantenere la massima coesione. Quello che si è verificato durante le votazioni presidenziali non dovrà mai più accadere.. a proposito, Jack: ma tu, dov’eri?”. Prima di rispondere, Jack spinge inavvertitamente la canna della pistola contro la ferita: “Sull’aereo del Presidente Prodi, Signore. Al ritorno”

Il Direttore Epifani sorride, un sorriso mesto come prima della sigla di un accordo: “Tutti ce la siamo vista brutta ma i pericoli non sono finiti. Siamo stretti in una morsa, il pericolo è sullo scacchiere internazionale: dove ci porterà la crescita della Gioventù Turca? Ed il misticismo dell’Area Dem-Catt? Ci possiamo fidare dei filocomunisti islamici di Maxeem Daalem? E cosa ha riportato dall’esilio africano Valter Veltroni?”

Jack/Giacomo ha un guizzo, a quel nome. “Roma, Signore. Non si è mai mosso da Roma”. La replica del Direttore è secca: “Davvero? E perché, allora, ha i vestiti coperti di sabbia? I mocassini pieni di sabbia? Persino quando parla, si sente sapore di sabbia!”

“E’ una tattica, Signore, non dobbiamo farci coinvolgere. E’ sempre stato esperto nell’arte di scivolare via, come sabbia nella clessidra. E lasciar scorrere il tempo. Non è l’unico, a giocare con il tempo: c’è anche chi lo vorrebbe accelerare”. Jack s’interrompe, temendo d’avere detto troppo: non fa parte dei suoi compiti, giudicare; lui deve lavorare su ciò che unisce, non su ciò che divide. Ma ora che l’ha evocata, l’ultima ombra di divisione sembra stagliarsi come un gigante nella stanza illuminata solo da un abat-jour.

“Parli dell’Infante di Toscana, forse?”, sbotta il Direttore con un sogghigno così perfido da sembrare confindustriale, “colui che vorrebbe mandarci tutti in pensione infischiandosene delle nostre capacità, della nostra esperienza, di tutto..” – è solo un istante ma Jack coglie la rabbia repressa nella voce del Direttore, prima che concluda – “tutto quello che abbiamo fatto, in tutti questi anni”. Jack non vorrebbe, ma la puntualizzazione che segue fa parte dei suoi compiti.

“Non è l’unico a pensare che il bilancio del passato sia alquanto.. discutibile, Signore. Non spetta a me dirlo. E se posso, vorrei finalmente sapere perché mi ha richiamato in servizio. Signore”. Il Direttore lo osserva con attenzione, stringendo gli occhi come un falco che si concentri sulla preda. “Ben detto, Jack. Non spetta a te. E nemmeno a qualcuno che ha studiato la politica al Trivial Pursuit. Vuoi sapere perché ti ho richiamato? Non ci crederai, Jack – è sempre la solita vecchia storia. Volano pallottole e tocca a te fermarle. Dobbiamo arrivare al Congresso ed aprire una nuova fase”.

Lentamente, Jack rimette la pistola nella fondina, sotto l’ascella destra. Ha lo sguardo triste ma è probabilmente dovuto alle due arcate sopraccigliari, entrambe fratturate. “E’ un onore essere richiamato in servizio, Signore. Come ha detto lei, è una vecchia storia. Soprattutto quella della fase nuova. Ad ogni modo, sorveglierò il Partito e farò del mio meglio. Sono pronto”. Il Direttore riprende in mano i propri appunti, li osserva pensoso per un istante, quindi torna a rivolgersi a Jack: “Sto completando il mio rapporto. Sono in carica fino al Congresso e farò di tutto per arrivarci al meglio. Riceverai le tue istruzioni via file, farò modificare lo Statuto di modo che tu possa avere un tablet”.

In silenzio, si stringono la mano, entrambi consci della gravità del proprio compito. Jack si avvia verso la porta (in realtà, vorrebbe calarsi dal balcone ma questa se la tiene buona per un altro episodio); prima di uscire, volta la testa verso il Direttore. “Una parola, Signore”

“Jack?”

“Le modifiche allo Statuto non portano mai nulla di buono, Signore”

“Buonanotte, Jack”.

02:59′:57″…02:59′:58″…02:59′:59″

La Fiera delle Mozioni

Ultimissime dal laboratorio politico del PD: è nata la mozione “Poi Vediamo”. Ora, anche se il mio senso dell’umorismo è talmente sviluppato da costituire spesso un problema più che una soluzione, non sempre riesco a prenderla con spirito proprio, diciamo, filosofico. Se poi si tratta di politica, ambito nel quale la filosofia non avrebbe mai dovuto entrare, a volte la prendo proprio in acido. Quindi, non riesco a digerire la mozione “poi vediamo”, anche se pure io mi domando – come gli estensori di questo nuovo spiffero (dovrei chiamarlo “corrente”?) quale sia davvero l’importanza della questione “segretario e/o candidato premier”. Non ci sto perché anche questo dimostra quanto nel PD si sia lontani, persino nella comunicazione ludica, da quello che un partito moderno dovrebbe essere: serio e non serioso, votato all’affidabilità anche a scapito della meravigliosa visibilità personale, moderno e non modernizzante, giovane nelle idee e nel linguaggio senza scimmiottare penosamente linguaggi che non sa governare. Un partito che sia ‘democratico’ in quanto unione e superamento delle tre grandi culture che l’hanno fondato, una sintesi a NUOVO. Un partito del “vediamo subito” e – soprattutto – un partito plurale, non una sfilata di leader trendy e vanitosi (qui infilo il mio sostegno al ‘demodé’ Cuperlo. Quanti si ricordano che fu lui, forse, il primo in assoluto a citare quel passaggio di Saba sull’ “uccidere i padri” – ed in quale circostanza?). Un partito che faccia il proprio lavoro, insomma, non che si perda nella sterile rivendicazione del passato e dei territori interni: un partito che non abbia più la cinica abitudine a “ripartire” (quante “ripartenze” abbiamo già fatto? Ma cosa siamo, una moto usata?) ma che, semplicemente, continui.
Capisco che esagero: pretendo troppo. Per un risultato del genere, occorre minimo minimo un’altra mozione – ma in politica mi hanno insegnato la necessità della critica costruttiva, non mi tiro indietro. Presento anch’io la mia mozione, conseguente all’idea di partito che propugno. E dato quello che ho scritto, non può che essere la mozione “Total Recall”.
Ci serve un programma nuovo..

Paranoid

Dunque, vediamo: durante le ultime presidenziali americane, uno dei più forti argomenti impugnati dall’ala repubblicana e dagli ambienti industriali e finanziari ad essa vicini avverso Barack Obama suonava più o meno così: Obama porterà l’America alla rovina, in quanto non ha intenzione di abbandonare l’Europa al suo destino. Seguiva profluvio di analisi tecniche tutte volte a dimostrare incontrovertibilmente quanto il vecchio continente fosse prossimo al collasso socio-economico. Ora, Obama ha vinto, nonostante questo argomento, nel cuore di molti good guys a stelle e strisce avesse un non indifferente appeal; ha vinto, ed ha mantenuto il punto: l’America non uscirà dalla crisi senza l’Europa.

Detto questo, che succede in questi giorni? Succede che un bravo ragazzo arruolato dalla più famosa agenzia del mondo in qualità di spia, abbia una profonda crisi di coscienza e decida di rivelare al mondo intero l’acqua calda: gli Stati Uniti spiano tutti – ma proprio tutti e lo fanno da anni. Boom. Conquistati i media in ogni ordine, grado e forma, la spia pentita (avete presente cosa deve saper fare meglio di tutto una spia, vero?) si rende invisibile in un terminal che, con buona probabilità, è frequentato più da spie di ogni paese che da comuni passeggeri. Mentre tutti trepidano per la sorte di qualcuno che, forse, lo scrivo giusto perché è un mondo paranoico, sta ancora prendendo ordini, buona ultima in ordine cronologico, l’Europa si adombra e chiede spiegazioni e riparazioni agli Stati Uniti.

Ora, la domandona: (e subito l’aiutino: esclusi i terroristi internazionali, ovvero il motivo ufficiale di cotanto spiare) a chi giova, dunque, se America ed Europa litigano e, magari, i solidi legami globalizzati si allentano un pochino – o decisamente – e la vecchia Europa viene lasciata in balia degli speculatori/sciacalli finanziari più potenti, il cui gotha si trova proprio negli Stati Uniti?

Tranquilli, avete tempo per rispondere. Ma solo se siete paranoici, of course.

THE WALKING PDEAD – Seconda Stagione

PROLOGO: Sbagliate Creanza, 150 abitanti trapassati e resuscitati grazie alle esalazioni d’un mefitico smacchiatore. Ingredienti sbagliati, macchie persistenti, comunità in decomposizione. Il responsabile, involontario, abbandonata ogni carica politica, vaga per le strade del paese, forse diretto a casa. SE esiste ancora un luogo da chiamare “casa”.

E’ notte, le strade sono avvolte in un’oscurità che non può essere neppure intaccata dall’esile falce di luna a malapena distinguibile in un cielo fitto di nubi. L’ex-sindaco e forse anche ex-tintore Luca avanza barcollando lungo il viale principale di Sbagliate Creanza. A differenza dei suoi compaesani, non sta subendo gli effetti di una lenta decomposizione: proprio per evitare di subire quella trasformazione, si è amputato un braccio, medicandosi poi alla meglio. Sa di essere svenuto e non gli occorre l’orologio – che, del resto, si è fermato – per capire d’essere rimasto incosciente per alcune ore. L’ultima volta che ha perso coscienza, il mondo si è capovolto: chi è vivo è un sopravvissuto, i morti governano seguendo logiche morte e non più sepolte.

Gliel’avevano detto, che la politica si stava estinguendo. Nessuno aveva previsto QUELLO sviluppo, però. Non è questo che ha in testa, mentre cerca di mettere un passo avanti all’altro, intontito dal dolore e dall’orrore; non è questo che lo angustia mentre tiene con la mano rimasta – chissà perché – il braccio amputato. Quasi riesce a sorridere al paradosso: è il braccio sinistro, “mi sono amputato la sinistra”. Di sicuro, qualcuno lo accuserà di grave cedimento alla destra conservatrice.

“Diranno che ho messo la sinistra in mano alla destra” e davvero quasi riesce a ridere – ma non esiste più, una cosa come ‘ridere’: i cittadini di Sbagliate Creanza non ridono, ghignano a denti e gengive scoperti. Nessuno ride, tutti si lamentano. Un lamento continuo. Funebre. “E’ colpa della crisi”, pensa Luca, domandandosi se per caso quell’argomento, dopo tanto tempo, non sia da superare. Non è solo la crisi, è anche qualcos’altro. Magari, uno smacchiatore sbagliato: e lo sporco, invece di scomparire, si diffonde. L’idea gli sembra interessante ma un’ombra furtiva interrompe i suoi dolenti pensieri (la testa non è l’unica parte che gli duole, anche il braccio gli fa parecchio male. Quello amputato, of course), oltre a spaventarlo. Un’ombra piccola, agile, veloce.

Un bambino. Riesce a vederlo, avvicinandosi, grazie alla debole ed oscillante luce d’un vecchio lampione (quante volte ha messo nel programma elettorale il rifacimento dell’illuminazione stradale? Mancavano sempre i fondi..); un bambino, in mezzo alla strada, a quell’ora. Lo osserva, ha il volto girato da una parte, sembra quasi imbarazzato per essere stato visto. Entrambi si scrutano, in silenzio. Luca sa di non essere un bello spettacolo; nel contempo, vorrebbe poter vedere bene in viso il bambino, per capire. Per sapere.

Sapere se è del tutto vivo. Oppure, no.

Decide di rompere gli indugi. “Ciao. Io sono Luca. Tu come ti chiami?”. Nessuna risposta. “E’ un po’ tardi per una passeggiata. Cosa ci fai qui?”. A questa domanda, il bambino decide di rispondere.

“Ti sto osservando”. “Scusa?”, risponde Luca, presagendo un’altra pessima svolta nella giornata. “Perché mi stavi osservando? Mi vuoi dire come ti chiami?”

“Mi chiamo Matteo e ti osservo perché voglio fare il sindaco ed il segretario di partito”

“Si, eh? Da grande?”

“No, da subito. Tanto, te quanto duri, ancora?”

(continuaaahhh)